Capitolo 4 ~ Nora

Dalla scrivania guardo le gocce sbattere con forza contro il vetro della finestra.
Già il secondo giorno e l'università è chiusa per allerta meteo, ho proprio fortuna; da quanto ho sentito al telegiornale è in arrivo un potente temporale. Per fortuna hanno riparato i riscaldamenti.

Tiro fuori dalla valigia le ultime cose rimaste e noto una foto di me e la mia ex migliore amica sul fondo. Perchè l'ho portata? Non siamo in buoni rapporti ma a dirla tutta un po' mi manca. Mi avvicino alla porta e la appiccico su un'anta.

Decido di scendere in cucina a preparare un caffè latte, sorseggiare qualcosa di caldo è l'ideale con questo tempo.
Mentre aspetto che bolla spalmo del burro su un toast, che ovviamente mi cade sulla maglia.

《Cavolo. 》Sbuffo.

Vado in bagno a lavarmi e mi dimentico completamente della caffettiera finchè non sento un odore di bruciato. Corro verso i fornelli e spengo il fuoco. Qualsiasi cosa riguardi l'ambito culinario non fa al caso mio.

Torno in camera mia facendo velocemente le scale perché la tazza mi sta scottando le mani.
Mi siedo e inizio a leggere "Capire le espressioni e il linguaggio del corpo. Volume 1".

Ultimamente non sono così ossessionata dallo studio, non so se reputarlo un fattore positivo perché a Torino passavo il tempo ad approfondire le mie conoscenze. Ero e sono sicura che un giorno mi sarebbe tornato utile, infatti alla SF sto studiando psicologia.

"Il linguaggio del corpo è un aspetto fondamentale della comunicazione. Se pensate che un messaggio venga comunicato solo con le parole, state sbagliando. È proprio il non verbale e la gestualità ad occupare la percentuale più rilevante..."

Salto il capitolo e vado avanti in cerca di qualcosa di più interessante.

"Il viso: è la parte più importante, subito dopo gli occhi. Per dimostrare che si è contenti di un incontro, si invia un messaggio positivo sorridendo. Attenzione a non offrire un sorriso esagerato che può essere percepito come forzato.
Gli occhi: si stabilisce un contatto visivo franco e diretto. Se troppo insistente e lungo, può essere interpretato come una minaccia o un bisogno di imporre la propria superiorità. Sfuggente o diretto verso il suolo, viene percepito come un segno di sottomissione o di debolezza."

Subito mi viene in mente il ragazzo di ieri. Il suo modo di imporre superiorità mi da i nervi. E soprattutto, chi si crede di essere per scommettere su di me?

Per convenzione piacciono quelle facili da avere.
Non si sceglie mai un labirinto contorto, o sudare invece di accontentarsi.
La gente non vuole misteri, ma certezze.
Vuole vincere facile, per intenderci la coppa dei campioni perché non accetterebbe mai il secondo posto. Prima o poi anch'essa verrà poggiata su una mensola e non la si guarderà più, se non per sbaglio.

Ecco perché non c'è spazio per me.
Questa è la triste, spietata, verità. Perchè io non mi accontento di essere quella facile se le persone sono così complicate e l'amore è imprevedibile.


Sbuffo e chiudo il libro. Ripeto quello che mi disse lui, esattamente tre anni fa.

《Tu sei forte, io sono il peso che ti trattiene.》

Resto a guardare il mio riflesso mentre le parole si disperdono nell'aria, come se non fossero mai state pronunciate.

Scuoto la testa. Sono forte perché lo sono diventata, ma è merito suo e di Madison, infondo. Mi giro a guardarla ma la mia attenzione viene catturata da qualcos'altro. Mi avvicino di più al legno scuro e vedo che ci sono incise delle lettere: G.R. con accanto la data di due anni fa.

Un brivido mi corre lungo la schiena quando penso che l'omicidio è avvenuto proprio nell'anno riportato. Potrebbe trattarsi delle iniziali dell'assassino?

Non so se sia stato un incidente, ma voglio scoprirlo.

Sento i passi di mio padre nel corridoio, ormai li riconosco, perciò mi precipito fuori.

《Papà? 》

Ha due scatoloni tra le braccia, sicuramente li sta portando nel suo nuovo studio.

《Si?》Si gira e sporge la testa da un lato per potermi vedere in faccia.

《Sai qualcosa sulla gente che prima abitava in questa casa? 》La butto lì.

《Che è morta. 》Risponde serio.

《Be', grazie. Oltre questo? 》

《Nulla. Perché me lo chiedi? Non dovresti pensarci, purtroppo è successo. Va' a fare una passeggiata. 》Dice prima di filarsela.

Si preoccupa così tanto per me che mi ha invitata a fare un giro nel bel mezzo del diluvio universale.

Incuriosita ancora di più, mi affido al buon vecchio internet.

Digito "Omicidi San Francisco." nella barra di ricerca. Appaiono diversi risultati in molti luoghi che non conosco, perciò per restringere il campo inserisco il quartiere.
Bingo.
Clicco sulla prima voce e attendo che carichi.

"I due coniugi, Rosalie e John Mikaelson, trovati morti a causa di una presunta fuga di gas che ha dato vita a una vera e propria esplosione. Il figlio è in gravi condizioni.
Ad avvertire la polizia e i vigili del fuoco sono stati i vicini. Il caso resta irrisolto."

