53 ~ Davis ~ + 108

L'auto si ferma davanti una piccola casa a due piani, stretta e abbastanza alta dal colorito verdastro. Davanti c'è un cortile con delle siepi e alcuni tavoli, una piccola auto dell'ottocento bianca e un cane che ci fissa scodinzolando. Fantastico.
I miei supervisori aprono la portiera dell'auto e mi fanno cenno di scendere. Per tutto il viaggio non hanno ceduto alle mie richieste di togliermi le manette e iniziano a darmi fastidio. Vorrei tagliarmi i polsi. Ci avviciniamo alla porta in legno scuro e attendiamo una risposta. I due si guardano e bisbigliano qualcosa, poco dopo si sente lo scatto di una serratura e un vecchio sui settant'anni ci osserva uno ad uno.

«Salve, siamo qui per suo nipote. L'abbiamo contattata qualche giorno fa e come ben sa non ha una casa in cui vivere, essendo un...»

«Criminale?»  chiede il vecchio con una voce acuta. Alzo gli occhi al cielo mentre mi rivolge un'espressione sdegnata.

«Si, esatto. Se permette...»

Si fa da parte per lasciarci entrare. Ho provato ad immaginarlo molte volte, l'unico parente che mi è rimasto e che si era offerto di occuparsi di sistemare la casa dopo l'incidente. Ha ristrutturato, l'ha messa in vendita e ha aspettato che mi risvegliassi dal coma. Ma dopo un anno non dando segni di vita ha deciso di lasciarmi una lettera con delle spiegazioni e il suo indirizzo, per poi tornare in Italia nella sua piccola dimora che puzza di chiuso. Probabilmente sospettava che non mi sarei risvegliato.

Mentre girovago per il corridoio e guardo alcuni quadri stile ottocento appesi al muro i poliziotti gli spiegano i termini da seguire.
Non ho la mia roba, né il mio cellulare, vestiti o quello stupido quaderno. Comunque Nora li avrà già buttati via.
Sospiro, forse non la amavo abbastanza. Aver incontrato Grace mi ha scombussolato. Devo sapere che cosa è successo e lei è l'unica che possa dirmelo.

Entro nel salotto, il vecchio sta firmando alcuni fogli e un agente finalmente mi toglie le manette. Strofino le dita sui miei polsi liberi, anche se non lo sono fino in fondo.

Dopo molto tempo finalmente se ne vanno lasciandoci soli.

«Bene.» proferisce nel silenzio della casa, tiene le mani congiunte dietro la schiena. «La tua stanza è di sopra, quella davanti alle scale.»

Annuisco e distolgo lo sguardo ma sento i suoi occhi appiccicati addosso.

«Si può sapere cosa c'è da guardare?»

Scuote la testa. «Cosa ti è saltato in mente? Sei peggio di tuo padre.»

Stringo i pugni. «Devi farmi la ramanzina?»

Sbuffa. «Sei un po' troppo cresciuto per questo.»

Giro le spalle e mi dirigo verso la mia camera.

«Questa busta è per te.» lo sento dire. Leggo il suo nome sul fronte e lo guardo interrogativo. «È stata indirizzata a me perché non hai un indirizzo. Lascia che ti dica che sei un imbecille, spingerti a tanto.» scuote la testa e io gliela strappo di mano allontanandomi. Nemmeno mi conosce e si prende la briga di insultarmi.

Mi chiudo a chiave tra le quattro mura spoglie, c'è un letto a rete, un armadio e una scrivania. Queste case italiane hanno uno stile ben diverso da quelle inglesi, soprattutto quelle country. Tra l'altro mio zio ha un pessimo senso dell'arredamento.

«Mi perdoni se ho indirizzato questa lettera a lei, signor Hook, ma questo è l'unico modo per poter contattare Roy.» Fa così strano sentirmi chiamare così, penso tra me e me. «La prego di essere clemente e consegnarla nelle mani giuste quando sarà opportuno.

Ciao. Non so più come rivolgermi a te arrivati a questo punto, ma non è questo che voglio rimproverarti. 
Siamo troppo egoisti per parlare occhi contro occhi, è sempre stato questo il problema. Non ti sei mai fidato di me, hai preferito essere ingiusto e ferirmi. Mi hai scelta come burattino da manovrare e io ho scelto di lasciartelo fare dandoti fiducia. 

Ora me ne lavo le mani. Non ti affronterò e nemmeno ti odierò per ciò che mi hai fatto. Odierò me stessa per averci creduto e per amarti anche ora che non dovrei. Con questo non pretendo compassione, non mi aspetto una spiegazione né che tu torni.

