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Davis
La signora Hubert apre la porta dell'appartamento, situato in un condominio sopra il vano commerciale di un negozio di giocattoli.
Già mentre mi avvicinavo si vedevano gli addobbi natalizi nella vetrina, ma già tutta la città ne è piena.
«Ecco, è un po' piccolo ma lei è da solo perciò...»
Mi fa spazio per entrare e va ad aprire le tapparelle delle finestre per favorire l'illuminazione. Cerco di mettere la mente a lucido senza pensare alla sbronza di ieri sera.
«Ahm, certo.» mi guardo intorno: tre stanze e un balcone.
Anche se piccolo è arredato bene ed è accogliente, questa signora ha dei buoni gusti. C'è una cucina nell'angolo e una penisola con due sedie, un divano e un tavolino basso con tv. Una parete attrezzata con libreria e un letto a una piazza e mezza con armadio nell'altra stanza. Il bagno è molto piccolo, ma non è importante. La vista va su una piazza e riesco a scorgere l'albero addobbato al centro. I muri sono di un giallo pastello e il pavimento di parquet scuro.
È così sobrio che mi fa sentire solo.
«Dobeva essere un bilocale, ma visto che è solo lei pagherà il prezzo di un monolocale. Preferisce a rate mensili o bimestrali? »
«Preferirei ogni due mesi.»
Annuisce e mi consegna le chiavi dell'appartamento. «Strano che un giovanotto come lei non sia impegnato.»
Distolgo lo sguardo. «Si, strano.»
«Ci vediamo il prossimo mese. Ha il mio numero? Mi chiami per le evenienze.»
«Si, la ringrazio.» dico cordialmente prima che esca lasciandomi solo.
Non potevo resistere in quella casa un minuto di più. Joanna è troppo appiccicosa.
Spero solo che Aubrey non abbia detto nulla di sbagliato a Nora quando ci ha visto insieme, l'altro giorno.
Per una settimana intera non ha fatto altro che starmi tra i piedi, presentarsi a lavoro a pranzo e irrompere nella mia camera nei momenti meno opportuni blaterando un "scusa, dimentico sempre che adesso abiti qui" per poi iniziare conversazioni assurde con "allora, ti trovi bene?" "Da non credere, oggi Kyle mi ha palpeggiata".
Alzo gli occhi al cielo, credo che Nora mi abbia contagiato nel farlo. Godo nell'immaginare la reazione di Joanna non appena scoprirà che me ne sono andato e senza nemmeno salutarla. Ho persino bloccato il suo numero in caso cercasse di contattarmi.
Inizio a sistemare le mie cose per distrarmi, ma più ci provo più mi viene in mente Nora.
Non ho molti beni personali, solo qualche vestito e accessorio.
Continuo a frugare ma mi sembra che manchi qualcosa di importante come... il quaderno!
«Merda, dov'è?»
Sparpaglio tutto suo pavimento ma non c'è traccia. L'ho dimenticato. Sono fregato, se scopre qualcosa è la fine. Non posso tornare a riprenderlo dopo averla mollata in quel modo. Mi tengo la testa tra le mani affranto e cerco di pensare lucidamente. Devo escogitare qualcosa, potrebbe andarci Charlie ad esempio, o Alex. Più tardi glielo chiederò.
-
«Signor Powell, lei è sicuro di essere ingrado? Serve qualcuno con esperienza per questo tipo di lavoro.» dice il signore davanti a me che potrebbe avere sui settant'anni.
«Sono solo libri.» dico calmo.
Sembra infastidito dalla mia risposta perché muta di colpo espressione. «Non sono solo...» prende aria. «Deve assicurarsi che siano sempre in ordine alfabetico, raggruppati e ben visibili. Cosa più importante senza polvere!» inspira ancora. «Inoltre che regni assoluto silenzio per favorire la concentrazione, che i nostri clienti abbiano la Book Tessera e deve registrare ogni libro entrato e uscito.» Inspira. «E pulire ovunque e poi...»
«Ho capito.» lo interrompo. Gli ve verrà un attacco d'asma di questo passo.
Sospira. «Bene. Io farò il turno di mattina mentre lei il pomeriggio, dalle cinque in poi. Chiudiamo alle nove ma come ho già detto...»
