47 ~ Nora ~ + 100
Tornare a casa mia fa sempre uno strano effetto. Anche se convivo con Davis ogni settimana vado a trovare i miei genitori, un po' perchè mi mancano, un po' per rassicurarli sulla mia salute.
«Ciao ragazzi, entrate!» esclama mio padre. È così entusiasta tutte le domeniche. «Come va il lavoro Davis? E tu Nora, come va al college?»
«Bene.» rispondiamo all'unisono. Essere bombardati di domande ormai è un'abitudine. Togliamo il cappotto lasciandolo all'ingresso e lo seguiamo in cucina. Mia madre ha fatto un sacco di cambiamenti: ha tolto i vecchi mobili e li ha sostituiti con altri più moderni. Ha tinteggiato le pareti di un altro colore togliendo la carta da parati precedente ma ha lasciato i lampadari antichi che creano un bel contrasto con l'arredo moderno.
«Ciao mamma.»
«Signora Anderson.»
«Ciao.» risponde non riuscendo a trattenere un sorriso. «Noti niente di diverso? Oltre la casa.»
La squadriamo da capo a piedi e resto sorpresa nel constatare un leggero rigonfiamento. «La tua pancia!» mi avvicino a toccarla e lei solleva la maglia.
Davis si lascia scappare un apprezzamento, mio padre dietro di noi fa una risatina e poi le da un bacio sulla guancia. I due si allontanano di là e io la aiuto con le bruschette. Sono felice di essere con loro oggi e per tutto il tempo non facciamo altro che scherzare e raccontarci delle nostre giornate.
Il campanello suona. «Devono essere i vicini.»
Sento una voce femminile provenire da fuori ma non sembra quella di Margaret.
«Certo, entra.» sento dire a mio padre, ha cambiato tono di voce e non è per niente un buon segno. Quando una sagoma varca la soglia tutti restiamo disorientati.
«Lauren.» proferisce in tono amorevole. A distanza di tanti anni è irriconoscibile, il viso è pieno di rughe e fondotinta, più magra e con un caschetto grigio: la madre di mio papà, la persona con la quale avrei dovuto condividere tante gioie.
«Ciao.» biascica.
Davis mi guarda sorpreso e io faccio una smorfia.
«Quando avevate intenzione di dirmi che sei incinta?» Nessuno dice niente, sono chiaramente a disagio. Si gira verso di me. «E tu? Quanti anni hai adesso?»
«Quasi venti.» rispondo seccata, dovrebbe saperlo.
Davis si fa avanti e le porge la mano. «Piacere.»
Lo squadra dalla testa ai piedi con un'aria snob e si sistema il tailleur color avorio. «Chi saresti?»
«Il mio ragazzo.» intervengo calma.
«Cosa?» chiede oltraggiata. «Sei solo una ragazzina. E voi siete d'accordo?» Li guardo irritata e sto che ribattere ma mio padre la interrompe.
«Non vedo che problema ci sia.» ribatte piccato. «Nora, per favore.» mi intima ad allontanarmi così noi due saliamo in camera. È assurdo che dopo anni piombi qui dal nulla e inizi a criticare la nostra vita.
«Che ha che non va quella donna?» mi chiede sottovoce.
Sbuffo. «Quella donna per mia sfortuna è mia nonna.» Sbatto la porta alle nostre spalle.
«Potresti spiegarmi?» fa spallucce.
«Hai ragione, scusa.» Non ho nemmeno pensato che lui potesse sentirsi disorientato o addirittura escluso. Non parlo mai della mia famiglia.
«Mio padre si è trasferito in Italia dopo aver conosciuto mia madre.» inizio a raccontare e lui si siede sul letto attento a ogni mia parola. «Era molto giovane all'epoca, lei andava all'università di Roma e lui lavorava lì vicino. Mia nonna non la prese molto bene perchè avrebbe voluto il suo unico figlio vicino.» Davis annuisce e sembra molto perplesso da ciò che sto dicendo.«Sai... non la biasimo per il suo comportamento, deve aver sofferto parecchio ma averci trattato come se non fossimo esistiti non la giustifica. E adesso che siamo qui, ne approfitta per sistemare i rapporti?»
«Certo.» abbassa gli occhi e fa una smorfia.
