𝟓𝟖. Senza mai voltarti indietro
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"Sei nato per essere reale, non per essere perfetto."
Suga
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SOOYUN
Il calore era tutto ciò che sentivo in quel momento.
Un calore che si propagava a partire dalla mia mano stretta a quella di Jungkook, ramificandosi lungo il mio braccio e avvolgendo ogni millimetro della mia pelle e del mio corpo, fino a raggiungere il mio petto, laddove il cuore batteva sereno. Un cuore colmo di un'emozione che desiderai provare per l'eternità.
Era inebriante poter percepire con i sensi il tepore che Jungkook riusciva a donarmi. Non era un calore eccessivo o soffocante. Non bruciava la mia pelle, l'accarezzava. Sicurezza, dolcezza, protezione, amore: Jungkook era tutto questo per me. Ero certa di star provando una delle sensazioni più belle che potessi desiderare in tutta la mia vita.
Camminavamo l'uno a fianco dell'altra con una velocità moderata, seguiti dagli altri ragazzi e mia madre che non avevano smesso un solo attimo di parlare. Anche io avevo scambiato qualche parola con lei, naturalmente. Inizialmente mi sentivo come un pezzo di tronco incapace di fiatare e muoversi, come se davanti a me non ci fosse mia madre ma una professoressa pronta a farmi le domande più difficili del programma. Poi, grazie al costante sostegno di Jungkook e a una buona dose di volontà, ero riuscita piano piano a sbloccarmi, finendo con il parlare anche di alcune questioni personali riguardanti la sottoscritta e che sapevo le avrebbe fatto piacere ascoltare.
Mia mamma si era mostrata molto interessata a tutto quello che avevo deciso di raccontarle, guardandomi con quegli occhi che non facevano a meno di ricordarmi Taehyung e sorridendomi dolcemente con un affetto materno che, dovetti ammettere, mi mancava tanto e da troppo tempo.
«Alla fine è andata bene»
Mi girai solo per poter vedere quel tenero sorriso spuntare sulle labbra del corvino, alla cui vista non potei fare altro che ricambiare. Amavo alla follia i suoi sorrisi, i suoi occhi; pensai persino di esserne diventata seriamente dipendente oramai.
«Si, per merito tuo»
«Mio?» aggrottò le sopracciglia scuotendo leggermente la testa. «Hai fatto tutto da sola, sei stata molto brava. Non tutti sarebbero riusciti a fare ciò che hai fatto tu»
Taehyung sì... Lui ci sarebbe riuscito, ci era già riuscito. Era anche grazie a lui se mi ero promessa di impegnarmi a cambiare le cose e rimediare ai miei sbagli.
Basta con i pensieri tristi, Sooyun.
Mi costrinsi a non sputare fuori tutte quelle riflessioni rivolte inevitabilmente a mio fratello, non volendo rischiare di appesantire nuovamente l'atmosfera positiva che si era creata tra di noi con tanta fatica. Stavamo bene così, in quel momento. Noi due, i nostri amici, mia mamma.
Eravamo insieme e questo era l'importante.
«Chi è quell'uomo?»
La voce di mia madre attirò l'attenzione di tutti, facendoci volgere lo sguardo verso una figura alta, magra, sostenuta in piedi con l'aiuto di una stampella. Schiusi le labbra e sollevai le sopracciglia non poco sorpresa di vederlo.
Jung Hoseok.
Lo osservammo immobili mentre lui si avvicinava a noi con passi cauti. I suoi occhi attenti e analitici si fissarono nei miei dopo aver lanciato delle occhiate curiose alle persone accanto a me, soffermandosi parecchio tempo su mia madre. Probabilmente si stava chiedendo chi lei fosse, ma poteva averlo intuito tranquillamente notando l'effettiva e notevole somiglianza con me e Taehyung.
«Ciao Sooyun, non era mia intenzione disturbarti, ma sai...» si voltò quel poco che bastava per guardare gli altri uno ad uno, osservando con altrettanta curiosità la mano di Jungkook stretta saldamente alla mia. Giurai di intravedere un piccolissimo sorriso comparirgli sulle labbra, ma forse me lo ero immaginato. «C'è una cosa che devi sapere riguardo al caso. Te lo avrei potuto riferire per telefono o mandare direttamente qualche collega, ma preferisco parlartene di persona»
Annuii alle sue parole non sapendo bene come reagire o rispondere e, prima ancora me ne accorgessi, le palpitazioni del mio cuore presero ad aumentare. Ero consapevole che la faccenda non era ancora stata chiusa ed eravamo tutti coinvolti, purtroppo. Soprattutto io. In quei giorni avevamo deciso volontariamente di fare finta di niente e ignorare il fatto che i problemi che io avevo causato a tutti quanti non fossero ancora stati risolti. Volevamo solamente cercare di goderci quel poco di tempo che bastava per vivere sereni e tranquilli, senza doverci preoccupare della polizia, delle perdite subite e dei drammi, ma sapevamo tutti molto bene che non sarebbe durato a lungo. Prima o poi ogni dubbio, grana e difficoltà lasciata in disparte sarebbe tornata da noi pronta a bussare alle nostre porte per costringerci a ritornare coi piedi per terra.
