51 ~ Davis ~ + 90

«Allora, signor "Powell"...» il poliziotto fa una risatina isterica. Le ombre che la lampada proietta sul suo viso rendono tutto più tetro; mi sento proprio il protagonista di quei film polizieschi, il colpevole che viene catturato e sottoposto all'interrogatorio. «Non ha intenzione di rispondere? Come si chiama in verità?»

Sono così arrabbiato. Ho vissuto in incognito per tutto questo tempo e per colpa di quello stupido incidente la mia copertura è stata mandata a monte

«Forse potremmo prendere delle impronte digitali.» fa un ghigno. «O può semplicemente risparmiarci la fatica e dirlo lei stesso.» L'uomo dietro di lui in giacca marrone e distintivo mi guarda a braccia consente. È lo stesso con cui abbiamo parlato io e Nora quel giorno.

Sospiro. «Mi chiamo Roy Mikaelson.»

I due si scambiano un'occhiata.

«Mikaelson ha detto?» chiede sorpreso. Annuisco senza distogliere lo sguardo e lui sbuffa. «Chi lo avrebbe mai detto.»

Lo guardo serio ma dentro di me sono compiaciuto, il fatto che non se ne sia mai accorto nessuno mi rende un attore di fama internazionale. Esce dalla stanza lasciandomi solo con il collega che mi guarda divertito. «Non capitava un caso del genere da secoli. Lei è proprio un pazzo, se lo lasci dire.»

«So il fatto mio.»

Scuote la testa allibito e continua a interrogarmi. «Quanti anni ha?»

«Ventisette.»

«Cosa l'ha spinta a farlo? Quale college ha frequentato? Parli della sua famiglia.»

«Cuck, basta.» ci interrompe l'uomo di prima. Tiene un fascicolo in quelle mani grassocce. «Non ricorda nulla. Ha perso la memoria dopo l'incidente.»

Distolgo gli occhi, non mi piace che venga puntualizzato.

«Da quanto tempo va avanti questa storia?» mi chiede lui.

«Da sei mesi, quando ho ripreso conoscenza.»

Ormai non mi resta che rispondere a tutte le loro domande, tanto mi arresteranno comunque, per me è la fine. Penso a ciò che ho distrutto e mi viene in mente Nora. Chissà quante volte si sarà incolpata a causa mia. Quante volte si sarà ripetuta che avrebbe dovuto capirlo prima, starmi lontana. E invece ha continuato a cercare del buono dentro di me, a lottare anche quando dicevo menzogne che avrebbero dovuto tenerla  lontano da me. Non ha mai chiesto nulla e io avrei solo dovuto scuoterla per le spalle e dirle "apri gli occhi, sono quel mostro che descriveva Platone."

Annotano tutto su un taccuino e io osservo la penna tracciare delle linee di inchiostro sul foglio. Il ticchettio dell'orologio mi fa innervosire e anche che si voglia scavare nel mio passato. «Abbiamo finito? Siamo qui da due ore.»

«Se lei si fosse deciso a confessare sarebbe già su una fottuta panca di legno dietro quelle celle.» il commissario sbatte una mano sulla scrivania ma usa un tono di voce calmo. «Adesso, per favore collabori.»

Chiudo gli occhi e stringo la mascella. Sono sfinito. Tengo a freno l'impulso di spaccare tutto e prendere a pugni quei rotoli di grasso che ha sotto il mento e inizio a parlare come se fossi davvero in un film. «Mi chiamo Roy Mikaelson, ho ventisette anni. Due anni fa ho avuto un incidente e mi sono svegliato sei mesi fa in un letto d'ospedale. Non ricordo come ne perché, visto che ho perso la memoria. Se pensate che sia un truffatore vi sbagliate perché sono io ad essere stato derubato. Della mia libertà di scelta e di pensiero.»

Mi interrompe. «Non ricorda proprio nulla?»

«No. Anche se spesso ho dei flashback.»

