𝟓𝟏. Lacrime Salate

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"Odio il momento in cui, all'improvviso, la mia rabbia si trasforma in lacrime."

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SOOYUN


Sabato 17 Aprile 2021, ore 18:00

Ero diventata un tutt'uno con il letto, ormai. La morbidezza del cuscino non era più come la ricordavo, la mia testa era stata per così tante ore adagiata su di esso da avergli fatto perdere l'effettiva pienezza. Le mie palpebre sbattevano tra di loro con lentezza disarmante, quasi avessero perso anche loro le energie per chiudersi e riaprirsi. Le mie pupille si erano liquefatte con il cielo ombreggiato, visibile fuori dalla finestra.

Osservavo le nuvole grigie, cariche di acqua,  che venivano spostate dal vento. Quel giorno il sole era rimasto nascosto per tutto il tempo dietro alle nubi, proprio come lo ero io sotto a quel sottile, protettivo lenzuolo. Neanche un flebile spiraglio di luce si era infiltrato in quella stanza cupa e spoglia. Era tutto così buio, scuro, fatuo.

Sentivo freddo, nonostante facesse tanto caldo fuori da quelle mura a causa dell'umidità. Avrebbe piovuto, ne ero certa, e stavo aspettando di vedere le gocce d'acqua cadere dal cielo e grondare dalle nuvole così come avevano fatto le lacrime dai miei occhi per tutto il giorno.

La mia pelle umida rabbrividiva al contatto con l'aria pungente, le mie labbra tremavano, il mio petto si muoveva con velocità irregolare. Mi sentivo trascinare via dal tempo, senza aver potere o volontà propria per fermarlo. Ero succube del mio blocco psicofisico, non riuscivo a controllare le mie emozioni e tanto meno il mio volere. Forse, semplicemente, non c'era niente lì che volessi per davvero.
Cosa volevo?
Cosa pensavo?
Cosa potevo fare?

Le lancette dell'orologio continuavano a muoversi e girare continuamente senza mai fermarsi. Le persone continuavano a camminare, a ridere, mangiare e dormire. Il sole continuava a fare il suo percorso, seguito dalla luna.
Ma io? Io rimanevo indietro. Tutti continuavano ad andare avanti, mentre io continuavo ad aspettare e aspettare. Stavo in attesa di qualcosa da così tante ore che non seppi più neanche io cosa stessi precisamente aspettando.

Mi sentivo solamente... vuota.

«Hai di nuovo lasciato tutto nel piatto»

La voce di Yoongi non riuscì minimamente a sorprendermi. Lasciai che il suo tono basso e rauco di disperdesse nell'aria, risuonando alle mie orecchie come qualcosa di irreale.

«Jungkook è preoccupato per te» i passi si fecero più vicini alle mie spalle. Sentii il suo respiro calmo e il suo sguardo serio bruciare sulla mia schiena. «Perché non parli, Sooyun?»

Strinsi tra le dita la fodera del cuscino, i miei occhi erano ancorati a quella maledetta finestra dalla quale desiderai uscire. Perché non parlo, mi ha chiesto? Perché non ho niente da dire.

«Scusate l'interruzione» Riconobbi la voce del medico che si era preso cura di me per tutto quel tempo. Non reagii. «Ma devo fare altri controlli a Sooyun»

Mai fui tanto felice di sentirlo dire. Il medico mi avrebbe evitato di rispondere a delle domande alle quali nemmeno io avevo risposta. Era ironica la mia situazione, a dir poco ipocrita. Avevo giurato a me stessa che per Jungkook avrei combattuto fino alla fine, eppure eccomi lì: incapace anche solamente di alzarmi dal letto, schiacciata da un destino dinanzi cui avevo piegato la testa, lasciandomi sovrastare senza pietà e senza alcuna vergogna.

Ero ridicola. L'unica persona che meritava di avere un cuore ancora in grado di battere era mio fratello. Taehyung era la persona veramente forte tra noi due, certamente non lo ero io. Mi sentivo così inutile, la mia vita e la mia persona non avevano alcun senso. A cosa servivo?

Passarono altre noiose ore, durante le quali continuai a pensare e pensare. Poi, a un certo punto, presi la mia decisione.

Scostai le coperte dal mio corpo e mi alzai per la prima volta dopo tanto tempo da quell'orribile letto. Camminai fuori dalla stanza e raggiunsi le scale senza attirare l'attenzione di nessuno in particolare. Lasciai la struttura dell'ospedale, evitando di avvisare il personale, e mi diressi verso la prima fermata dell'autobus. Ero scalza, con un solo camice lilla a coprire il mio corpo e i capelli arruffati e spettinati. Agli occhi degli altri apparivo probabilmente come una folle, una pazza, oppure una semplice senzatetto.