«Ho incontrato i miei nonni solo tre o quattro volte. Non ricordo di aver mai visto tutta la mia famiglia riunita...» lascio la frase in sospeso e stringo i pugni.
«Shh, calmati.» mi tira a lui e mi stringe.
«Da bambina ho sempre desiderato venire qui, ma i miei genitori non hanno mai voluto.»
«E invece gli altri tuoi nonni?»
Sospiro. «Loro abitano nel sud Italia. Li andavo a trovare tutte le estati.»
«Sono diversi da lei?»
Annuisco. «Decisamente. Non so chi sia peggio. Hanno una mentalità molto chiusa. Non ho mai avuto il piacere di condividere un segreto con mia nonna, farle vedere i vestiti che avevo comprato o dirle del ragazzo che mi piaceva. Per me è come non averla una nonna.» sussurro con la faccia pressata sul suo petto. Le sue dita mi accarezzano i capelli, vogliono incutermi tranquillità ma sono troppo arrabbiata.
«E tu? Non so niente di voi ora che ci penso.» L'unica cosa che mi ha detto è che i suoi sono divorziati e si è trasferito qui per lavoro, è stato molto superficiale.
«I miei nonni sono morti, il resto lo sai.» resta vago.
«Tutti?» chiedo sorpresa.
Annuisce.
«Mi dispiace.» mi rattristo per lui. «La famiglia distrutta è una delle poche cose che abbiamo in comune.»
«Ehi.» mi solleva il mento con un dito. «Noi due colmiamo ogni mancanza.»
Guardo i suoi occhi scuri, ha proprio ragione Non ha senso passare la vita a rincorrere chi non vuole esserci. Ora che ho trovato una costante non dovrebbe più importarmi di nessuno. Perché io lo amo, con tutto l'amore che non ho potuto dare agli altri.
«Ragazzi?» mio padre compare sulla soglia ma nonostante ciò non mi stacco dalla sua presa. «È pronto.»
Entrambi ci alziamo.
«Non farci caso, d'accordo?» si rivolge a Davis poggiando una mano sulla sua spalla. «Mia madre è ancora sconvolta dalla morte del marito.»
«Cosa?» domando sorpresa. Non ne sapevo nulla.
«Nessuno lo sapeva, ma ora non parliamone.» dice sottovoce, probabilmente per nascondere la malinconia che prova.
La tavola è già apparecchiata e mia madre sta scherzando come se niente fosse, anche se si capisce che è una risata forzata.
Salutiamo Margaret e Joe che si stanno presentando. «Come state? Non ci vediamo da tanto.»
«È vero.» lei mi abbraccia e mi godo il momento, poi prendo posto vicino al mio ragazzo che mi stringe la mano incoraggiandomi.
Tutti fanno finta di niente. Con mia grande delusione mia nonna non accenna nemmeno a chiedere scusa, il che mi fa innervosire di più.
Le lancio uno sguardo truce ma subito incontro quello rassicurante di mia madre. Sembra che voglia che la smetta, se può farla felice fingerò come tutti.
«Facciamo un brindisi a mia nuora, che porta in grembo il mio secondo nipote.» Alza il bicchiere davanti a sé.
«Grazie Elsa.» risponde cordialmente.
Poi mia nonna tracanna in un sorso il vino che vi era dentro, riempendolo con troppa foga una seconda volta.
«Credo che abbia ragione tuo padre.» mi sussurra Davis.
Questo non significa che io abbia compassione. Cerco di concentrarmi sui ravioli e l'anatra a forno e sulle chiacchiere degli altri. Io non ho nulla da raccontare, tutto quello che c'è da sapere si riassume nella persona che ho al mio fianco, e va bene così.
Mi accorgo che Joe fissa Davis troppo insistentemente. Lui sembra a disagio. Cosa vuole?
Dopo pranzo l'atmosfera si è un po' alleggerita, merito del vino. Anche Davis si è cimentato nel raccontare aneddoti divertenti sul suo lavoro, ma ho il sospetto che molte cose le stia inventando per conquistare la loro simpatia.
«Sei così silenziosa.» mi dice Margaret.
Scuoto la testa. «Non è nulla.»
