Capitolo 17 ~ Davis ~ Giorno 4
Nora socchiude le labbra incapace di proferire parola. Evidentemente non si aspettava che suo padre mi avrebbe visto aggirare il giardino, nè che mi avrebbe chiesto di entrare.
《È questo che fai mentre non ci siamo?》chiede sua madre in tono serio.
Ha i capelli sciolti e mossi, di un biondo chiaro sicuramente tinto perchè si nota una ricrescita scura. Ha un fisico alto e snello come quello della figlia, per il resto non si assomigliano per nulla. L'abbigliamento elegante mi porta a pensare che faccia un lavoro importante.
L'espressione di Nora é indecifabrile.
《Aubrey era davvero qui. Lui è solo passato per lasciarmi gli appunti di storia, stava andando via.》Parla così veloce che quasi fatichiamo a capirla.
Sua madre la guarda in tono minaccioso e incrocia le braccia. I suoi genitori mi scrutano attentamente, sicuramente non credono che io abbia la sua età e visto che stavo fuggendo hanno frainteso la situazione. Bel modo per conoscersi.
《Bene, allora non ci presenti il tuo amico?》 Dice il padre dopo alcuni minuti di silenzio.
Sembra sorpresa da come è mutata la situazione. Mi accorgo che stringe il pugno della mano destra, sono sicura che vorrebbe scappare. Anch'io.
《Davis Powell.》Intervengo e gli stringo la mano.
《Io sono Cooper e lei è Lauren.》
Ho il timore di avvicinarmi a sua moglie perciò mi limito a farle un mezzo sorriso.
《Powell...》dice pensieroso.
Mi irrigidisco.
《Siete originari di San Francisco?》
《Ehm... si.》balbetto.
Perché gli interessa tanto conoscere la mia famiglia?
《Non credo di conoscervi. Infondo siamo appena arrivati》dice infine. Tiro un enorme sospiro di sollievo. 《Però i miei genitori sono americani, sai?》Dice tutto fiero.
《Davvero?》
Nora si dondola sui talloni e da come mi sta guardando credo stia aspettando che mi tolga dai piedi.《Allora io vado... è stato un piacere incontrarvi.》dico nel modo più cortese di cui sono capace, prima che dica qualcos'altro sulla sua famiglia.
Se sapessero che abito qui mi farebbero fuori, soprattutto sua madre che ancora mi guarda minacciosa. È troppo seria. Li saluto e mi allontano velocemente mortificato da questo contrattempo.
Cammino verso il parco e accendo una sigaretta. Il fumo mi pizzica la gola, il freddo mi intorpidisce i muscoli. Invece di un passo avanti ne ho fatti dieci indietro. Adesso Nora mi odierà. Non è stata colpa mia se sui padre è uscito dal capanno degli attrezzi sul retro mentre passavo.
Sospiro mentre guardo le panchine vuote ai lati del marciapiede.
Le aiuole in lontananza circondano le altalene e i giochi per bambini. Una ragazza è seduta poco più in là, sta leggendo un libro mentre un bambino gioca sulla sabbia con secchiello e paletta.
《Mamma, guarda!》esclama fiero della suo castello.
Lei si alza e si avvicina al bambino complimentandosi. Quando si gira e riesco a vederla in faccia mi rendo conto che è molto giovane per essere una madre. Al giorno d'oggi le ragazze hanno un figlio prima di poter vivere al meglio la loro vita. Mi chiedo cosa farei se mi capitasse una tale responsabilità. Non sarei pronto. Alza gli occhi per un secondo su di me, ma io distolgo lo sguardo e continuo a camminare facendo finta di niente.
《Mamma, piangi?》sento dire il bambino.
《Non è niente, è perché ti voglio bene.》
Non mi giro. Ci si può emozionare così? Non credo che lo comprenderò mai.
-
Suono il campanello di Charlie e aspetto una risposta.
Dei passi si fanno sempre più pesanti finchè non cessano del tutto e la porta si apre.
《È successo qualcosa?》 Chiede preoccupato.
《No.》Mento. 《I miei vicini facevano troppo rumore. Posso riposarmi qui?》
《Certo, entra pure.》si fa da parte e io entro in casa sua. Non è molto grande, è arredata in stile demodè, pareti da riverniciare e tutto troppo disordinato per uno puntiglioso come me. Mi siedo sul divano.
《Vuoi qualcosa da bere?》
《Una birra va bene.》
Annuisce e si allontana in cucina.