Lo invitai a entrare in casa mia subito dopo aver salutato tutti gli altri, i quali decisero di lasciarmi sola con Jungkook, mia madre e il poliziotto. Prendemmo tutti e quattro posto sul divano in salotto, rimanendo diversi secondi nel silenzio interrotto solo dai grugniti di Yeontan. Poi però, finalmente, qualcuno si decise a parlare.
«Non voglio rubarvi troppo tempo, anzi mi scuso per avervi disturbati così all'improvviso» Hoseok utilizzò un tono basso, sembrando a corto di energie. Abbassai in un frangente di secondo lo sguardo sopra il suo addome coperto dalla maglia, sapendo bene che ci fosse ancora la ferita causatogli da Yeosang in fase di guarigione, soffermandomi poi sulla stampella poggiata sul cuscinetto del divano alla sua sinistra. Chissà quanto doveva essere stata dura anche per lui dopo tutto quello che era successo.
«Non deve chiedere scusa» mi preoccupai subito di tranquillizzarlo, nemmeno mi resi conto di quanto stessi stringendo forte le mani sopra le mie gambe. Ero molto nervosa e l'ansia non fece a meno di aumentare sempre di più, pronta a travolgermi in un tornado di angoscia e paure senza via di uscita. Sentii il cuore palpitare senza che potessi effettivamente controllarlo e la fronte imperlarsi di goccioline di sudore.
Se era venuto fino a qui significava che c'era qualcosa di importante che doveva dirci. Mi avrebbero di nuovo portata in centrale per interrogarmi?
«Sooyun» inchiodò i suoi occhi marroni nei miei a dir poco spaventati, facendomi deglutire agitata al suono del mio nome richiamato con tanta serietà. «Non voglio girarci troppo intorno, il caso in cui sei stata coinvolta è giunto alla sua conclusione. Siete tutti liberi, d'ora in avanti non dovrete più preoccuparvi di niente»
Come? Non era possibile.
«Non...» ero tanto confusa da non riuscire neanche a parlare. Sollevai le sopracciglia interdetta, rilasciando molto lentamente ogni singolo muscolo irrigidito delle mani e della faccia. «I-Io non capisco»
«È tutto finito» ripeté con fermezza.
Sentii il cuore salirmi in gola, ma non seppi se per la felicità o il terrore di star immaginando tutto quanto. Non poteva essere vero. Non avevo nessuna prova che potesse dimostrare la mia innocenza, inoltre il mio chiaro coinvolgimento passato negli affari di Yeosang era un fatto inevitabile, schiacciante, sufficiente per dichiararmi colpevole degli omicidi di Namjoon e Jihoon.
C'erano le mie fottute impronte sopra il coltello che Yeosang aveva usato per ucciderli. Anche se avessero voluto, non avrebbero comunque potuto lasciarmi libera come se niente fosse. Non aveva nessun senso maledizione.
Sentii gli occhi spalancati di Jungkook bruciare sul mio profilo. Gli lanciai un'occhiata sconvolta, vedendo quanto anche lui fosse sorpreso e confuso a causa delle parole di Jung. Mia mamma per tutto il tempo rimase in disparte per ascoltare ciò che ci stavamo dicendo, senza però intervenire. Con alte probabilità anche lei era già a conoscenza di ogni avvenimento grazie a Jungkook, che doveva averle raccontato in mia assenza.
«C-Ci deve essere un errore, signore» balbettai rivolgendomi direttamente a lui. Sentii il naso pizzicare, gli occhi bruciare a contatto con l'aria e la gola farsi secca. Se era uno scherzo non era divertente per un cazzo.