«Forse hai bisogno di zuccheri.» si alza e tira un vassoio di pasticcini dal frigo. Tutti la acclamano quando lo poggia a tavola. Ce ne sono di ogni tipo. Ne prendo uno farcito con la crema al pistacchio che le avevo regalat. Trovo che sia una vera goduria. Davis si avvicina per farmi assaggiare il suo e io gli do un morso. Lui fa lo stesso e mi accorgo che mia nonna ci sta fissando ma distoglie subito lo sguardo. La ignoro e mi complimento con Margaret. Mio padre propone di giocare a carte e purtroppo tutti sono d'accordo.
«Sul serio?» mi chiede Davis.
«No.» mi alzo e lo tiro per il polso verso il piano di sopra, nessuno si accorge della nostra assenza.
Stavolta chiudo a chiave e gli salto al collo schiacciandolo contro la porta. Mi prende in braccio e mi porta sul letto senza staccarsi da me.
La passione esplode tra di noi, e ancora una volta io desidero essere sua come la prima volta che è successo. E lui esaudisce la mia richiesta, con un gesto rapido abbassa i miei leggins attillati mentre io faccio lo stesso con lui. Non sento più le chiacchiere del piano di sotto, la tensione si allenta e i miei muscoli si rilassano sotto il suo corpo.
«Spero di non pentirmi di averlo fatto proprio in camera mia. Se ci lasceremo non potrò più tornare qui.» cerco di scherzare ma c'è un fondo di verità in quello che dico.
Mi bacia in fronte e mi guarda con serietà, vuole darmi la conferma che posso fidarmi di lui.
-
«È stato un piacere conoscerti.» Mia nonna si rivolge a Davis ma io non la guardo.
«Mi fermerò in hotel qualche giorno, non abito proprio vicino. se vuoi possiamo passare del tempo insieme.» si rivolge a me.
«Ho molto da studiare.» mento. Non mi interessa riprendere i rapporti proprio ora.
Sembra delusa e abbassa lo sguardo. «D'accordo, se cambi idea...»
«Grazie, ma no.» taglio corto usando un tono duro.
Quando finalmente siamo fuori lascio andare un sospiro. «Caspita, quanta pressione!»
«Te la sei cavata bene.» fa lui.
«Stavo per esplodere.»
«Ma non lo hai fatto.» sorride.
«Merito tuo.»
Mi circonda le spalle con il braccio mentre ci dirigiamo verso la fermata dell'autobus. Sono le cinque del pomeriggio, l'aria è leggermente tiepida e pioviggina, per evitare qualche malanno mi sono vestita pesante.
«Prossimo acquisto: una macchina.»
Davis annuisce.
«Ma ce l'hai la patente, almeno?»
«Ehm...» tossisco. «A dire il vero no.»
«No?» chiede incredulo.
«Perché guidare se posso prendere il bus?»
Spalanca la bocca. «Spero che tu lo dica perché ci tieni all'ambiente.»
Rido. «Certo, ma mi piacerebbe averne una.»
«Ripensandoci, meglio di no per gli altri.» mi prende in giro.
Saliamo sul mezzo e prendiamo posto in seconda fila. Guardo la gente che si affretta a salire, quelli che invece camminano a piedi senza preoccuparsi del brutto tempo.
Prendo il mio blocco note dalla borsa e inizio a scrivere, ultimamente uso questo metodo per sfogarmi. Fare ricerche sulla psiche umana mi ha stancato, anche perché so già tutto quello che mi serve.
Alla prima fermata la prima pagina è ancora vuota, mi mette a disagio che qualcuno possa leggere e non riesco a concentrarmi. Davis sta giocando al cellulare e io inizio a scarabocchiare con la penna annoiata.
«Ehi, stia attento!» urla qualcuno.
Guardo rapidamente avanti e vedo un cane in mezzo alla strada, l'autista se ne accorge troppo tardi e sterza bruscamente senza pensare all'asfalto bagnato. Perde il controllo del pullman che non riesce più a riprendere, Davis mi stringe a lui per proteggermi e non riesco più a vedere nulla se non il suo petto.
La pressione con cui mi tiene è forte e asfissiante, come se dovessi prepararmi a un impatto fin troppo brusco.
Strizzo gli occhi per il tonfo assordante e l'ultima cosa che sento è un peso schiacciare contro tutto il mio corpo.
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