Capitolo 2 ~ Nora

Il camion dei trasporti é arrivato qualche ora fa e tutti gli scatoloni sono ancora ammucchiati davanti alla porta d'ingresso, rendendo difficile il passaggio. Il lavoro grosso però è già fatto, abbiamo pulito tutto da cima a fondo. Mia madre continua a richiamarmi invitandomi a disfare le mie cose ma io non ho proprio voglia, non saprei da dove iniziare.

Sono in questa casa da meno di dodici ore e già non la sopporto, è fredda come un igloo.
Dovrebbe arrivare un tecnico che ripari i riscaldamenti domani.

Sbuffo e indosso il primo maglione che trovo. L'unica cosa positiva è che finora non ho avvistato lo spettro di un ex inquilino. Come ci è venuto in mente di trasferirci proprio qui?

《Nora, vieni a pranzare. 》Mi chiamano dal piano di sotto e il mio umore muta di colpo. Amo mangiare, è la mia unica consolazione.

Scendendo le scale però non sento l'odore che mi aspettavo. Anzi, lo stesso tanfo di chiuso che c'è da quando abbiamo messo piede qui. Entro in cucina e guardo il tavolo: nel piatto c'è dell'insalata mista e del sushi. Devono averlo comprato nel negozio infondo alla strada.

《Sul serio? 》 Chiedo esasperata.

《Il gas non funziona, tesoro. Per oggi dobbiamo accontentarci. 》 Mi spiega mia madre.
Eppure sanno che odio il pesce. O almeno, dovrebbero. Opto per l'insalata e inizio a mangiare in silenzio. Mia madre tiene il piatto accanto al computer e ogni tanto mangia qualcosa. Mio padre fissa il suo blocco da disegni pensando a come continuare la storia. L'unico rumore che si sente è quello della mia ansia che bussa nel mio petto. Ho dovuto fare un corso d'inglese accelerato prima di venire qui, eppure sono nervosa. E se dimenticassi come si parla? Se non capissi cosa mi dicono? Spero di trovare qualche italiano.

-

Resto chiusa in camera mia per tutto il pomeriggio e per far passare il tempo decido di fare delle ricerche sul college che frequenterò. Non abbiamo visto delle foto, solo controllato il piano di studi e le tasse.

Digito su Google "San Francisco State University" e attendo che la pagina carichi.  E' lontano 17 minuti in macchina fortunatamente. In primo piano mi appare il logo: un tondino a sfondo giallo con un disegno viola. Non conosco l'uomo che vi è rappresentato, probabilmente il fondatore.

Scorro più in basso dove trovo tutte le informazioni. Dalle immagini non sembra male: è circondato da un cortile, la facciata è quasi interamente in vetro e davanti c'è un parcheggio per le auto.
Guardo gli interni: la mensa è enorme e assomiglia al Mc Donald's, le scale sono munite di ringhiere trasparenti così come la maggior parte dei parapetti. Sembra un enorme centro commerciale, con corridoi che si intrecciano e vanno in tutte le direzioni. Mi chiedo come farò ad orientarmi. Ho già guardato le foto almeno un milione di volte ma voglio essere sicura di riconoscere l'edificio appena vi metterò piede. Ho già inoltrato la domanda di iscrizione mesi fa e dovrei iniziare domani a frequentare le lezioni, mi chiedo se  capirò qualcosa di quello che spiegheranno, se mi farò degli amici già il primo giorno... di sicuro andrà meglio che a Torino.

Ad un tratto sento un tonfo provenire dal piano di sopra e sobbalzo.
Chiudo il pc e prendo la prima cosa che mi ritrovo tra le mani, una forbice. Se dovesse essere un assassino avrò qualcosa con cui difendermi. Un altro tonfo. Scatto in piedi e mi guardo intorno. I miei genitori non sono nemmeno in casa, non possono essere stati loro. Magari è davvero lo spirito dei vecchi inquilini. Il cuore mi batte forte e quando qualcosa atterra sul davanzale della finestra lancio un grido. Ci metto qualche secondo a realizzare che è solo un gatto.