«Nessun errore, Sooyun» rispose con serietà, senza smettere mai di guardarmi dritta negli occhi. Studiai con attenzione la sua espressione, il suo sguardo e non vi trovai niente se non assoluta sincerità. Era un sogno? Era la realtà? «Sei libera. Lo siete tutti quanti»
Tacqui per un'infinità di secondi, non sapendo come reagire, come ribattere a quelle informazioni. Se da un lato volli saltare in aria, gridare e piangere di felicità senza alcun contegno, dall'altro ebbi una paura micidiale di giungere a conclusioni affrettate. Il mio cervello cercava ancora di metabolizzare come si deve le parole e le espressioni di Hoseok, con il profondo terrore interno di poter fraintendere. Realizzare che finalmente fosse tutto finito significava chiudere definitamente un capitolo della mia vita, voltare una volta per tutte quella dannata pagina macchiata di sangue e inchiostro sbavato e passare finalmente alla prossima.
Significava lasciare ogni cosa alle spalle: Yeosang, Namjoon, Jihoon. Avrei lasciato indietro anche Taehyung.
Lo volevo davvero? Lasciarmi alle spalle Taehyung, mio fratello, la mia famiglia.
Davvero volevo questo?
«Com'è possibil-»
«Jisoo testimonierà in tuo favore» disse parlandomi sopra e facendomi spalancare la bocca sconcertata. Jisoo? Cosa cazzo significava? Vedendomi di nuovo tacere, Jung proseguì a parlare con estrema calma. «Lei era lì quella sera e ha visto tutto con i propri occhi, è una testimone dell'omicidio compiuto da Yeosang e anche del suo tentativo di portarti via con sé con la forza. È venuta da me e mi ha raccontato ogni cosa, dicendomi anche che avrebbe fatto di tutto per impedire che un innocente venisse giudicato colpevole per degli avvenimenti di cui, invece, non ha alcuna responsabilità»
Lasciai che dalle labbra mi scappasse un sospiro tremolante, mentre le mie orecchie non riuscivano a credere a quello che stavo sentendo. Jisoo che voleva difendermi era un paradosso. Non mi importò davvero capire come avrebbero fatto ad aiutarmi, ma poi, come se tutto a un tratto mi fossi accorta di qualcosa, scossi disperatamente la testa volendo negare le sue affermazioni.
«Non sono innocente, è anche colpa mia se-»
«Ciò che sei stata tu, in passato, non è sicuramente la stessa persona che sei adesso. So cosa è successo a te e alla tua famiglia, Sooyun. Mi sono permesso di fare qualche domanda a giro, a Jisoo così come agli uomini che lavoravano per Yeosang. Ho indagato a fondo per cercare di capire, volevo che i pezzi del puzzle che con tanta fatica cercavo di mettere assieme potessero finalmente giungere al loro assemblaggio finale» parlò con una pacatezza e una dolcezza tale da farmi sollevare le sopracciglia sorpresa. Restai in silenzio, incuriosita da quello che mi stava dicendo. «Posso solo immaginare quanto sia stato difficile per te andare avanti e lottare contro tutti e, soprattutto, contro te stessa»
Socchiusi gli occhi, sigillando le labbra in una smorfia tesa nel sentirmi profondamente colpita dalle sue parole. «Contro te stessa».
Strinsi le dita tra loro e cominciai a torturarmi le mani per cercare di alleviare quel dolore soppresso, celato dai miei occhi semichiusi. Non riuscii più a sollevare lo sguardo e puntarlo in quello dell'uomo davanti a me. Sapevo che avesse ragione, lo sapevamo tutti.
«Non voglio dirti cos'è giusto fare per te, perché sono sicuro che tu già lo sappia. E sono quasi certo che le parole che vorrei dirti ti siano già state dette dalle persone che ti vogliono bene» Deglutii voltando la testa lateralmente, cercando invano di buttare giù quel tanto familiare groppo in gola. «Sbagliare è umano, Sooyun. Siamo esseri umani, sbagliamo una continuazione, ma sai una cosa? Ciò che davvero conta in questo mondo non è quanto si sbaglia, ma quanto si impara sbagliando»
Riaprii gli occhi di colpo e non potei fare a meno di sentirmi travolgere da un'ondata potente di emozioni diverse. Ripetei di continuo quelle parole dentro di me, nella mia testa, suonandomi molto familiari. Fu come avere un dejavu.
«E magari può capitare di sbagliare, siamo umani e non c'è niente di male nel commettere degli errori, ma ciò che conta-» mi prese le mani tra le sue, «-è rialzarsi e continuare a camminare senza mai fermarsi, senza permettere a nulla di poterci ostacolare»
«Non permetterlo mai Sooyun. Non permettere a niente e nessuno di decidere cosa farne del tuo destino, perché l'unica che può e che deve farlo sei solo ed unicamente tu»
Minjee. Lei mi aveva detto quelle cose tempo fa.
