Capitolo 18

Era stato tutto improvviso.
In vero, quando quella mattina si era alzata o, per meglio dire, era stata buttata giù dal letto dal bussare insistente di Adrien alla porta, non aveva mai pensato che quella giornata si sarebbe conclusa con il suo matrimonio: certo, si sarebbe sposata con il giovane rampollo degli Agreste.
Lo sapeva.
Aveva accettato la sua proposta.
Semplicemente non credeva che questo sarebbe successo così presto.
Si portò le mani al ventre, carezzando la stoffa del corpetto e avvertendo sotto ai polpastrelli le linee del richiamo e le pietre che l'adornavano: non aveva mai indossato niente di così prezioso e bello, e mai nei suoi sogni aveva pensato di farlo.
Quando mai la figlia di una fornaia avrebbe potuto indossare qualcosa di simile?
«Stai benissimo» commentò Clotilde, comparendo nel riflesso dello specchio e posandole le mani sulle spalle, regalandole un sorriso attraverso: «Nonostante quest'abito sia stato abbozzato sul momento, ma per questo possiamo solo ringraziare quel disgraziato di mio nipote e la sua tendenza a voler fare le cose senza avvisare.»
«Va besissimo…cioè, volevo dire…benimismo…beni…»
«Quello che vuole dire» s'intromise Alya, avvicinandosi a Marinette e chinandosi per sistemare l'orlo della gonna candida come la neve: «Che va benissimo.»
«Lo stavo dicendo da sola, Alya.»
«Lo stavi balbettando, veramente: ho solo facilitato le cose a madame Clotilde, traducendo per lei.»
Clotilde ridacchiò, arretrando di un passo e sistemandosi su una delle poltroncine, mentre Marinette sbuffava, scostando appena la gonna e regalando un sorriso pieno di innocenza allo sguardo di fuoco dell'altra, tornando a fissare il proprio riflesso e passandosi nuovamente le mani sul ventre: «Mi chiedo se sto facendo la cosa giusta…» bisbigliò, allungando le dita verso lo specchio e toccando con la punta il proprio volto: «Io…»
«Stai per sposare il figlio del tuo nemico, all'insaputa di tua madre che vorrebbe tutti gli Agreste morti, in un convento fuori da Paris, senza avvisare nessuno tranne me e Nino, ma solo perché siamo qui e dobbiamo farvi da testimoni» Alya si alzò, spazzolandosi la gonna e inclinando la testa: «Beh, direi che la bilancia pende a favore del 'non stai facendo la cosa giusta, amica mia'.»
«Grazie.»
«Sono la voce della tua coscienza» dichiarò Alya, avvicinandosi e prendendo la mano di Marinette, portandola sul cuore della ragazza e sorridendo: «Ma la coscienza non sempre dice la cosa giusta da fare, alle volte va ascoltato anche questo» si fermò, inclinando la testa e osservando l'amica: «Cosa dice il tuo, Marinette?»
La ragazza chiuse gli occhi, sorridendo appena: «L-lo amo» mormorò, incespicando sulle parole e inspirando profondamente, aprendo nuovamente le palpebre e fissando l'altra: «Lui è…è…tutto ciò che voglio.»
«Allora, mia cara ragazza, stai facendo la cosa giusta» dichiarò Alya, lasciando andare la mano di Marinette e sistemandole la coroncina di fiori candidi che portava in capo: «Sinceramente, non so cosa pensare a qualcosa di più giusto di quest'unione e, lo sai, io odio i nobili e ancor di più gli Agreste, ma prima ancora di essere una servitrice di casa Dupain, io sono tua amica e voglio solo la tua felicità.»
«Grazie, Alya.»