«Di cosa?» chiede l'altro.

Stringo i pugni. «Sono cose private.»

Scoppia a ridere in modo ironico. «Qui non c'è niente di "privato".» mima le virgolette con le dita e io gli lancio uno sguardo omicida.

«C'è una ragazza.» sillabo. «Io le ho fatto qualcosa per cui mi odia.»

«Cioè?»

«Dannazione, non lo so!» urlo.

I due non sembrano intimoriti, probabilmente ci sono abituati.

«Ha detto che non è un truffatore poco fa?» ride.

Sospiro. «Non ho rubato nulla, non ho nulla. Perquisite casa mia se non ci credete.»

«Vorrà dire casa della sua ragazza.»

Ho un groppo alla gola ma rimango zitto. «Mi sono sempre ammazzato di lavoro, giorno e notte per riuscire a mantenermi. Su questo non ditemi che non sono stato onesto.»

«E dove ha vissuto prima di incontrare lei, ci dica?»

Stringo i denti. Se confesso avranno un reato in più per cui condannarmi, ma cosa potrebbero fare di peggio? «Nella sua soffitta.»

Mi guardano come se avessi detto la cosa più normale di questo mondo. «Quindi la conosceva già da prima?»

«No.» 

Ecco, ora le loro espressione sono intontite. «Si spieghi meglio.»

«Loro hanno comprato quella casa ma io ci vivevo già abusivamente. Di nascosto. Ho pensato a tutto, ogni mossa. Questa è violazione di domicilio, lo so. Poi però lo ha scoperto ma non mi ha denunciato. .» Racconto con nostalgia e sento salire il magone. «Io l'ho fatta innamorare, capite? Di una persona orribile, di uno che nemmeno esiste. Io sono questo» mi indico «un bugiardo, meschino, che non ha niente. Volevo solo scoprire come sono morti i miei genitori, ricordare. Trovare lei. E ho usato una povera ragazza innocente.» faccio una pausa e rifletto. «Anzi, sapete una cosa? Ho persino rubato. La sua felicità, ecco cosa. Se dovete arrestarmi, fatelo per questo.» gli porgo i polsi paonazzo in volto. Le orecchie mi fischiano ma non ho paura di cosa succederà. Mi sento uno stupido ad aver detto queste cose sperando che si impietosissero. Queste cose succedono solo nei film.

Loro mi ammanettano e mentre mi conducono fuori dalla stanza. Mi chiedono se voglio chiamare qualcuno, ma io rifiuto. Non ho nessuno che mi aiuterebbe.

Un altro agente ci ferma. «C'è un parente dell'uomo fuori. Dice di essere la sua ragazza.»

Il cuore mi batte più veloce del previsto e il mio sguardo passa in rassegna quello di tutti i presenti nella stanza. Com'è possibile che Nora sia qui? Vuole insultarmi, sbattermi in faccia il suo dolore cercando di ferirmi? Qualunque cosa stia pensando non la otterrà.

«Ha tempo cinque minuti.» mi spinge verso la direzione opposta lungo un corridoio e arriviamo in una sala ricevimento. Indica un punto davanti a me e quando sono abbastanza vicino da focalizzare la vista, rimango pietrificato dietro al vetro che ci divide. Camilla prende la cornetta e aspetta che lo faccia anch'io per poterla sentire.

«Che ci fai qui? Sei venuta ad accertarti?»

Ha un'espressione compiaciuta. Ha capito che mi riferisco al nostro segreto, ma non ho detto a nessuno che l'ho aiutata a scassinare la cassaforte. La mia parte di soldi è stata più che sufficiente a farmi tenere la bocca chiusa.
Mi viene in mente la nostra ultima conversazione, quel giorno in cui ho mentito a Nora.

«Ciao, Roy.» dice dopo una lunga esitazione e a me si contorce lo stomaco.

«Come lo sai?»