Era stata lei a incitarmi a rialzarmi, a combattere per me, per Taehyung. Come avevo potuto dimenticarmene?
Alzai la testa e inchiodai i miei occhi ricoperti da uno strato lucido in quelli genuini, sinceri ed estremamente seri dell'agente, potendo vedere da vicino quanto impegno ci stesse mettendo per trasmettermi anche solo una fievole goccia di rassicurazione. Voleva aiutarmi a capire.
Voleva che io capissi che non era colpa mia se Yeosang avesse deciso di approfittare volutamente di me e delle mie fragilità per soddisfare il proprio ego. Di quella bambina debole e ancora troppo piccola per comprendere da sola come affrontare tutte quelle difficoltà, quelle emozioni, quelle paure.
Non era colpa mia se quella Sooyun avesse stupidamente cercato di diventare qualcuno che, in realtà, non era e mai sarebbe stata.
Non era colpa mia se i miei genitori mi avevano lasciata ancora prima di spiegarmi e di insegnarmi a vivere, lasciando me e mio fratello completamente soli in un mondo che mai sarebbe stato disposto a darci una chance se non l'avessimo voluto noi stessi. Senza una guida, senza una meta.
No, non era colpa mia. Non lo era mai stata.
«Non importa ciò che sei stata prima, importa ciò che sei adesso e ciò che vuoi essere in futuro. Hai sbagliato, è vero» Hoseok annuii nel pronunciare l'ultima frase. Schiusi le labbra nell'esatto istante in cui una lacrima solitaria scivolò lungo la mia guancia, tracciando un'unica e amara scia di amarezza, sperando che fosse l'ultima. Ero stanca di piangere, di deglutire tutti quei macigni fissi nella mia gola e di tirare su con il naso. Ero stanca di sentirmi tanto sensibile, gracile. «Ma sei ancora in tempo per rimetterti in sesto e ritrovare la strada giusta, quindi smettila di piangerti addosso perché non sarà continuando a darti la colpa che riuscirai a cancellare i tuoi errori e certamente non Yeosang. Lui è parte del passato e tale deve rimanere. Invece tu sei qui nel presente, sei viva e devi farti valere e lottare più che puoi per proseguire il tuo cammino. I tuoi sogni non sono ancora perduti e non lo sei nemmeno tu. È questo che Taehyung ti direbbe, se fosse qui con te»
Jung Hoseok mormorò le ultime parole come se avesse quasi paura a pronunciarle. Il nome di Taehyung riusciva a suscitarmi talmente tante emozioni mescolate tra loro da farmi venire una gran voglia di tirarmi i capelli dalla cute. Desideravo così tanto rivederlo, riabbracciarlo e ringraziarlo per aver messo tutto se stesso solamente per me e per il mio bene.
Ogni giorno ardevo per il desiderio di poterlo vedere almeno in sogno, così da per potergli dire tutte quelle cose belle che non avevo mai avuto il coraggio di dire quando era ancora vivo. Hoseok aprì la bocca in contemporanea al chiudere dei miei occhi, mentre un piccolo sorriso nostalgico piegò le mie labbra verso l'alto. Cercai di concentrarmi in quei brevi secondi solo su me stessa e suoi miei pensieri, nella mia mente proiettai come ormai ero abituata a fare tutto ciò che ricordavo dell'immagine di mio fratello in modo da poterla imprimere dentro. Ogni singolo particolare era molto importante per me, dagli occhi marroni e dolci al sorriso quadrato che tanto mi mancava vedere, i capelli leggermente arricciati sulle punte e il piccolo neo sulla punta del naso.
«Il tuo tempo non è ancora finito Sooyun, quindi alzati e prosegui guardando sempre dritto a te e senza mai voltarti indietro»
Il mio tempo non è ancora finito.
[...]
«Ehi Ehi! Rallenta Sooyun!»
La mia risata bambinesca riecheggiò nell'aria, librando come foglie spinte dal vento. I miei lunghi capelli si muovevano scossi dal mio continuo correre, mentre la mia mano stringeva forte quella molto più grande di Taehyung senza mai lasciarla andare.
Era piacevole sentire i capelli essere tirati all'indietro grazie alla velocità con cui correvo. Il sole era alto nel cielo privo di nuvole, l'aria tiepida carezzava la mia pelle morbida e fresca. Il suono naturale dei giardini accanto ai quali passammo suonava come musica nelle mie orecchie. Era tutto così bello.