Sabine osservò la piccola folla che si era avvicinata al carro, sul quale era salita per avere una posizione sopraelevata, incuriosita e attratta dalla sua persona: il popolo di Paris la conosceva, sapeva chi era, sebbene negli ultimi anni si era nascosta per sopravvivere: «Popolo di Paris» sorrise, alzando il mento e portandosi le mani al ventre, attirando su di sé l'attenzione di tutti coloro che popolavano la piccola piazzetta ove si erano fermati: «Io sono Sabine Dupain-Cheng» si fermò, lasciando che il suo nome attecchisse nelle mente di tutti, spostando lo sguardo verso l'uomo al suo fianco e trovando quasi di conforto la presenza di Otis Césaire, anche se al suo fianco ci sarebbe dovuto essere qualcun altro.
Sua figlia sarebbe dovuta essere lì con lei, essere al suo fianco e prendere il posto che le spettava diritto ma, invece, era da qualche parte, lontana dai doveri del suo nome: «Popolo di Paris» ripeté, scadendo bene ogni parola e inspirando: «Mio marito era Tom Dupain, unico vero reggente di questa città e brutalmente ucciso da Gabriel Agreste, ma non c'è bisogno che vi ricordi quella notte di sangue e fiamme? Paris cadde in mano di quell'uomo che, ebbro di potere non guardò in faccia il suo migliore amico e lo trafisse con la propria spada» si acquietò, chinando appena la testa e ascoltando il mormorare che si levava dalle persone più vicine al popolo: «Sono una vedova, madre di una figlia a cui il padre è stato strappato via, sono stata costretta a nascondermi e rinnegare chi ero: per cosa? Per vedere la città che mio marito tanto amava venire spremuta da quell'uomo che si fa chiamare reggente? Cosa ha fatto Gabriel Agreste per tutti voi? Per tutti noi? Cosa fa se chiedere sempre più tasse, toglierci ogni bene, anche la vita stessa, per soddisfare il suo bisogno di potere. Popolo di Paris! Quanto vuoi ancora soffrire?» si fermò, il respiro affaticato e la gola che le doleva leggermente per le parole che aveva sempre più urlato nel suo discorso: «Qui, in questo luogo, nel nome di mio marito, io vi chiedo di combattere al mio fianco! Combattete per i vostri cari, uomini e donne di Paris, combattete per riprenderci questa città! Volete continuare a vivere così o volete combattere per qualcosa di migliore? Pensate ai vostri figli, uomini e donne di Paris, pensate a ciò che volete per loro. Combatterete o vivrete da schiavi?»
Sabine si fermò, voltandosi e osservando nuovamente Otis, notando il sorriso che piegava le labbra dell'uomo e si voltò nuovamente verso la folla, guardando gli uomini e le donne che parlottavano fra loro, notando i volti segnati e gli abiti dimessi: anni di stenti, di soprusi, avevano fiaccato quel popolo di cui Tom Dupain era sempre stato orgoglioso.
Forse era tutto inutile e nessuno avrebbe combattuto per lei. Con lei.
Strinse i denti, serrando la stretta delle mani e chinando la testa, socchiudendo gli occhi: era un popolo troppo stanco, troppo abituato a soffrire e non si sarebbe rialzato; Gabriel agreste lo aveva fiaccato, reso il fantasma di se stesso e lei avrebbe combattuto la sua guerra in solitaria, con solo i pochi fedeli al nome della sua famiglia.
«A morte l'usurpatore!»
Una voce femminile si levò, zittendo i mormori e facendo alzare la testa a Sabine: una donna, non molto distante da lei, teneva il braccio sinistro alzato e il pugno chiuso, il vostro irrigidito e lo sguardo che fissava avanti a sé: «A morte l'uomo che ha ucciso i miei bambini! A morte Gabriel Agreste!»
Sabine aprì le bocca, passandosi la lingua sulle labbra e lasciando andare appena l'aria, deglutendo e ascoltando altre voci che si alzavano sopra le altre, unendosi in un unico grido, aumentando sempre più: «A morte l'usurpatore!» gridò lei stessa, alzando il pugno destro e sollevando il mento, lo sguardo che fissava il popolo: «A morte gli Agreste!»