Abbasso la guardia e lascio andare un sospiro di sollievo, lui mi guarda accigliato e poi balza sul ramo dell'albero. Mi lascio cadere sul letto. Mi sto facendo troppe paranoie, il sovrannaturale non esiste.

***

Avendo dimenticato di puntare la sveglia mi alzo tardi. Vado in panico. Mi guardo intorno facendo avanti e indietro per la stanza prima di trovare qualcosa da mettere. Entro in bagno e mi lavo velocemente, non sono abituata a truccarmi, sarà una perdita di tempo in meno. Mi guardo allo specchio e vedo la stessa Nora del primo superiore, gli stessi lineamenti, occhi grandi e labbra sottili, lunghi capelli e pelle chiara. Scuoto la testa. Non sono più così, sono cresciuta. Ho cambiato vita, magari dovrei provare anche con me stessa.

《Cambiare. 》Lo ripeto a voce alta e rido di me perché mi sembra una stupidaggine.

Appena esco sento da lontano il rimprovero di mia madre per non averla svegliata. Do una sistemata ai capelli e scendo in cucina. Prendo un bicchiere di spremuta e poi guardo l'orologio sopra il frigorifero: ho ancora cinque minuti, sono in perfetto orario.

Mio padre fa capolino. 《Potevi almeno preparare dell'altra spremuta invece di berla tutta. 》

Alzo gli occhi al cielo. 《Non ho tempo, ti ricordo che devo andare al college. E poi nel frigo c'è del latte. 》Rispondo in tono freddo prima di uscire.

Non può farlo lui dato che resterà tutto il giorno a casa? A volte sembra che il genitore qui sia io.

Dopo una mezz'ora buona mia madre riesce ad arrivare a San Francisco e io la saluto blaterando un semplice "ciao" prima di scendere dalla macchina. Il traffico che c'è nelle grandi città è così irritante, avrei dovuto prendere il bus, forse con le corsie preferenziali sarei arrivata prima.
Sono già in ritardo e sicuramente perderò altro tempo per firmare i moduli.
Faccio un respiro profondo prima di varcare l'enorme portone senza far caso alle persone che mi stanno fissando.

-

《Qual è il suo nome? 》Mi chiede una donna di mezza età, grassa e con un orripilante pelo sul mento.
E' seduta dietro a una lunga scrivania e tiene in mano un grosso raccoglitore ad anelli con la copertina verde. Ci ho messo un po' a trovare la segreteria, ma per fortuna nell'androne c'era un cartello che indicava la direzione giusta.

《Nora Anderson.》Dico impaziente mentre osservo l'orologio dietro di lei.

Ci sono tavoli colmi di carte e un altro dipendente, che però non riesco a vedere in viso perché è di spalle.

《Qui non c'è nessuna Nora Henderson. 》Mi guarda con sufficienza invitandomi ad uscire.

Anderson, non Henderson. 》Scandisco bene le parole e cerco di mantenere un tono calmo.

Alza un sopracciglio e controlla nuovamente tra le pagine. 《No, nemmeno. 》

《Cosa? 》Sbuffo.

《Non sei iscritta. Cosa non hai capito? 》

Non riesco nemmeno a tradurre la mia irritazione in lingua inglese perchè sono troppo ansiosa per questo inconveniente.

《E' impossibile. Ho mandato la richiesta due mesi fa. Via email. Non potrebbe controllare meglio?》

《Ascolta, ragazzina. Non ho tempo da perdere. In questo elenco non risulta il tuo nome. Cosa posso farci io? Va' a lamentarti dal rettore. 》Risponde nel modo più sgarbato possibile.

《Grandioso. Grazie mille. 》Dico in tono acido prima di voltarle le spalle e uscire dalla stanza.

《Vecchia incallita.》Borbotto a voce alta e in italiano in modo che non mi capisca.