Una volta salita sull'autobus, ignorai le strane occhiate lanciatemi dall'autista e dagli altri passeggeri, sedendomi sui sedili in fondo. Raggiunsi piuttosto in fretta la mia destinazione, non ricordavo distasse così poco dall'ospedale, oppure avevo semplicemente perso la cognizione del tempo. Scesi dal veicolo con nonchalance, camminando in modo lento e privo di energie. Mi sentivo come un fantasma che aveva smarrito la via; gli occhi facevano fatica a restare aperti, le labbra sigillate e la pelle che bruciava. Tanti aghi invisibili continuavano a pungere ogni minuscola parte interna ed esterna del mio corpo, a partire proprio dal cuore. Batteva lentamente, sembrava essere sul punto di cedere.

Vidi in lontananza la distesa di erba e grano, ma i miei occhi furono subito attirati dall'enorme albero sotto il quale Taehyung era solito rifugiarsi. Attraversai il prato invaso da alte spighe di grano che mi solleticavano le gambe, fino a raggiungere quel nostalgico, solitario albero. Le foglie verdi riparavano la mia testa dai pochi e ultimi raggi solari rimasti, prima di essere totalmente cancellati da altre nubi scure e tetre.

Mi sedetti sul terreno morbido, poggiai la schiena sul tronco e mirai la mia vista all'orizzonte. Poi, iniziò a piovigginare. Le prime gocce caddero senza farsi notare, ma aumentarono velocemente e sempre di più man mano che i secondi scorrevano. Io restai ferma a guardare l'acqua scrosciare da quelle nuvole arrabbiate tanto quanto me. In verità, non seppi se potessi definire ciò che provavo esattamente come rabbia. La mia era più frustrazione sofferta, mi sentivo così sola e abbandonata.

Così colpevole.

Delle lacrime salate si incastrano tra le mie ciglia, vogliose di lasciarsi andare e scivolare lungo le mie guance.

Un flashback improvvisò si piazzò nella mia testa con la stessa velocità di un flash fotografico. Quel flashback fu seguito da altre numerose immagini, le quali si proiettarono dentro la mia mente senza che potessi averne il controllo. Ritraevano tutte quante Taehyung, solo e solamente Taehyung.

Taehyung che mi sorrideva in cucina, quando avevo dieci anni e sperimentavo le prime ricette. Taehyung con l'espressione concentrata, mentre cercava di vincere alla playstation contro di me. Taehyung felice e orgoglioso, che mi guardava uscire dalla scuola il mio primo giorno di elementari. Taehyung scocciato, quando mi beccava a finire le ultime porzioni di dolce conservate in frigorifero. Ogni minima sfumatura di Taehyung si ripresentò nella mia memoria, scorrendo senza sosta.

Erano tanti i momenti passati insieme, altrettanti quelli passati separati. La mia più grande desolazione fu rendermi conto di aver smesso di viverli appieno con mio fratello maggiore, la mia unica famiglia rimasta. Lo avevo perso all'improvviso; avevo perso mio fratello e, questa volta, per sempre.

Non glielo avevo più detto.

Non gli avevo più detto quanto bene gli volessi, non avevo mai avuto il coraggio di dirlo. Avevo sempre girato attorno ai discorsi, tirando fuori parole che fuggivano all'obiettivo principale: fargli sapere che gli volevo bene.

Taehyung me lo aveva ripetuto così tante volte quanto mi volesse bene, e io mai avevo ricambiato, dando per scontato che lo sapesse. Come avrei fatto a vivere con questo peso?

Un singhiozzo scappò dalle mie labbra tremanti, il mio volto era rigato dalle lacrime che si mischiavano alla pioggia grondante dalle foglie sopra di me. Il sottile vestito che mi copriva si inzuppò presto di acqua, assieme ai miei capelli già fradici.

Vedere questo posto non mi stava aiutando, anzi, aumentava solo il bruciore che sentivo all'altezza del pezzo, dilagando il mio stomaco di un vuoto mai sentito prima d'ora. Cercai di alzarmi, ma fallii miseramente e le mie ginocchia caddero sul terreno fangoso. Strinsi dei fili d'erba nelle mie mani, percependo una rabbia repressa e improvvisa invadere ogni particella di me e della mia mente. Cominciai a singhiozzare e a piangere, strizzando le palpebre fino a farmi male.

