Capitolo 3 ~ Davis
Il vento tira forte provando a spazzare via tutto.
Gli alberi cercano di resistere con i rami curvi che ondeggiano di qua e di là, un po' come succede quando la gente vuole schiacciarti e opponi resistenza.
Tutto continua, vuole tramutarsi in tempesta, i soffi persistono taglienti come quelle parole che vogliono ferire. A volte nemmeno ti accorgi che il cielo si è scurito e ti trovi fuori senza ombrello.
Non ti resta che metterti al riparo finché non sarà passato.
Sarebbe più facile andare dove c'è sempre il sole, ricominciare da capo.
Le mie radici però sono qui, nel posto in cui è sempre buio.
E allora resisto, aspetto che spunti l'arcobaleno anche se è solo un inutile fascio di luce.
Osservo la pioggia che atterra violentemente sull'asfalto. Le nuvole grigie minacciose.
Anche i nuovi vicini sono in casa, non posso mettere della musica altrimenti darei dell'occhio, però sarei curioso di vederli, sapere che persone sono.
Non è il tempo adatto per uscire né per andare a lavoro, soprattutto perché non ho una macchina. Potrei prendere il tram ma la fermata è distante e chissà quanto dovrei aspettare.
Non ho molto, a parte una stanza in cui dormire. So che prima o poi dovrei cercare un appartamento e lasciare questo buco, ma il mio stipendio da barman non me lo permette. Nemmeno mi piace preparare cocktail, ma ho pensato sarebbe stato il modo più facile per sovrastare il dolore. Bere fino a dimenticare è una delle tante soluzioni. Inoltre se sai preparare roba buona, hai vinto tutto.
Digito il numero sul cellulare. Un modello vecchissimo che dovrei cambiare al più presto.《Si, pronto? 》
《Peyton? Sono Davis.》In sottofondo si sente della musica sovrastata dal rumore di piatti e bicchieri.
《Ciao, qualche problema? Steve, cazzo. Attento con quei posacenere, sono di antiquariato.》
《Antiquariato? 》Rido.
《Non lo so, ma sono costati un mucchio di soldi. 》
《Ascolta, questa sera non posso venire. Sta piovendo a dirotto e non ci penso proprio a prendermi una polmonite. Sai che non ho la macchina.》Non so perché sto cercando così tante giustificazioni, tanto per lei non sarà un problema.
《Si, d'accordo. Ci vediamo quando finisco il turno? Alle otto avrà smesso di diluviare.》
Ci avrei scommesso.
《Sarò puntuale. 》Riattacco.
Infondo avere un rapporto di intimità con il tuo capo ha dei vantaggi. Sorrido e guardo l'orologio per calcolare quante ore mancano. Non vedo l'ora di infilarmi tra le sue mutande e sentirle dire che mi ama. Sappiamo che non è così, ma rende tutto più eccitante.
Mangio l'altra metà del panino che ho portato dal bar ieri notte. Fa schifo, ma non so cucinare e non ho nemmeno un frigo. Vivo nella miseria, praticamente.
Lo apro curioso di sapere con cosa sia farcito: maionese, zucchine fritte, prosciutto crudo. Come fa la gente a comprare questo schifo?
Improvvisamente un dolore acuto si manifesta dentro la mia testa. D'istinto mi porto una mano sulla fronte e mi appoggio al tavolo. Non passa, persiste come se qualcuno mi stesse prendendo a sprangate. Cado sul pavimento in ginocchio.
Mi rialzo a fatica e riesco ad arrivare fino al letto. Mi siedo e dal cassetto del comodino tiro fuori le mie medicine. Dovrei andare in ospedale e farmi controllare, so che tutto questo non è normale. Ma loro mi riconoscerebbero e se la voce si spargesse tutti scoprirebbero che non me ne sono mai andato da questa città. Che sono un bugiardo.
In meno di dieci minuti le pillole fanno effetto e ne approfitto per addormentarmi.
Una ragazza dai capelli neri è seduta in camera mia. Non è Peyton.
Sta scrivendo qualcosa su un foglio, forse dei compiti. Si gira verso di me, ha qualcosa di familiare.
Il volto è sfocato, ma riesco comunque a cogliere il suo naso sottile e le sue labbra rosse come ciliegie.