Sorride sempre di più. «Aspetto questo momento da mesi. Ho provato un mucchio di discorsi, ma questa frase ad effetto faceva più da Giallo.» fa una risatina, la stessa che a volte sento nei miei incubi. «Ti ho tenuto d'occhio, sai? Per tanto tempo.» calca la voce sulle ultime parole.

Non può essere. Non deve essere. Indietreggio con la sedia come se potesse uccidermi, ma che stupido sono. Vorrei scappare, gettarmi sotto una macchina e farla finita ma i miei occhi non si spostano dai suoi. Occhi chiari come delle spighe di grano, pelle chiara e labbra rosse. Non ha più i suoi lunghi capelli, ora porta un taglio da uomo color corvo, ma i tratti del viso sono uguali alla ragazza del mio sogno. Ad un tratto mi rendo conto che non era solo la mia immaginazione e giocarmi brutti scherzi, ma che è sempre esistita.

«Oh, vedo che lentamente stai collegando tutto.» continua in tono macabro. Non riesco a credere di non averlo mai capito. Ecco perché insisteva nello starmi appiccicato, perché quando abbiamo ballato mi sentivo teso. Ecco spiegato il motivo per cui odia Nora, e io quel pomeriggio ho preferito Camilla a lei.

«Ciao mio rinnegato amore, sono Grace

Socchiudo le labbra. R e G siamo noi, ecco cosa stavano a significare quelle lettere. Da quando l'ho scoperto non riesco a smettere di pensarci. Ecco a chi mi riferivo in quello stupido diario. Finalmente l'ho trovata, avrò le risposte che cerco.
Un secondo dopo mi rabbuio ricordando le cose cattive che ho scritto su di lei, ma ora sembra così diversa. Forse è più matura e soprattutto bella, devo riconoscerlo.

Le mie dita sono intorpidite. «Io...» per la prima volta non so che dire,la mia lingua è asciutta. Non per il fatto che non mangio o bevo da un giorno, ma per lo shock. Come dovrei rivolgermi se non so più cosa e quanto abbiamo condiviso? «Perché non me lo hai detto prima?» mi affretto a dire.
Quel giorno non mi ha nemmeno lasciato il tempo di fare domande, è andata via subito e adesso probabilmente sarà l'ultima volta che ci vedremo.

Fa spallucce. «Aspettavo il momento giusto. E poi eri così preso da quella ragazzina. Quanti anni avete di differenza, otto? Sono un po' tanti.»

Mi innervosisco. «Lascia stare l'età. Piuttosto, trova il modo di farmi uscire da qui.»

Il suo viso diventa serio. «Oh, Roy... ci ho provato. Ma non hanno ancora deciso una sanzione e non credo ci riuscirei.»

Stringo le dita attorno al cavo del telefono. «Dimmi com'è successo, ho diritto di sapere.»

Proprio mentre sta per aprire bocca una guardia ci interrompe trascinandomi via. «Tempo scaduto.»

«Aspetti, merda!» mi dimeno ma lui non demorde. Mi giro verso Grace che ha entrambe le mani sul vetro e mi guarda preoccupata. "Ci rivedremo" mima con le labbra. E io vorrei poter credere che sia così, anche dietro queste sbarre fredde dietro cui mi hanno chiuso.

«Resterai qui il tempo necessario a decidere cosa fare. Non lamentarti, non fare domande.» mi lancia un sacchetto prima di andarsene. Lo raccolgo da terra e ne scopro il contenuto: un pezzo di pane. Con la sete che ho mi sarà d'aiuto. Mi siedo in un angolo e guardo dalla piccola finestra in alto il cielo azzurro che si intravede. Lui si che sprigiona gioia al contrario di questo pavimento in cemento grigio. Chissà quanti prima di me sono stati seduti in questo punto.

Ero vicino alla verità, stavo per scoprire tutto. Sarebbero bastati dieci secondi, non di più. E invece la vita è stata crudele, ha deciso di punirmi ancora. Cosa ne sarà di me, adesso?

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