Mi faceva male dappertutto, ma non era dolore fisico.

«T-Taehyung..» pronunciai il suo nome come se, chiamandolo, avessi potuto riportarlo da me e chinai la testa fino a toccare il terriccio umido con la fronte. «Ta-Taehyung...» la mia voce fuoriuscì sotto forma di verso soffocato, esprimendo solamente una minima parte della mia disperazione.


«Non mi hai mai reso triste.» disse subito con la paura che io davvero credessi a tutto quello che pensavo e dicevo. Poggiò una mano sulla mia guancia umida, accarezzandomela come se volesse cacciare via non soltanto le mie lacrime, ma anche quei miei pensieri negativi. «Cavolo Sooyun, tu non potresti mai rendermi triste e sai perché?» scossi appena la testa, guardandolo profondamente avvilita, ma curiosa comunque di sapere la risposta. «Perché sei tu il motivo per cui ho cominciato a essere davvero felice. Il mio sorriso non si è mai, e ripeto, mai spento a causa tua. Se io continuo a lottare, se continuo a stringere i denti e cercare di infondermi coraggio è solo grazie a te. Sei tu la persona che permette a questo cuore-» mi prese una mano portandomela all'altezza del suo petto. La adagiò leggermente a sinistra rispetto al centro, sfoderando uno dei sorrisi più sinceri che gli avevo visto. «-di battere. Io sono felice perché ci sei tu con me, mia sorella, e niente potrà mai cambiare questo fatto.»


Cacciai un grido sofferto, ignorando completamente il dolore che mi lacerò la gola. Urlai arrabbiata contro la pioggia, contro il cielo e contro quell'immenso supplizio che non smetteva di dilaniarmi l'anima. Passai minuti interi sotto l'acqua battente, sotto quella forza di gravità che pesava tonnellate sul mio corpo piegato a terra.

Non soltanto avevo spento il suo sorriso, ma anche il suo cuore. Per colpa mia, non avrei mai più potuto poggiargli l'orecchio sul petto e sentire il suo cuore battere contro la cassa toracica. Non avrei più rivisto i suoi occhi guardarmi e rassicurarmi. Non avrei mai più sentito la sua voce dirmi che sarebbe andato tutto bene.

Mai più.

Continuai a disperarmi, a gridare e piangere fino a quando persino la mia voce spezzata finì per estinguersi nell'aria. La gola bruciava tanto, ma niente era minimamente paragonabile al bruciore che percepivo vividamente dentro il mio petto, proprio nel punto in cui il mio cuore a fatica batteva ancora.

Smisi di pensare a Jungkook, a Seokjin, a Minjee, a Jimin e a Yoongi. Smisi di pensare a Yeosang e alla polizia. Smisi di pensare persino a me stessa, perché nei miei pensieri ci fu posto soltanto per il mio Taehyung, il mio fratellone.

Come avevo potuto aspettare che arrivasse il momento giusto, pur sapendo adesso che il momento giusto mai sarebbe esistito. Ero convinta che il tempo sarebbe sempre stato a mia disposizione, ma mi sbagliavo di grosso. Il mio tempo era terminato, il tempo di Taehyung spazzato completamente via. Era tutto finito, non avrei avuto alcuna opportunità futura per dirgli quanto diamine gli volessi bene, quanto lo volessi al mio fianco... Taehyung era morto senza sapere tutto questo, era morto senza sapere che non avrebbe più riaperto gli occhi.

E io, in quell'istante, ero morta assieme a lui.


JUNGKOOK


Ore 21:48

Credevo che non sarebbe più capitato, non a me. Mi ero convinto che mai più avrei ripassato quel periodo, lo stesso durante il quale mi sentivo coì smarrito e solo, così vuoto. Quando mio fratello se n'era andato avvertivo l'assenza di motivazione per continuare con la mia vita. Percepivo una costante e indissolubile carenza dentro di me, come se non fossi abbastanza in questo mondo.

Poi, però, ho conosciuto Yunhee. La mamma di Sooyun mi aveva fatto riscoprire il dono della vita, della mia vita. Mi aveva permesso di conoscere Sooyun e Taehyung, lasciando che mi avvicinassi a loro e divenissero la mia nuova famiglia. Sooyun era diventata presto una persona importante per me, molto più di una semplice sorella o amica.