Improvvisamente ho di nuovo quel terribile dolore alla testa, persiste, non si ferma. É tutto buio, non riesco a vedere niente. Qualcuno chiama il mio nome che in questo momento sembra così estraneo.
《Andiamo svegliati!》
Apro gli occhi di scatto.
Mi sembra di aver dormito per ore. A fatica riesco a ricordare dove mi trovo.
《Forza, alzati. Ti porto in ospedale.》
Sobbalzo.
《Cosa? No.》dico serio.
《Stai scherzando? Sei svenuto.》È paonazzo.
《Oggi non ho mangiato.》 Mento.
In realtá so bene da dove provengano queste fitte e questi mancamenti e ora stanno peggiorando.
《Non dire stronzate, andiamo.》
《Non mi serve un medico.》dico a denti stretti.
《Senti, Davis.》dice marcando la voce sul mio nome. 《Conosciamo entrambi il motivo, e non è niente che possiamo trascurare. È grave, capisci?》
Charlie è l'unico a sapere dei miei problemi. L'unico che conosce parte della veritá e di cui mi fido, e come tale si preoccupa parecchio.
Gli metto una mano sulla spalla. 《Andrò a fare un controllo stasera. Prima passo a casa a fare una doccia fredda.》
Mi guarda in modo strano, sembra non mi creda.
《Ti accompagno.》
《No.》Scatto.
Non può scoprire dove abito. Se lo sapesse qualcuno finirebbero per saperlo tutti, ecco perchè devo stare attento a Nora. Sono sicuro che non terrà la bocca chiusa a lungo.《Va bene vosì, prendo il bus.》
《Ma a quest'ora non...》
《Ci vediamo domani!》Urlo dalla porta.
Inizio a correre e questo non fa che peggiorare le mie condizioni. Do una spallata a un signore facendogli cadere la busta della spesa ma non mi volto nemmeno per scusarmi e continuo spedito verso casa.
Appoggio le mani sulle ginocchia e cerco di riprendere fiato. Guardo l'orologio da polso: ci ho messo esattamente dieci minuti. Cerco di fare attenzione e salgo dalle scale sul retro, alzo lentamente la finestra ed entro nella soffitta. Mi rendo conto che non è un gioco, sto scherzando con la mia salute e con la mia vita. Potrei finire anche in carcere ma lo sto facendo per riempire questo vuoto che mi attanaglia da tempo. Non è stato un semplice incendio, lo so, e io devo scoprire cos'è successo a tutti i costi.
Mi spoglio velocemente ed entro in doccia. Mi gira la testa, l'acqua che sbatte contro di me genera un rumore assordante. Cerco di vestirmi e faccio sparire ogni traccia. Metto la biancheria sporca e la tovaglia bagnata in una busta. Prendo il cellulare ed esco senza far rumore.
Non capisco se sia io a sentire tutto questo caldo o se effettivamente la temperatura si sia alzata. Mi sfilo la giacca e rimango in camicia. Mi sento fin troppo elegante ma è solo la mia tenuta di lavoro. Cammino a passo spedito. Peyton si arrabbierà da morire se ritardo un'altra volta.
Passo davanti una serie di negozi e per pura coincidenza vedo una ragazza dal passo incerto che si guarda intorno con discrezione. Se non fosse proprio Nora, penserei a un suo clone.
La osservo da lontano, a volte si ferma davanti a una vetrina, ispeziona il contenuto per qualche secondo, storce il naso è continua a camminare. È proprio buffa. Possibile che abbia gusti così difficili? Mi avvicino sempre di più a passo felpato e quando sono abbastanza vicino le pizzico il braccio da dietro. Sobbalza e lancia un gridolino.
《Che idiota!》Esclama imbarazzata dalla sua stessa reazione, mentre io me la rido beatamente.《Speravo ti fossi tolto dai piedi.》
《Guarda caso lavoro lì.》indico il bar a pochi metri di distanza. 《E tu lo sai benissimo.》
Socchiude gli occhi. 《Guarda che non ti stavo seguendo, aspetto un'amica.》
《No, mi stavi aspettando.》
Sbuffa. 《Non dire sciocchezze.》
Ha il naso arrossato e tiene un'enorme sciarpa rosa cipria avvolta intorno al collo che le ricade sul petto. Il cappotto lungo fino alle ginocchia non mi permette di vedere che cosa abbia di sotto, a parte i jeans.
《Non ti piacciono i leggins?》cambio argomento.