Adrien sorrise alla ragazza davanti a lui, stringendo le sue dita nelle proprie e carezzandole le nocche con il pollice, cercando di rimanere concentrato sul presente e non perdersi nella contemplazione di Marinette: non aveva un abito sontuoso, nessuno strascico o maniche a sbuffo, nessuna gonna ampia e nessun velo; indossava un semplice vestito candido e una coroncina di fiori bianchi. Non c'erano gioielli che l'adornavano, tranne gli orecchini che lui stesso le aveva regalato eppure era bellissima.
Come lo era sempre stata, fin dal primo momento che l'aveva vista, nella panetteria e mentre inveiva contro di lui, ancora ignara della sua vera identità: si era innamorato subito di lei e, ogni volta che l'aveva incontrata, quell'amore si era rinnovato ed era cresciuto.
Il parroco tossì appena, facendolo scuotere leggermente e si schiarì la voce, inspirando profondamente e cercando di riportare alla mente ciò che doveva recitare: «Io, Adrien Agreste, accolgo te, Marinette Dupain, come mia sposa. Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e in malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita.»
«Io, Marinette Dupain, accolto te, Adrien Agreste, come mio sposo. Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita» Marinette sorrise, socchiudendo le palpebre e lasciando andare un respiro: «L'ho detto senza sbagliare, vero?»
«L'hai detto senza sbagliare» commentò Adrien, chinando la testa verso di e poggiando la fronte contro quella di Marinette, sorridendo: «Sei stata perfetta.»
«Davanti a queste persone, io vi dichiaro marito e moglie» dichiarò il parroco, trattenendo nella voce una risata: «Possano i vostri giorni essere pieni di amore e felicità, finché morti non vi separi» si fermò, schiarendosi la voce e chinando la testa verso Adrien: «Adesso puoi baciare la sposa.»
Adrien annuì, posando le mani sui fianchi di Marinette e tirandola verso di sé, sfiorandole le labbra con le proprie e sentendola sospirare contro la sua bocca, quasi come se agognasse a qualcosa di più: «Siamo in una chiesa» bisbigliò, osservandola sgranare appena lo sguardo e diventare rossa in volto: «Avremo tempo stanotte per certe cose, mia sposa perversa.»
«Co-cosa? I-io n-non…»
«Stai diventando rossa» cantilenò Adrien, passandole un braccio attorno alla vita e tirandola verso di sé, posandole labbra sulla tempia: «Stavi veramente facendo…»
«I-i-io…»
«Adrien, tesoro di nonna, sei sposato da neanche cinque minuti e già metti in imbarazzo tua moglie. E non fare certe cose in chiesa!» Clotilde sospirò, scuotendo la testa e voltandosi verso Nino: «Cosa potremmo mai fare con questo ragazzo?»
«Lo chiede a me? E' lei che l'ha tirato su!»

André Bourgeois sollevò il calice di vino, osservando il liquido scuro e facendolo ondeggiare, spostando poi con indolenza lo sguardo sui giovani che passeggiavano non molto distante da dove era seduto: la sua amata figlia passeggiava a braccetto con la sua dama, chinandosi di tanto e tanto e sussurrando qualcosa alla ragazza, gettando poi uno sguardo al giovane che camminava a pochi passi di distanza dietro di loro.
Nathaniel Kurtzberg era veramente diverso dal cugino, rendendolo perfetto per il suo piano.
Ancora più perfetto di un uomo distrutto dal dolore.
Alzò il bicchiere sorseggiando appena il vino e passandosi la lingua sulle labbra: «Mi domando se ho ancora bisogno di Gabriel…» mormorò, rilassandosi contro la spalliera della poltrona e osservando l'erede acquisito degli Agreste: con quella scelta, Gabriel, aveva messo tutto su un piatto d'argento. La fortuna della famiglia Agreste, il governo di Paris, tutto era concentrato in quel timido ragazzo che disegnava sempre e che avrebbe sposato Chloé.
Una pedina ben più facile da giocare rispetto all'uomo che adesso regnava su Paris: il destino gli aveva fornito una mano interessante, doveva solo giocarsela bene e presto sarebbe stato tutto tuo.
Sorrise, alzando appena il bicchiere e ridendo fra sé: «Alla tua salute, Gabriel. Possano i tuoi ultimi giorni essere lieti» commentò, bevendo generosamente il vino e portando a metà il bicchiere.