«Devo assicurarmi che tutto sia in ordine prima. Chiaro.»
Riduce le labbra a due fessure. «Allora ci vediamo domani.» chiude il lucchetto con la chiave e se la mette in tasca. «Domani ne avrà una copia.»
«Arrivederci.» dico prima di dileguarmi.
Spero solo che mi paghi bene perché stare tutte quelle ore in una stupida biblioteca mi farà impazzire. Chi lo avrebbe mai detto che sarei finito così, penso tra me e me.
Nora
Guardo soddisfatta il mio albero addobbato. Mio padre lo ha comprato stamattina per farmi una sorpresa e non appena l'ho visto l'ho montato immediatamente. In Italia ne avevamo uno in miniatura disposto sul tavolino di ingresso perché il nostro salotto era piccolo e uno grande avrebbe impedito il passaggio. Penso a questo sono felice di essermi trasferita. Le palline e i festoni che ha scelto sono pochi, dovrò comprarne altri. In compenso ci sono le luci che lo rendono più allegro.
Chissà come sarebbe stato condividere questo momento con lui. Avremmo scherzato e lui mi avrebbe presa in giro per la pessima disposizione di colori. Sposto una pallina dorata vicino a quelle rosse. Lo immagino con Joanna mentre la prende in braccio per via della sua altezza. Lei poggia il puntale in alto e si sorridono amabilmente.
Stringo i pugni nervosa, è passata una settimana, non dovrei più pensarci. Ormai non serve nemmeno che gli compri un regalo, un problema in meno.
«Wow, che bello.» mia madre irrompe nella stanza.
Mi giro e le sorrido forzatamente. Perché nessuno si è preoccupato di chiedermi spiegazioni, perché non parlano più di lui? Non sopporto che fingano che non esista solo perché non gli è mai piaciuto. Almeno mio padre si è limitato ad abbracciarmi, non ha detto niente ma ho capito il messaggio che voleva infondermi.
Noi siamo così, abbiamo quel legame padre-figlia che ci permette di capirci senza giri tanti parole, come una telepatia.
«Margaret mi ha chiesto se vuoi andare ad aiutarla con il presepe, l'ho incontrata prima.»
«Oh...» biascico. «A dire il vero non ho molta voglia.»
Mi osserva. «Che problema c'è Nora? Ultimamente non fai altro che oziare, non ti impegni nello studio, non ti interessi alle cose che ti piacciono.»
Le lancio un'occhiata torva. «L'importante è lo studio, giusto?»
Capisce a cosa mi riferisco e abbassa lo sguardo. «Dovevi aspettartelo.»
Queste parole mi infastidiscono. «Non è così facile come a dirlo.» Sbotto. Sento le lacrime inumidirmi gli occhi.
Mia madre si torce le mani nervosa e distoglie lo sguardo. «Non lo conoscevi nemmeno bene, non era una persona onesta.»
«Oh, perché tu si? Tu non...» improvvisamente mi blocco perché tutto si collega nella mia testa. «Lo sapevi.» sibilo.
«Non è cos...»
«Vi ha detto che sarebbe andato via. Ecco perché nessuno ha chiesto nulla.» La interrompo ancora.
«Ce lo ha detto la mattina stessa. Cosa avrei dovuto dirti? Ti avrebbe solo fatto più male.»
«Ma io... io devo sapere. Capire!» mi siedo sul divano.
«Ha fatto la scelta migliore.» sospira.
«Non ci posso credere. Tu sei contenta, non è così?» mi avvicino furiosamente a lei.
Mi guarda seria. «Sì.» dice infine.
Sono basita. Mia madre dovrebbe essere dalla mia parte, non dirmi queste cose. Le lancio un'occhiata di disprezzo prima di voltarle le spalle.
Urto la spalla di mio padre mentre salgo le scale ma non mi giro nemmeno a guardarlo. Sento che mi sta guardando ma non dice nulla.
Mi asciugo le lacrime e mi soffermo davanti alla sua stanza.
Socchiudo la porta e ispeziono l'interno: il letto è tornato un divano e tutto sembra non essere mai stato suo.