《Aspetti! 》mi urla una voce maschile. Mi giro e vedo un ragazzo accanto a lei che potrebbe avere non più di venticinque anni. Mi indico con sguardo interrogativo. 《Si, lei. Ho trovato la sua iscrizione. Era stata messa per sbaglio tra quelle del primo anno, ma lei andrà al...》guarda per qualche secondo la pagina che tiene in mano. 《Primo anno, dico bene? 》

《In realtà avevo richiesto la convalida di alcune materie svolte in italia, ma credo non sia possibile.》chiedo nuovamente per sicurezza.

《Mi dispiace, non è così facile. Il nostro sistema non lo prevede.》

Mi avvicino interdetta e lui mi porge il foglio, soffermandosi per un attimo sulla pagina.

《Ha due cognomi? 》

《Si. 》Rispondo a disagio. 《Me ne dimentico sempre.》mento perchè il secondo mi è sempre sembrato imbarazzante.

Sembra non farci caso.《Dovrebbe mettere una firma qui. 》

Faccio come mi ha detto e poi mi consegna l'orario più una piantina del college. 《Potrebbe servirle, qui è parecchio grande. Benvenuta alla San Francisco State University. O più semplicemente SF State.》Sorride. Lo ringrazio e prima di allontanarmi mostro un'espressione compiaciuta a quella cafona della segretaria.

Per fortuna in giro non c'è nessuno, almeno non farò la figura della stupida che non capisce dove andare pur avendo la mappa dell'edificio.

Cerco di capire da che lato guardarla, e poi finalmente riesco a trovare il punto esatto in cui mi trovo. La prima lezione è già iniziata ed entrare in aula adesso sarebbe imbarazzante per cui mi dirigo verso la caffetteria che si trova proprio in questo andito.

Compro un cappuccino e studio il percorso che dovrò fare.
La mia attenzione cade sui tavoli ben disposti, tutti viola con le sedie gialle, le tende beije e il pavimento a scacchi coordinati. Mi sta venendo la nausea, ma per fortuna almeno le pareti sono bianche. Con i bordi viola.
Alzo gli occhi al cielo, e quando li riabbasso noto un ragazzo che mi sta fissando dall'altro lato della stanza. Invece di fare finta di niente, continuo a guardarlo con sfida. Cosa vuole?
Il contatto visivo sta durando troppo. Dai miei studi deduco che il soggetto voglia imporre superiorità o addirittura una minaccia. Si decide a parlare.
Usa un tono alto e sicuro di sé per farsi sentire.《Sei nuova? 》Mi chiede in inglese.

In effetti non ha l'aria di essere timido. E' adagiato sulla sedia come se si trovasse su una poltrona, lo sguardo penetrante, i capelli castani tirati su, e da qui riesco ad intravedere il luccichio di un orecchino. La cosa strana è che non indossa l'uniforme.

《Anche tu sei nuovo? 》Chiedo senza riflettere.

Assottiglia lo sguardo. 《Ti ho fatto una domanda. 》

《Be', anch'io. 》

E poi cosa gli importa? Mi avvolgo i capelli attorno al dito nervosa.

《Pensi di essere divertente? 》Adesso assume una posizione composta.

Mi accorgo che i dipendenti ci stanno fissando con curiosità da dietro il bancone.

《Affatto. 》Sorrido e vedo che il suo sguardo si addolcisce un attimo.

《No, non sono nuovo. 》Fa lui.

La campanella suona prima che qualcuno dei due possa dire altro.

Raccolgo le mie cose e prima che sia uscita aggiunge: 《Ci si vede. E...Ah!》Mi richiama. 《Hai una chewingum appiccicata al sedere.》

Imbarazzata cerco a tentoni con la mano e mi accorgo con orrore che non scherzava.

《Ti ringrazio dell'osservazione, ma avresti potuto risparmiartela. 》dico acida prima di sparire dalla sua vista. Non solo per la figuraccia, ma perché non voglio socializzare con nessun tipo strano. Soprattutto se era intento a guardarmi il sedere.

-

Il professore di storia è un uomo che dimostra meno di trent'anni, tanto che lo avevo scambiato per un alunno. Sembra parecchio imbranato, ed è insicuro quando parla. Dei ricci castani gli ricadono sulla fronte, e indossa una camicia abbottonata fin troppo stretta con dei pantaloni da imprenditore d'affari. Il tutto non si addice alla sua immagine, sembra che qualcuno gli abbia imposto questa vita.