Il dolore la fece boccheggiare, stringendo i fianchi attorno a quelli di Adrien e inspirò profondamente, facendo scivolare i polpastrelli sulla pelle nuda della schiena del ragazzo: «Scusa. Scusa. Scusa. Scusa» lo sentì ripetere la parola, intervallata da lievi baci sul volto e Marinette si rilassò appena, sentendo il dolore scemare leggermente: «Marinette?»
«Sto bene» bisbigliò, muovendo appena i fianchi e invitandolo a continuare, stringendosi a lui e adattandosi ai suoi movimenti finché l'eccitazione non arrivò al suo culmine e scemò, lasciandola completamente senza forze e con il peso del neo-marito addosso.
Rimasero in silenzio, riempiendo la stanza solo con i loro respiri affrettati: «Ti chiedo scusa» bisbigliò Adrien, dopo un po', scivolando sul materasso e accomodandosi, accogliendola poi nel suo abbraccio e sfiorandole la testa con le labbra: «Beh, era la prima volta anche per me e non ero…»
«Va bene» Marinette sorrise, poggiando la testa contro la spalla del giovane e posando una mano all'altezza del suo cuore: «Mi piace.»
«Cosa?»
«D-di…» si fermò, socchiudendo gli occhi e lasciando andare un profondo sospiro, cercando di tenere sotto controllo l'imbarazzo improvviso: «Di essere l'unica per te.»
Adrien annuì, sfiorandole con pigrizia le spalle nude e guardando il soffitto della camera, sentendo le palpebre farsi pesanti: «Domani, appena torniamo, dovremmo dirlo a Fu.»
«Che non siamo…»
«No, signorina. Che siamo sposati. Ma cosa ho sposato? Una donna perversa?»
«T-tu…» Marinette si tirò su, tenendo il lenzuolo contro il seno e guardandosi attorno con gli occhi spalancati e il respiro affrettato, facendo saettare lo sguardo da una parte all'altra della camera: «Oh no. Oh no. Oh no. Oh no.»
«Cosa c'è?» le domandò Adrien, mettendosi seduto anche lui e cercando di capire cosa stava sconvolgendo in quel modo la ragazza: forse il dire a Fu, esponente importante al servizio dei Dupain, che lei aveva sposato il figlio di Gabriel Agreste? Ma sapeva benissimo che Fu era a favore di quell'unione.
Forse riguardava la madre?
«Siamo in un convento!»
Adrien batté le palpebre, aprendo la bocca e richiudendola, cercando di capire dove la sua sposa volesse andare a parare: «Ehm…sì. Mia nonna vive in un convento e quindi…»
«Io ho fatto certe cose in un convento.»
«A quanto pare?»
«Mi spieghi come fai a essere così calmo? Hai una minima idea di quello che vuol dire per le nostre anime?»
Il giovane sorrise, passandole un braccio attorno alle spalle e scuotendo la testa, ridacchiando appena: «Marinette, sono stato ripudiato da mio padre, vivo in casa di un alleato della famiglia rivale della mia, mia suocera sicuramente vorrà uccidermi non appena mi vedrà…» Adrien si fermò, allungando una mano e scostando una ciocca dalla fronte di Marinette: «Senza offesa, tesoro, ma l'essere andato a letto con la mia sposa, in un convento, è l'ultimo dei miei problemi.»

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Ed eccoci qua con un nuovo aggiornamento di Inori - in ritardo come sempre! - e ci avviciniamo inesorabili verso la fine! Una piccola informazione di servizio: per questo mese, Inori avrà una cadenza settimanale: tutti i mercoledì verrà postato un capitolo, fino a quando non si concluderà la storia, cosa che avverrà con il capitolo 25.
Detto questo, non vi disturbo più di tanto e passo alle informazioni di rito: vi rimando la pagina facebook per ricevere piccole anteprime e restare sempre aggiornati e al gruppo facebook Two Miraculous Writers, gestito con la bravissima e talentuosa kiaretta_scrittrice92.
Per concludere, voglio dire grazie a tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste!

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