Alza un sopracciglio. 《Che domanda é?》
《Non ti ho mai vista indossarli.》
《Sono fatti miei.》Mi volta le spalle e continua a camminare.
《Ti starebbero bene.》le dico a qualche millimetro dall'orecchio.
La sento irrigidirsi e io canto vittoria.
《Ci vediamo, o il mio capo mi dimezzerà lo stipendio.》
Si gira a guardarmi, e anch'io la fisso per un tempo troppo lungo, indeciso su cosa fare.
《Grazie per avere tutta questa pazienza con me.》sussurro prima di allontanarmi e ho l'impressione che i suoi occhi freddi siano ancora puntati su di me.
Non appena entro dalla porta qualcuno mi urla addosso.
《Davis, era ora! Guarda quanti ordini ci sono!》 Peyton mi lascia un mucchio di foglietti sul banco.
《Ciao anche a te.》rispondo ironico. Vado a posare la mia roba di là e do la busta con la biancheria sporca alla donna delle pulizie. Non ho avuto tempo di portarla alla lavanderia.
Sistemo le maniche della camicia. Un Negroni, due rossini, un mojito. Facile. Cerco tutto ciò che mi occorre sugli scaffali e mi metto all'opera.
Jasmine, la cameriera, mi porta altri cinque ordini.
Mi guardo intorno nel locale affollato, è pieno di gente che ha voglia di spendere soldi in aperitivi. Il mio mal di testa aumenta e io socchiudo gli occhi nel tentativo di contrastarlo. Quando li riapro del tutto vedo Joanna con Alex seduti a uno degli ultimi tavoli con degli amici. Cerco di fare l'indifferente e senza farmi notare vado a prendere del ghiaccio nel magazzino. Quando riappargo Alex sta aspettando di ordinare davanti al bancone.
《Non ci credo.》 Spalanca la bocca sorpreso e io distolgo lo sguardo.
《Lavori qui?》
《Giá, così pare.》Mi ero dimenticato di dirglielo.
《Cavolo, Davis!》esclama sua sorella dall'altro lato della stanza.
Si precipita davanti a me e ammicca un sorriso. Probabilmente pensa che dopo la sveltina dell'altra volta mi importi qualcosa, ma si sbaglia.
《Ciao.》dico in tono freddo.
La guardo meglio, i tratti del viso non sono delineati fino in fondo, mi chiedo se realmente abbia diciannove anni. Mi soffermo di più sul suo seno e sui suoi fianchi snelli. Anche se non fosse, quel che è fatto è fatto.
《Come mai non me lo hai detto?》
Esito prima di rispondere e Joanna si intromette ancora una volta. 《Oh, David è parecchio riservato. Quando vuole.》
La guardo male e sembra accorgersi di aver parlato troppo.
Alex ci guarda confusi, e io entro nel panico.
《Davis, comunque.》
《Oh...si. Comunque intendevo dire che tutti sanno che fuma erba, su questo non è stato attento...》blatera cercando di inventare qualcosa di concreto. Alex sembra crederci e cambia argomento. Dopo aver ordinato torna a sedersi, invece lei rimane a osservare ogni mia mossa.
《Cos'è quello?》chiede.
《Serve per mischiare tutto.》
《E quello?》
Sbuffo. 《Un semplice cucchiaio.》 Glielo sventolo davanti alla faccia.
《Oh.》la sua espressione si rabbuia.
《C'è qualcosa di cui hai bisogno?》chiedo stufo della sua presenza. Si sistema i capelli che stavolta tiene legati in una coda di cavallo e cerca le parole adatte.
《Riguardo a quella volta, non voglio che tu pensi...》lascia la frase a metà.
Sono stufo di sentirla blaterare cose senza senso solo per il piacere di chiacchierare con me.《Insomma, che sono una facile.》
《Tranquilla.》mi limito a dire, più che altro perchè mi riesce difficile capire cosa sta succedendo. Improvvisamente la vista mi si appanna e faccio fatica a captare i suoi movimenti e i miei.
《Mi stai ascoltando?》sento la sua voce riecheggiare nella mia testa.
Mi appoggio al bancone perchè tutto intorno a me inizia a girare. Cado a terra picchiando la spalla sinistra sul pavimento gelido. Un altro flashback; un urlo di terrore, il volto di una ragazza bellissima che mi guarda con terrore.
《Chiamate un'ambulanza!》Urla qualcuno.
L'ultima cosa che sento prima di perdere i sensi è il sovraffollarsi delle voci intorno a me.
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