《Bene ragazzi, io mi chiamo Steve. Be'... forse dovreste chiamarmi Professor Steve. 》Balbetta. 《O Thompson. 》

Noto che tutti si guardano in modo strano, e lui si massaggia la nuca a disagio. 《Sostituirò il vostro insegnante per almeno un mese, che purtroppo ha avuto un incidente. 》E poi senza dilungarsi troppo inizia la lezione. In verità è più una presentazione generale.

Mi sono seduta in terza fila, le ultime erano già occupate. Sono accanto alla finestra, da qui si vede tutto il retro dell'edificio. C'è un enorme campo da Basket pieno di posti vuoti. Nessuno sta giocando e gli alberi attorno si muovono troppo per via del vento. Forse avrei dovuto portare una giacca.

《Ma... ehi. 》 Improvvisamente si interrompe. 《Ho appena letto che tra di noi c'è una nuova iscritta. 》Mi sento avvampare.

《Non conosco nessuno di voi, perciò cortesemente potrebbe alzare la mano? 》

Tutti si girano a guardare intorno e io alzo la mano.

Il professor Thompson fa una breve risatina.

《Non ti chiederò di raccontarci della tua vita, so quanto possa essere imbarazzante. 》Probabilmente sta rievocando i vecchi tempi del liceo.

E' proprio qui che si sbaglia. Prendo l'iniziativa e mi alzo in piedi.

《Scusate se non mi sono presentata, non sapevo da dove iniziare. Mi chiamo Nora Anderson, vengo dall'Italia.》Mi fermo qualche secondo pensando a come proseguire. 《Mi sono trasferita perché la mia vecchia scuola faceva schifo. Perciò se un giorno andrete a vivere lì, seguite il mio consiglio e non iscrivete i vostri figli. 》

Molti si mettono a ridere, ma per fortuna nessuno sembra sorpreso dal fatto che io sia "straniera". Dev'essere una cosa comune.

《Nora Anderson Calisi. 》Scandisce bene e qualcuno nelle ultime file sghignazza. 《Posso chiederti perchè hai due cognomi? 》

Pensavo di averla scampata, ma non mi resta che rispondere. 《Mia madre è italiana, ha voluto che prendessi anche il suo cognome. 》

《Grazie per la tua presentazione. 》Il docente sorride e finalmente prosegue la lezione.

Sono sollevata che la mia entrata non sia stata imbarazzante come quelle che si vedono nei film, vale a dire "Benvenuta dicci come ti chiami e... oh guarda, c'è un posto libero accanto quel ragazzo sexy, mettiti pure accanto a lui". Almeno ho deciso io dove sedere.

Ripenso alla mia vecchia scuola e mi rendo conto che ero proprio una sfigata. Tre anni fa non avrei mai pensato di fare una cosa simile, ma oggi mi è sembrato del tutto naturale. Questo colpo di scena deve aver dimostrato che sono una tipa "tosta" e forse da adesso sarà così.
In più ho scoperto che essere al centro dell'attenzione mi piace.

Per quanto riguarda gli altri professori non si sono interessati molto alla questione nuova arrivata, un sollievo per non essermi dovuta presentare ancora. Nella mia vecchia scuola veniva notata e massimizzata qualunque cosa, non saresti potuto passare inosservato nemmeno con un mantello dell'invisibilità.

-

Alla fine della giornata decido di fare un ultimo giro di esplorazione. Sento molto chiasso provenire da dietro un portone enorme, così decido di aprire e curiosare. È una palestra. Forse sarebbe stato meglio non aprire, non che mi piaccia oziare, ma trovo stupido mettermi in mostra come fa la maggior parte delle ragazze che si credono Cheerleaders.  Osservo l'enorme gradinata, interamente vuota. Tutti sono riversati sul campo e giocano a pallavolo.

《Scusa. 》Dice la voce di una ragazza dietro di me.

Subito penso sia la classica eroina che arriva a socializzare con la nuova arrivata mentre si guarda intorno in cerca di una via di fuga, perciò mi giro con troppa foga.