L'appartamento resterà vuoto, spoglio delle nostre risate e dei nostri gemiti, cupo senza il nostro amore che lo illuminava da ogni angolo.
Sei molte cose, tu. Sei Davis o Roy? Sei la persona che conosco oppure no? (A questa domanda posso già rispondere.) Sei un falso, un egoista o un traditore?
Ci sarebbero un mucchio di cose da chiederti ancora, ma soprattutto: sei un ladro?
Penserai ai soldi, ma non mi riferisco a questo. Hai commesso un furto più grave, hai rubato la mia anima. E io sono terribilmente arrabbiata con te, non troppo per aver costruito su una menzogna la nostra storia, ma perché mi hai tolto quello che custodivo con più gelosia. Non ne hai nemmeno avuto cura, come di solito si fa con un telefono nuovo o un cucciolo smarrito. No, sei stato sadico.
Ps. Consegnerò le tue cose a "Grace "perché penso sia giusto così, infondo c'è sempre stata lei prima di tutto.»

Appallottolo il foglio e lo butto nel cestino, come se volessi cancellare questo senso di colpa opprimente. Se con Grace è finita un motivo ci sarà, eppure io mi sento inevitabilmente legato al passato. Ho ferito una persona con la quale avrei potuto avere una vita normale per rincorrere qualcosa di nocivo e distrutto per sempre.
Scorgo una scatola poggiata sulla sedia vicino al tavolo e mi avvicino. La superficie è di un azzurrino chiaro e sollevandola mi accorgo che è parecchio pesante. Sono un paio di scarpe?
Sollevo il coperchio, mi sbagliavo. Dentro vi sono album pieni zeppi di foto, e poi pagine strappate da un diario, alcune ingiallite dal fumo. Mio zio deve aver accaparrato le poche cose rimaste in casa e le ha raccolte qui, lasciandole ad aspettarmi.

Ecco me da piccolo mentre costruisco una torre di Lego, e ancora me in braccio a mia madre. Era una bella donna, non la ricordavo così. Un'altra foto immortala me e i miei genitori intorno una torta di compleanno con una sola candelina, subito dopo una in cui mi sporco con la panna la faccia e le mani. Sorrido e vado avanti.
Ecco una bambina bionda, è sicuramente Grace. Vado avanti e man mano che aumentano gli anni mi sembra di notare qualcosa di familiare. Non ricordo assolutamente nulla, ma è come se avessi un déjà-vu.

Prendo in mano l'ultima foto: un primo piano di me e Grace. Lei con un vestito bianco che risalta il pallore della sua pelle, io con una camicia di jeans e i capelli ancora lunghi. Ero proprio brutto visto accanto ad una ragazza così bella, i lineamenti della mascella netti e il naso ben tondo e piccolo. Occhi chiari, e che occhi. Labbra sottili. Niente a che fare con Nora, due bellezze diverse.
I fogli descrivono alcune giornate, dettate da una donna.

«Caro Harry, mi piace chiamarti così. La parola diario suona così apatica.
Oh, sono così infelice. Cosa mi tormenta? Me stessa. Un attimo prima sono contenta e l'attimo dopo arrabbiata. Non so controllarmi e non ne capisco il motivo. Roy si sta allontanando da me, ma io spero che sia temporaneo.
Il nuovo lavoro lo gratifica molto, ma io non voglio che parta. Assistente di un professore universitario, a cosa potrà giovargli? Lui è nato per fare l'astronomo. Ah, quante teorie potrebbe formulare.
Ad esempio, come muterà l'universo quando capirà che abbiamo cambiato il destino, che siamo la prova del più grande degli amori. Quante stelle scoppieranno dinnanzi a tanto ardore?
Oh, ma lui ancora non lo ha capito. Ti garantisco che se ne renderà conto.»

«Oggi nevica. Odio la neve e questo mi tiene confinata in casa. Comunque non sarei uscita lo stesso.»

Smetto di leggere. Cosa diavolo dovrebbe interessarmi? Sbuffo e prendo l'altra busta dentro la scatola, sulla quale stavolta c'è scritto: per Davis/Roy. Ciò mi preoccupa. C'è una collana con un ciondolo luminoso, sembra a forma di stella. La rigiro tra le mani e poi lo poggio davanti a me.

Spiegazzo un'altra lettera.

«Caro amore perduto, avevo previsto tutto quanto, in caso ti avessero scoperto ho pensato bene di far arrivare questo pacco in Italia. Se stai leggendo questo biglietto significa che le mie previsioni erano esatte. Ho deciso di raccontarti com'è andata davvero, non è bello vivere nel dubbio. Solo io posso mettere fine alle tue sofferenze, nemmeno nostro zio. A proposito, è simpatico? Io lo immagino un uomo burbero e in carne come nostro padre.
È vero, non puoi ricordarti ma è successo proprio questo. Lui un ubriacone fallito che aveva perso il lavoro, sempre contro di noi e il nostro amore. Nostra madre era una donna stressata e sofferente che acconsentiva le sue scelte e gli dava persino ragione.
Tutto si riassume in un'unica frase abbastanza logica: li ho uccisi io.
Mi chiedo se lo avessi già capito o escludessi questa possibilità.
In tal caso, ti spiego perché: tu tramavi a mia insaputa di rinchiudermi in una clinica. Volevi essere libero, realizzare il tuo sogno e andartene senza di me.»