Dove ti ho già vista? Che ci fai in camera mia?
Vorrei parlare, ma la mia bocca è bloccata e non accenna a muoversi.
《Perché mi fissi? 》Fa dondolare i piedi dalla sedia.
Ha un sorrisetto stupido stampato in faccia che probabilmente è rivolto a me. Mi guardo intorno nella stanza per esserne sicuro, ci siamo solo io e lei.
I miei piedi sono incollati alle assi di legno del pavimento, abbasso lo sguardo ma... sotto di me tutto inizia a cadere a pezzi.
Cerco una via di fuga, ma sono circondato dal vuoto.
Lei è calma, ancora seduta. Mi osserva con un sorriso perfido.
《Cosa vuoi da me? 》 Grido.
Poi il buio mi investe e io apro gli occhi di botto.
Mi sollevo nel letto.《Che diavolo... 》
Il mio respiro è irregolare, sono tutto sudato.
Sposto gli occhi a destra e a sinistra. Il sole è calato e l'unica luce che filtra dalla finestra è quella dei lampioni sul marciapiede.
Il cielo è coperto di nuvole, non si vedono le stelle ma almeno ha smesso di piovere. Faccio una doccia veloce e mi cambio. Non ho bisogno di sistemare i capelli perché sono corti, non hanno l'aria di essere scompigliati.
Sono le sette, meglio che inizi ad avviarmi. Prendo il cellulare ed esco di casa.
Le luci dai vicini sono tutte accese, chissà quanto dovranno pagare per la bolletta. Qui è tutto molto costoso. Io sono fortunato a non pagare l'affitto. L'aria è fin troppo fresca perciò infilo le mani nella tasca del giubbino per ripararmi.
Chi era quella ragazza, e perché sembrava così reale? Spesso mi capita di sognare cose assurde, o avere persino dei flashback. Temo che sia lo stress da lavoro. Forse dovrei andare da uno psicolgo?
***
Busso alla porta aspettando che qualcuno mi apra, un rumore di posate proviene dall'interno. Saltello sui talloni per riscaldarmi e mi gratto la barba. Forse avrei dovuto accorciarla.
《Davis. 》Peyton apre la porta.
I suoi capelli color platino sono raccolti in una coda, che comunque le arriva all'altezza del sedere. Ha un grembiule con delle fragole disegnate e un guanto da forno fuxia sulla mano. Dopo averla squadrata la guardo diffidente.
《Spero che non sia una cena galante. 》
Entro in casa e appendo la giacca al muro. Tolgo le scarpe per rispetto, infilo quelle per gli ospiti e la seguo in cucina. Conosco casa sua a memoria, ci sono stato tante volte.
《Solo una spaghettata. 》Ride.
In questo momento non sembra più la figura autorevole che si presenta ogni giorno a lavoro. E' diversa, divertente, amichevole.
《E ti serviva quello per cucinare?》Indico la sua mano.
《Era completo con il grembiule, li ho appena comprati. 》
Alzo gli occhi al cielo. 《Le donne.》
《A dire il vero c'è un motivo per cui ti ho invitato qui, stasera. 》Fa lei.
E' girata di spalle ma intuisco che la sua espressione sia cambiata, dal tono che ha usato.
《Lo so, non servono le parole. Nel vero senso.》Scherzo.
Porta i piatti in tavola, spaghetti con gamberi. Inalo il buon profumo mentre la mia pancia comincia a brontolare.
《Mh... sembra invitante. 》
Fa un ghigno. 《La mia specialità. 》
Iniziamo a mangiare e in sottofondo si sentono solo le nostre forchette e la tv del soggiorno, con un volume troppo alto.
《Chi mi sta sostituendo? 》Chiedo.
《Peter. 》Mi lancia un'occhiataccia mentre mette in bocca un'altra forchettata. Poi si lecca il condimento dalle labbra in un modo che mi distrae dalla conversazione.
《...voglio dire, solo perché abbiamo una relazione non significa che puoi prendertela comoda. Saresti potuto andare non appena ha smesso di piovere. So benissimo che era una scusa, Davis.》Sta dicendo.
La guardo, incapace di collegare come siamo arrivati a questo punto.