«A cosa stai pensando?»
Sollevai le palpebre, lasciando che le mie labbra rilasciassero un flebile sospiro quando mi dovetti scontrare con il colore bianco del soffitto. Voltai le testa verso il ragazzo che aveva appena interrotto il mio flusso di ricordi, imbattendomi con il suo tenero sorriso.
«A niente...» mormorai facendogli storcere il naso per niente convinto dalla mia risposta. Sapeva che avessi appena mentito, però a quanto pare non volle insistere. «Ti va di andare a correre?»
Jungkook sollevò lentamente le sopracciglia, guardandomi con occhi spalancati. Riuscii a intravedere i suoi denti bianchi quando la sua bocca si schiuse appena per incurvare le labbra in un piccolo sogghigno curioso.
«Non pensavo fossi una persona sportiva» disse con tono derisorio, ma lo ignorai sbuffando platealmente e incitandolo ad alzarsi dal letto. Mi avviai verso l'armadio alla ricerca di una tuta comoda che permettesse di muoversi con flessibilità, sentendo alle mie spalle un suono di passi che si avvicinavano alla mia figura. «Fai sul serio?»
«Certo» affermai risoluta, per poi voltarmi verso di lui e lanciargli addosso un paio di pantaloncini e una maglietta semplice color rosso fuoco, la stessa che avevo anni prima rubato dall'armadio di mio fratello per non dover comprare altri vestiti inutili solo per qualche ora di motoria a scuola. Jungkook mi fissò sconcertato. «Che aspetti? Forza, vatti a preparare»
Mi divertii nel vedere il corvino scuotere la testa arreso all'idea che lo avrei costretto a venire con me a tutti i costi. Jungkook aveva ragione, non ero mai stata una ragazza molto sportiva e correre per la città non era certamente mai stato uno dei miei modi preferiti per svagarmi. Però, senza capirne davvero il motivo, in quel momento sentivo una gran voglia di uscire di casa e percorrere chilometri e chilometri di corsa.
Forse mi avrebbe aiutata a non pensare più a niente, per poi ritornare in casa e collassare sul divano senza forze. Non mi sembrava male come idea.
Una volta che entrambi ci fossimo preparati a dovere, uscimmo entrambi portandoci anche Yeontan dietro. Avrebbe fatto bene anche al cucciolo uscire di casa e svagarsi con una bella corsetta. Decidemmo di percorrere un viale lungo il parchetto che ci avrebbe portati poi al fiume, dove l'aria era sicuramente più fresca.
E fu così che dopo tanto tempo accolsi piacevolmente proprio quella tanto ricercata e familiare sensazione: il vento tra i capelli, il tepore del sole sulla mia pelle pallida, i cinguettii degli uccellini nascosti tra i rami degli alberi. Prima che me ne rendessi conto il mio passo cominciò ad accelerare sempre di più, non sentii neanche i richiami di Jungkook in lontananza da quanto ero concentrata solo su quei suoni melodici e quei brividi che percorsero il mio intero corpo, mentre le gambe si muovevano con una velocità inarrestabile.
«Ehi Ehi! Rallenta Sooyun!»
Sentii di nuovo il ricordo della sua voce calda e roca che mi gridava nelle orecchie, ma non mi trasmise rabbia o fastidio, anzi. Era un suono dolce e anche molto lontano, eppure così vivido dentro di me.
«Dove corri Sooyun!! Così mi farai inciampare!»
Rilasciai andare una piccola risata continuando a correre senza guardarmi indietro e non riuscii a smettere di sorridere neanche quando qualcosa di minuscolo, bagnato e quasi impercettibile mi percorse lo zigomo partendo dall'angolo destro del mio occhio, fino a raggiungere il mio orecchio. Rilassai ogni fibra muscolare, lasciando volentieri ai piedi il pieno controllo del mio corpo. Essi continuarono a spostarsi l'uno davanti all'altro, mentre l'aria accarezzava piacevolmente la pelle delle mie gambe nude. Persino la collanina con il piccolo ciondolo a forma di libellula che Jimin mi aveva regalato fu scostata all'indietro a causa della velocità con la quale correvo.
Mi sentii così bene, così libera. Mi parve quasi di poter volare in cielo, sempre più in alto tra le nuvole. In quel momento, per la prima volta in tutta la mia vita, mi sentii dentro e fuori proprio come lei: una piccola e leggiadra libellula.
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