Un flashback mi riempie la testa: le sue urla, le mie. Pugni sbattuti nel muro.

«Loro ti avevano messo in testa queste cose, dovevi portare avanti la famiglia, diventare qualcuno. Nonostante in passato ti fossi sempre ribellato, sei passato dalla parte del nemico. E a me chi ci pensava più? Il peggio è che volevi lasciarci entrambi.»

Resto a fissare quella parola confuso. la voce di una promessa risuona nella stanza. Guardo la collana e giurerei sia stata lei a parlare. Mi guardo allo specchio e mi rivedo in giacca e cravatta, nel giorno in cui avevo deciso di abbandonare quel posto. C'è solo lei nei miei lapsus mentali, nessun parente o amico di cui rammenti l'esistenza.

«Te lo avrei detto se me ne avessi dato il tempo, ma era una responsabilità così grande che mi faceva paura. Mi sono curata, ho faticato da sola senza nessuno accanto. Ho vissuto con un altro uomo un po' di tempo, fino a rendermi conto che dovevo ritrovarti. Ora abitiamo in un monolocale e io cerco di sostituirti. Leo mi ha sempre chiesto di te, è orribile dover mentire al proprio figlio dicendo che suo padre lavora in un posto lontano per mandarci i soldi.»

Il cuore mi martella nel petto. Vorrei che fosse tutto uno scherzo ma la foto contenuta nella busta dice il contrario. Il viso di questo bambino è così simile al mio, il suo sorriso, gli occhi scuri.
Le gambe mi cedono e mi costringo a sedermi. Passo un dito sul suo faccino incredulo, la mia esistenza è sconvolta. Perché non è venuta a cercarmi prima? Perché provare a dimenticare?

«Dannazione!» urlo buttando tutto a terra. Faccio due più due: tutto coincide. Il piccolo ha l'età che dovrebbe. Tutta la stanza gira, un ricordo riaffiora in me. È poco nitido ma capisco perfettamente che quella ragazza bionda con le lacrime agli occhi è Grace. È stata furba a cambiare identità, ma perché? Io l'ho fatto perché così nessuno mi sarebbe stato tra i piedi mentre indagavo, non mi sarei messo nei guai e soprattutto volevo ricominciare. Non volevo compassione, né che qualcuno si domandasse dove abitavo, come stavo, cosa facevo. Dovevo capire da solo, chi avrebbe potuto aiutarmi? Solo una donna di cui fino a qualche mese fa non sapevo l'esistenza. I giornali non parlano di lei perché non è morta. Una cosa è certa, il caso è stato insabbiato oppure non lo hanno mai risolto. Una frase giunge alle mie orecchie, alcune immagini mi passano davanti troppo velocemente.
Mi rendo conto che non c'è più nulla che io possa fare.
Avrei dovuto oppormi all'adozione di quella bambina fin da subito. Se solo avessi saputo.

E mentre quelle parole risuonano nella mia mente urlate con troppo odio, finalmente lo capisco dopo anni.
E sarò condannato per sempre. Niente potrà tirarmi fuori da questo baratro. Ho perso tutto, il mio passato, il presente, un possibile finale.

Bastava poco per facilitare tutto, solo dare retta all'unico sconosciuto che voleva occuparsi di me. Magari adesso la mia coscienza sarebbe pulita, non avrei ferito nessuno e avrei una vita dignitosa qui in Italia. Però sarei stato qualcuno che avrei stentato a riconoscere guardando allo specchio. Proprio come mi capitò anni fa.

Non avrei conosciuto Nora e il mio cuore non avrebbe battuto più così, ma sarebbe andata bene. Forse avrei avuto tutto l'amore per mio figlio e l'indifferenza per la donna che mi ha rovinato la vita. Perché ora lo so, penso cadendo sul cuscino.

«Lo so.» dico mentre le palpebre si abbassano per lo sforzo. Il nero mi inghiotte ancora e sarà così per molto tempo.
Dovrò abituarmi se non posso cambiare le cose. Ho già avuto una possibilità e l'ho sprecata, come tutte le volte che lei ha provato ad aiutarmi. Non mi resta che convivere con l'odio che serba per me, l'unico sentimento a cui posso aggrapparmi per non farla andare via.

Vivrò con i sensi di colpa finché i giorni che passano non li placheranno.
Sono pazzi a dire che il tempo ti fa vedere tutto nel modo giusto, alcune scelte sono nate dall'istinto, senza una logica. Dovremmo sempre pensare due volte prima di agire perchè possiamo ferire gli altri e noi stessi.

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