《Mi stai ascoltando? 》Dice nervosa.
《Si, scusa. Lo so, ma stavo male.》Non so che altro dire e lei chiaramente non è soddisfatta della mia risposta. Aspetta. 《Hai detto relazione? 》
Lei mi guarda imbarazzata. 《Andiamo quasi sempre a letto.》Dice in tono ovvio.
Rido. 《Questo non vuol dire che stiamo insieme.》
Si alza e incrocia le braccia.《Dannazione, odio la tua strafottenza.》
Rimango seduto e non dico niente, la situazione è mutata di colpo. Se peggioro le cose potrò dire addio a certi privilegi. Soprattutto queste prelibatezze, penso fissando il piatto mezzo pieno.
《Ormai è da troppo che va avanti questa storia. Cosa ti aspetti? Rispondi sinceramente.》
Mi sta mettendo alla prova.
《Non avevamo detto che sarebbe stata una cosa senza impegno? 》
Peyton abbassa lo sguardo. Si slaccia il grembiule che aveva dimenticato di togliere e io mi soffermo sulla sua maglietta scollata e i suoi pantaloncini. Prende una bottiglia di vino dal pensile e due bicchieri.
《E' proprio questo il punto. 》
Indugia sul tappo di sughero, poi me la passa perché non sa come aprirla. Ora la distanza tra noi è di appena cinque centimentri. Sto impazzendo.
《Sono consapevole del fatto che mi stai usando per i soldi. E per il sesso.》
Alzo gli occhi verso i suoi. 《E allora perché lo fai? 》
Il suo sguardo vacilla per un attimo, le labbra ridotte a una linea dritta. Allora capisco.
《Oh... 》
Non so come discolparmi. Non avevo previsto che potesse innamorarsi, io ho sempre saputo che non lo avrei fatto. Primo perché non ne sono capace, secondo perché lei non è quella giusta.
L'unico scopo è avere abbastanza soldi per cambiare vita e Peyton è il mio capo. E' una bella donna, qualche anno in più di me ma sa come distrarmi per scappare da quei ricordi che sembrano finti, quelle immagini che si insinuano nella mia testa.
Mi ricompongo.《Non intendo ferirti. E lo sai. 》
Le accarezzo la guancia ma la sua espressione rimane fredda e distaccata.
《Ho capito, c'è qualcun'altra. 》Dice riempiendo i bicchieri.
《No, Peyton. 》Mi avvicino lentamente e la bacio sulla guancia.
Sospira bevendo un sorso, poi sparecchia la tavola e io rimango in piedi osservandola.
《Però se stessimo insieme, cosa penserebbero gli altri? Che mi paghi di più... e chissà che altro. Perderesti dipendenti. 》
《Può darsi, ma non serve che lo sappiano. 》Dice con non curanza.
《Certo, faremo i piccioncini dentro casa e gli estranei a lavoro? Le voci corrono. 》
Ci pensa per qualche minuto, sembra convinta della mia ipotesi.
《Si, hai ragione. Facciamo come abbiamo sempre fatto. 》
Chiude la lavastoviglie e non appena si abbassa mi appoggio a lei.
《Vuoi dire così? 》le sussurro nell'orecchio.
La faccio girare, i suoi occhi ora fremono di desiderio. Le bacio la mandibola mentre lei preme il suo corpo su di me. Poi con un gesto deciso le sbottono i pantaloni che cadono a terra. Indugio sul pizzo bianco che ha addosso e le sfilo la maglia.
《Troppi strati di vestiti. 》Dice maliziosa.
《Decisamente. 》
Mi strappa la camicia di dosso e questo gesto mi fa impazzire. Le slaccio il reggiseno mentre lei ansima e poi la prendo in braccio per le gambe.
Con un gesto veloce la sistemo sul tavolo davanti a noi.
《Stiamo insieme? Voglio sentirtelo dire. 》
Mi sta mettendo alla prova. Se dico di no, la serata andrà sprecata. Se dico di si, sono fregato.
Guardo il suo corpo e penso alla sua professionalità sul posto di lavoro, mentre ora qui con me...
Non importa nulla in questo momento, al resto penserò dopo.
《Stiamo insieme. 》
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