Desideravo starle accanto, amarla e supportarla. Ma lei ora non me lo stava permettendo. Si stava chiudendo di nuovo a riccio, adesso ancor più di prima, cacciandomi fuori dalla sua bolla protettiva. Yunhee era a pezzi, aveva pianto per giorni interi senza dire una parola appena era venuta a sapere della morte del figlio.

Maggiore era il tempo che trascorreva e meno la ferita al mio cuore sembrava guarire. Non avevo avuto modo di conoscere Taehyung tanto da poter dire di essere un fratello per lui e viceversa, non come potevano invece farlo Jimin e gli altri suoi amici, ma era comunque il fratello maggiore di Sooyun, mio amico. Il dolore di una madre non poteva certamente essere paragonato al mio, non avrei mai osato mettermi a confronto, eppure...

La suoneria improvvisa del telefono interruppe i miei pensieri.

«Pronto?»

«Sooyun è sparita» la voce schietta e diretta di Jimin mi fece venire i brividi. Cosa voleva dire sparita? Non di nuovo, ti prego.

«Come?» bloccai i miei passi in mezzo al marciapiede, sollevando di scatto lo sguardo dinanzi a me. Un'ondata di ansia mi spinse a fare retro-front per raggiungere la mia macchina e correre in loro soccorso.

«Se n'è andata via senza avvisare nessuno, le infermiere l'hanno cercata ovunque dentro e fuori l'ospedale tutto il pomeriggio, ma lei non è da nessuna parte» mi informò facendomi sollevare un sopracciglio.

«Perché sembri essere così tranquillo?» domandai stranito.

«Non sono tranquillo, ma credo di sapere dove sia andata, anche se non ne sono sicuro..» rivelò con un leggero sospiro, poi aggiunse: «Raggiungici all'ospedale appena puoi, ti aspetto qui»

La chiamata venne chiusa in seguito a un mio cenno di assenso, mi precipitai per le strade guidando nell'ultimo modo in cui il mio istruttore di guida avrebbe voluto, fregandomene dei limiti di velocità da rispettare.

«Jimin!» gridai il nome del moro, correndo verso di lui non appena lo individuai su una delle panchine fuori l'enorme struttura sanitaria. Gli occhi del ragazzo incontrarono i miei e l'espressione seria che mi rivolse mi fece deglutire preoccupato. «Allora?? Dove si trova Sooyun?»

«Jungkook, finalmente sei qui» il tono notevolmente basso di Jimin non mi fece stare meglio, non lo avevo mai visto così triste e demoralizzato. «Ho un'ipotesi, non è certo ma vale la pena tentare» Si alzò dalla panchina fronteggiandomi a testa bassa, gli occhi erano puntati ovunque tranne che su di me.

«Come mai gli altri non sono qui?» chiesi nel guardarmi attorno e non notare la presenza di Seokjin o Yoongi. Anche la giovane donna che si trovava sempre in compagnia di Seokjin non c'era.

«Non gli ho detto niente, non voglio farli preoccupare» rispose senza giri di parole, sospirando per l'ennesima volta affranto. «La situazione è già critica di suo, ci mancava solo questa e-» la voce di Jimin si spezzò all'ultimo, facendomi spalancare appena gli occhi. Vidi i suoi farsi lucidi, un sorriso amaro comparirgli sul volto dall'aria stanca, stravolta. «Cazzo, scusami...» scosse la testa guardandomi negli occhi. «Dobbiamo andare al campo dove si recava sempre Taehyung quando voleva starsene da solo, forse è andata lì. Oppure non lo so dove altro potrebbe andare, diamine io non-» io annuii in silenzio, notando però la sua certezza incrinarsi. «Cazzo non ne ho idea, però proviamo comunque ad andare a vedere. Da qualche parte la troveremo»

«Forse...» mi fermai prima di continuare, indeciso su quello che stavo per dire. Jimin mi rivolse la tua totale attenzione, come se stesse sperando che avessi io la soluzione perfetta. «Dovremmo chiamare la polizia, non credi?»

Jimin non disse niente per una manciata di secondi, facendomi capire con il solo guardo quali pensieri stessero vagando per la sua testa. Era indeciso e per niente convinto della mia proposta, però una piccola parte di lui, forse, aveva avuto la medesima idea.

«So che la polizia non vede l'ora di trovare il momento perfetto per fiondarsi su Sooyun e farle domande su Yeosang, ma-»

«Avrei dovuto dirlo a Taehyung» mi interruppe, «Se glielo avessi detto, forse tutto questo non sarebbe successo» Jimin abbassò la testa nel mormorare flebilmente tali parole, e a me si spezzò il cuore per l'ennesima volta. «Se io avessi subito riferito a Taehyung ogni cosa, lui non sarebbe morto-» un singhiozzo scappò dal suo controllo, si portò velocemente una mano sul volto vergognandosi di mostrarsi tanto fragile di fronte a me.