《Si? 》

La ragazza davanti a me indossa un'uniforme bianca. Per fortuna, anche se il fiocco che le tiene la coda è giallo.

《Dovrei passare, stai intralciando il passaggio. Se non hai voglia di fare niente magari potresti sederti. Guarda quanti posti liberi.》Indica le tribune.

Decido che sia meglio non litigare con nessuno almeno il primo giorno e senza fare troppe storie faccio come mi ha detto. Scende le scale come se stesse sfilando sul Red Carpet e quando arriva dalle sue compagne bisbiglia qualcosa sottovoce, facendole ridere. Una di loro guarda verso di me ma lei le tira una gomitata.

Tipico.

Poco più in là scorgo qualcuno intento a leggere. Ormai ho capito, nessuno verrà in mio soccorso perciò mi faccio coraggio e mi avvicino.

《E' proprio noioso, vero? 》

Sobbalza. 《Oh dio. 》

《Scusa, non volevo spaventarti. 》Faccio una risatina nervosa.

《No, tranquilla. Non ti avevo sentita arrivare. Comunque si, ma di solito impiego quest'ora buca per leggere. Tanto fare sport non è obbligatorio. 》

《Be', buono a sapersi. Però mi sarebbe piaciuto fare la Cheerleaders. 》

Chiude il libro e mi rivolge tutta la sua attenzione.《Non te lo consiglio. Clarissa è il capitano, ed è la più antipatica. Se ci fai caso la squadra è formata solo dalle ragazze snob. 》Mi giro verso di loro.

《E fighe.》

《Si, esatto. 》Ride.

《Tanto non lo avrei fatto comunque. 》

Mi guarda strano ma non si dilunga sull'argomento. 《Mi chiamo Aubrey. Potrei avere l'onore di sapere come ti chiami dato che hai interrotto la mia lettura? 》Lo dice scherzando.

《Nora. Vengo dall'Italia. 》

《Wow. Qui la temperatura è un po' più fresca. 》

Purtroppo lo so bene. Più la guardo e più non capisco perché se ne stia qui tutta sola. Eppure è molto più bella di me, con i capelli rossi e ondulati che le arrivano sopra le spalle. Non ha amici?

《Ti va se andiamo a farci un giro? Abbiamo ancora un'ora. 》Mi chiede dopo essersi accorta che la sto fissando, e io acconsento.

***

Aubrey ne approfitta per offrirmi una visita dell'intero edificio. Ho anche scoperto che le matricole possono richiedere una guida a pagamento dai ragazzi più grandi.

《Di solito li trovi che vagano per il cortile distribuendo volantini. Non li hai visti?》

Faccio cenno di no. Non mi sono guardata troppo intorno appena arrivata.

《Tutte le aule, compresi i laboratori relativi al Bachelor of Arts si trovano in questo compartimento, hai detto che frequenti questo corso no? Quelli del Bachelor of Science nel sette, come matematica, fisica, chimica e biologia. Credo che puoi anche integrarle nel tuo corso di studi se sei più portata per le materie scientifiche.》

《No, per niente. 》

《 Comunque per quanto riguarda le materie a scelta dipende, non tutte si trovano nello stesso posto.》

La guardo accigliata.《Non credo che ricorderò qualcosa, al massimo dove si trovano i bagni. 》

Fa una risatina. 《Non preoccuparti, all'inizio è difficile per tutti. 》

Quando torniamo nell'ala Ovest dell'edificio, la campanella suona. Si offre di accompagnarmi fino a casa, ma rifiuto. Ho voglia di vedere meglio la città.

La ringrazio prima di scendere mentre penso che forse non è così difficile farsi degli amici. Basta solo non reputare tutta la gente uguale, anche se probabilmente alla fine lo è. Ma se pensiamo che al mondo ci sono miliardi di persone, qualcuno di diverso dovrà pur esistere, no?