Mi sono lasciata andare così in fretta ed è troppo tardi per tornare indietro. Non aspettavo altro che una ventata fresca che alleviasse tutto quel bruciore accumulato. E adesso, che cosa è rimasto se non un mucchio di cenere?
Forse se gli avessi detto cosa provavo le cose sarebbero andate diversamente. Ma lui avrebbe dovuto capire da solo, da come lo guardavo.
Osservo i disegni di mio padre ancora incompleti. Nuove linee, nuove idee. È sempre stato bravo nel suo lavoro. La mia attenzione ricade su un piccolo diario: sulla copertina una scritta è stata cancellata con uno scarabocchio e ora è illegibile. Lo apro e inizio a sfogliare le pagine. Alcune riportano descrizioni di giornate, altre frasi senza un nesso logico che le unisca.
Numeri, puntini luminosi l'uno dietro l'altro e denominazioni strane che sembrano quelle di costellazioni. Inizio a leggere alcuni estratti qua e là.
"Questo viaggio è stato lungo e stancante, ma ne è valsa la pena. È tutto bellissimo e lei mi manca. Eppure non voglio che mi aspetti, ho capito che fa bene essere egoista per una volta. Questa è la mia vita, il mio futuro. La include oppure no?"
«Cos'è?» Chi ha scritto queste cose? Mio padre non ha questa grafia.
Vado avanti e scorgo appunti che sembrano di matematica.
"È un mostro. Non è più il tulipano rosso che ho sempre associato alla sua personalità, non più una spiga di grano luminosa. So che nel profondo è consapevole dei suoi capricci, ne sta approfittando. Odio questo posto e il fatto che sia tornato. Lei non mi permetterà più di allontanarmi, sono in gabbia."
Che sia...
"Fare questo lavoro è facile ma noioso. Vorrei allargare i miei orizzonti e sono bloccato ad Alcamo da più di vent'anni. Perché non trovo il coraggio di fuggire?"
"Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ho capito che l'amore può affievolirsi come una fiammella. E anche la passione. Inizialmente è un fuoco ardente che brucia nel corpo e nel cuore ma basta un niente perché rimanga solo un tizzone rovente. Io l'ho amata tanto eppure non riesco ad accettare la sua condizione. È puro egoismo? Forse lo è perché desidero il suo bene."
Non c'è nessuna data perciò non posso capire a quale periodo risalgano questi scritti.
L'artefice è sofferente, parla di un amore finito e dal testo si evince che abbia fatto un viaggio ma poi sia rimasto bloccato ad Alcamo, avrebbe voluto non amarla perché si sentiva in trappola ma pensava di essere egoista con lei.
Non si può ricondurre che a Davis. E' l'unico che vive qui da tanto, il diario è comparso dopo la sua sparizione quindi deve averlo dimenticato, non so niente del suo passato per cui tutto è possibile e soprattutto non gli piace il suo lavoro. L'unico dubbio è: quale viaggio ha intrapreso per capire che non è questa la vita che gli piace, e che problema ha la donna di cui parla? Ma soprattutto, chi è lei?
"Non posso più sopportare, ho deciso di andarmene anche se non ho uno spicciolo. Andrò a dormire da Pj, ha detto che non è un problema. Perché la amo ancora? Questo lo è. Sto scappando, sono un vigliacco."
Ho un nodo allo stomaco. Si interrompe qui, nient'altro. Come vorrei non averlo mai letto e che la mia testa non stia formulando ipotesi insensate. Ma la verità è così limpida e trasparente e io non ci ho mai fatto caso.
Davis è andato via senza soldi e con le poche cose di suo possesso. Casualmente ha trovato questa soffitta. Credeva che nessuno avrebbe mai comprato la casa per via dell'incidente, calza a pennello. Sperava di guadagnare abbastanza da prendere un appartamento decente ma adesso che i suoi piani sono andati male per via del licenziamento, e dello stipendio scarso, dopo che si è divertito con me e mi ha rifilato la scusa del "voglio indagare sull'omicidio come te" ha deciso di tornare da lei. Lei che è sempre stata qui a tenerlo d'occhio, lei che incontrava ad ogni festa e non perdeva occasione per starle vicino.
Tulipano rosso, rosso come i capelli di Joanna.
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