«Non è colpa tua» mi avvicinai di un passo per consolarlo, avendo però paura di fare l'effetto opposto. «Non è colpa di nessuno di voi, è stato Yeosang a ucciderlo, non voi.» parlai coinciso assicurandomi di scandire le ultime due parole.

«Non sono neanche in grado di prendermi cura di sua sorella» disse con una risata priva di divertimento, «Non soltanto ho lasciato che il mio migliore amico morisse, ma anche che sua sorella finisse in ospedale per poi scappare da noi e andarsene chissà dove, da sola e con il cuore a pezzi»

«Jimin-»

«Sono l'amico peggiore che qualcuno potesse mai avere-»

«Smettila di dire così!» sbottai, sfogando in un solo colpo tutta l'oppressione, la frustrazione e l'impotenza che trattenevo dentro di me. Sentii gli occhi bruciare e il naso pizzicare, con una grande voglia di scoppiare a piangere come un bambino. «Quello che dici non è vero! Sooyun era già ingestibile prima di tutta questa merda, diamine!» alzai la voce, sorprendendo Jimin, ma prima di tutti me stesso. «Tu non hai alcuna responsabilità per quello che è successo a lei e a Taehyung e, se lui adesso fosse qui, sono certo che ti direbbe la stessa cosa!»

Spostai di scatto lo sguardo altrove, non essendo più in grado di reggere il suo. Anche io stavo soffrendo, se non avessi detto che anche una piccola parte di me si sentiva responsabile avrei mentito. Percepivo un peso gravare sul mio petto come un masso pesante tonnellate, schiacciandomi dall'interno e facendomi provare quel dolore che continuava a sussurrarmi "è anche colpa tua", "non hai fatto abbastanza per lei" e ancora "potevi fare di più".

«Dobbiamo chiamare la polizia» mormorai con la voce rauca e bassa, a causa delle grida, dopo attimi di religioso e teso silenzio. «Ci pensiamo dopo a come gestire tutto e fare in modo che non facciano di nuovo pressione su Sooyun con le loro indagini»

«Sooyun non vorrebbe-»

«Al diavolo di quello che vorrebbe Sooyun!» sputai tanto arrabbiato quanto preoccupato. «Abbiamo sempre e solo fatto ciò che voleva lei e guarda com'è andata a finire» deglutii a disagio non appena mi resi conto di quel che avevo detto e, avendo paura che le mie parole potessero essere fraintese, mi affrettai a spiegarmi meglio. «Non sto dicendo che è colpa di Sooyun, però se continuiamo ad assecondarla in ogni cosa che fa potrebbe farsi del male di nuovo. Mi è bastata già una volta, ogni volta che chiudo gli occhi sento ancora il suo sangue scorrere tra le mie mani, cazzo n-non-» Mi fermai un attimo, non appena mi accorsi di star perdendo troppo il controllo di me,  e presi un grosso respiro, imponendomi di calmarmi. «Chiamiamo la polizia e poi pensiamo al resto»

Jimin annuì alle mie parole con un'espressione indecifrabile sul volto. La suoneria del mio telefono, per la seconda volta nell'arco di una giornata, ruppe quel silenzio agghiacciante. Era un numero sconosciuto e mi chiesi chi mai potesse essere a quest'ora della sera. Risposi senza pensarci troppo, ma ciò che mi venne detto dall'altra parte della linea mi fece sbiancare. Jimin si accorse probabilmente del cambio repentino del mio colorito di pelle, chiedendomi perciò chi fosse.

Continuai a tenere gli occhi spalancati e le labbra schiuse anche quando la chiamata fu chiusa. Abbassai la mano che reggeva il telefono, fissando il display come se fosse un oggetto mistico. Non potevo crederci che l'avesse fatto davvero, ero a dir poco incredulo. No, a dirla tutta, ero terrorizzato.

«Jungkook? Allora, chi era? Perché hai questa faccia?» mi domandò a raffica, ora anche lui preoccupato a causa delle mie mancate risposte.

Stava accadendo esattamente tutto quello che non doveva accadere. Volli sperare che si trattasse di uno scherzo, ma quella era la pura realtà. Lo guardai negli occhi con un misto di preoccupazione e rabbia, infine mormorai flebilmente:

«Sooyun è andata alla centrale di polizia» 


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