Osservo le macchine che si muovono lente per via del traffico, i ragazzi che camminano in gruppo e il mare che spunta lungo l'orizzonte. Questo è ciò che mi piace di più: nonostante il paesaggio sia pieno di edifici imponenti, riesci a cogliere la bellezza della natura. Ci sono molti spazi verdi.

La sensazione che qualcuno mi stia seguendo mi distoglie dalle mie fantasie. Mi volto di scatto e mi ritrovo il ragazzo di stamattina a pochi centimetri dal viso. Indietreggio bruscamente per lo spavento e quasi non perdo l'equilibrio per via di un fosso sul marciapiede.

《Ti avevo detto che ci saremmo rivisti. 》Fa un ghigno e mette le mani in tasca.

Strabuzzo gli occhi, non ci posso credere. La mia espressione si indurisce di colpo.

《Cosa vuoi? 》

Riflette sulla mia domanda portandosi il dito sul mento.《Il tuo nome. 》

Sbuffo disgustata dal pessimo approccio e mi volto continuando per la mia strada.

Sento che mi viene ancora dietro ma non dice nulla.

《Quando deciderai di toglierti dalle palle? 》Chiedo infastidita.

Ride.《Sai che effetto mi fanno le ragazze permalose? 》

《Non voglio immaginarlo. 》Rispondo irritata.

Mi supera e si piazza davanti a me bloccandomi il passaggio. Adesso siamo in una via cosparsa di alberi, molto tranquilla. Le foglie camminano sul cemento per via del vento.

《Non puoi importunare qualcun'altra? Ho altre cose da fare.》

Un po' inizia a farmi paura. Non sono abituata a certe cose, e non capita di certo tutti i giorni che uno sconosciuto ti segua per strada.

Scuote la testa lentamente e sorride. 《Mi sei piaciuta tu, con il tuo accento italiano. 》

《Cos'è, una specie di fetish?》Ironizzo per non lasciar trasparire la paura. Sento le mani intorpidite e il viso accaldato. Cerco di superarlo ma lui mi prende per il polso, il suo sguardo si fa serio.

《Può darsi, ma in questo momento ho voglia di toccarti il viso. 》Sussurra.

Mi irrigidisco. 《Cosa?

Solleva una mano verso di me. Esita qualche secondo come se si aspettasse di essere respinto, invece lo lascio fare.
Non perché mi piaccia, ma per capire se riesco ancora a provare qualcosa o il mio cuore rimarrà pietrificato per l'eternità.

Mi concentro sul suo tocco morbido e sulle sue dita calde. Chiudo gli occhi, ma riesco solo a sentire il dolore che si irradia e dal cuore arriva fin dentro lo stomaco. Spaventata li riapro.
E' bello, bello che sarebbe così facile innamorarsi. Chissà quante si sono perse dentro quello sguardo.

Adesso ho paura. Vorrei andarmene, scappare da questa situazione, ma tiene ancora la presa salda. Si avvicina di più e io mi divincolo.

《Mettiamola così: più mi respingi, più ti voglio. 》

Resto basita. E' pazzo? Ha sicuramente fumato qualcosa.

《Lasciami andare! 》Sbotto, ma lui sembra non sentirmi.

Si avvicina con forza e preme la sua bocca sulla mia. Serro le labbra, non voglio sentire il sapore di fumo e chissà che altro.

Lo spintono bruscamente, e qualche metro dietro parte una risata di gruppo. Dei ragazzi stavano osservando tutta la scena.

《Ce l'ha fatta!》Sghignazza qualcuno.

《Sei un mito, Jo! Andiamo a mangiare qualcosa adesso mi sa che tocca offrire a me.》dice uno, quello più basso.

Allora collego tutto. Un sapore amaro si insinua sul palato.

Lo guardo e lui mi fa l'occhiolino.
《Scommessa.》

Sei un fottuto stronzo. 》Sibilo.

Gli sferro una ginocchiata nelle parti basse prima che possa dire qualcosa.

《Oh cazzo.》sento in lontananza.

Mi compiaccio mentre si accovaccia su se stesso lamentandosi.

《Ecco che effetto mi fanno i cafoni come te.》dico prima di andarmene.

Stavolta non si azzarda a seguirmi.

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