Non c'è scritto altro. Non ci sono foto, nomi, nessun aggiornamento.
Torno indietro e cerco altre informazioni, ma tutte le pagine e sottopagine dicono le stesse cose.

Poi leggo qualcosa di vitale importanza: "Dalle indagini è stato appurato che i proprietari disponevano di una cucina situata proprio al terzo piano dell'edificio, di cui facevano uso abitualmente. L'incendio, sarebbe partito proprio da lì."
Chiudo il pc ed esco nel corridoio.
Guardo sul soffitto se vi sia una scala retrattile che conduca di sopra perché magari fin ora mi è sfuggita, ma non c'è nulla. Il passaggio dev'essere fuori ma con questo tempo non ho modo di controllare, dovrò aspettare che torni sereno.

Sento il cellulare vibrare e lo sblocco per vedere chi sia. Una richiesta d'amicizia da Aubrey Parker. Sorrido e la accetto.
Faccio una breve visita sul suo profilo e guardo qualche foto. Al contrario suo, non sono per niente fotogenica. Vedo che ha molti mi piace, sembra popolare. Fa parte della squadra di Basket femminile. Sono sorpresa, non sapevo ve ne fosse una. Blocco il cellulare e decido che non c'è modo migliore di passare la giornata guardando un film sotto le coperte. Accendo il computer e dopo un lungo giro Opto per Pirati dei caraibi e metto in play.

-

Mi sveglio all'ora di pranzo. Il pc è in standby e per fortuna non è caduto a terra. Devo essermi addormentata a metà film, ma lo avevo già visto altre volte.

Un odore di fritto inonda il mio apparato olfattivo non appena apro la porta, perciò sentendo il mio stomaco brontolare mi precipito in cucina. Prendo posto a tavola e aspetto che mia madre impiatti.

Di solito il pranzo da noi non dura molto, nessuno dice mai niente.
Ormai sono abituata, ma vorrei solo qualche attenzione in più, che mi chiedessero come mi sto ambientando, piccole cose che fanno la differenza. Mi accorgo che la pioggia è cessata e immediatamente ne approfitto per scappare da questo silenzio. Esco fuori lasciando gli avanzi nel piatto e mi guardo intorno.

Alzo lo sguardo scorgo una finestra, proprio sul tetto.
Deve pur esistere un'entrata.

Corro dietro casa stando attenta ad evitare le pozzanghere, e finalmente le trovo: delle scale in legno collegano il giardino alla mansarda. La porta è chiaramente segnata dall'incendio, si vedono le marcate bruciature.
Salgo velocemente e mi accorgo che è chiusa da un lucchetto. Grandioso. Provo a forzarla, ma non ne vuole sapere di aprirsi. Irritata al massimo le tiro un calcio, facendomi male al piede. Impreco ad alta voce e torno in casa a cercare delle chiavi.

Frugo nel mobile all'entrata, nel cassetto della cucina e in soggiorno e trovo il mazzo di chiave dei miei genitori. Torno al piano di sopra provandole tutte, ma invano.
Abbattuta vado a sedermi sul porticato con la testa tra le mani. Tira un vento freddo che mi spettina i capelli, il che mi fa innervosire ancora di più.
Fisso gli occhi sulla strada, e guardo una vecchietta che sta andando a buttare la spazzatura. Poi torna indietro e apre la cassetta delle lettere della casa davanti a noi.

Prima che sparisca mi precipito da lei, che spaventata si acciglia.

《Mi scusi, signora? 》Dico. 《Mi chiamo Nora. Io e la mia famiglia siamo appena arrivati, lei abita qui? 》Domanda stupida, dal momento che tiene la posta in mano.

Il suo sguardo appare sollevato, forse aveva pensato fossi uno scippatore.

《Oh, avevo sentito qualcosa. Siete i signori Anderson. Io mi chiamo Agnes, puoi darmi del tu, cara.》Mostra un ampio sorriso e le sue guance paffute si allargano di più.

《Grazie. Ehm...Agnes 》Balbetto.

Tutta questa confidenza mi mette in imbarazzo.

《Ho bisogno di un'informazione. 》

《Ma certo, dimmi pure. 》

《Noi abitiamo lì. 》Dico aspettandomi chissà quale reazione. Annuisce soltanto ma probabilmente non ha capito. 《Volevo... sapere come sono morti. 》Parlo a bassa voce.

Il suo sorriso sparisce all'istante e si fa seria.《Sarebbe meglio che tu non ti interessassi a questa faccenda. 》

《E' solo curiosità. 》

《Noi non parliamo dell'incidente con gli estranei. Non chiedere più a nessuno, non otterresti nulla. 》Incrocia le braccia, segno di chiusura o arrabbiatura.

《D'accordo》 Decido di non insistere e lei si allontana sventolando la mano in segno di saluto.

Perché sono così taciturni su questa storia? Devo saperne di più.
Torno dentro e annoto tutto quello che ho scoperto in un'agenda.

"Luogo del delitto: soffitta.
Incisione sulla porta della mia camera "G.R. ~ 2014"
Il caso è irrisolto.
Presunta fuga di gas.
I vicini non vogliono parlare dell'accaduto con gli "estranei".

Ci penso per qualche istante.

"La signora Agnes ha qualcosa di strano, di sicuro nasconde qualcosa."

Spazio autrice:

Ecco un'altra foto che rappresenta il retro della casa. Spero che in questo modo riusciate a immaginare meglio dove si svolge la storia.

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