𝟒𝟑. Riavvolgere il tempo
________________________________
"Le promesse non sono altro che le più dolci bugie."
________________________________
SOOYUN
Le immagini di fronte a me sbiadivano sotto l'effetto delle lacrime di paura. Le mie orecchie riuscivano a captare solo il battito cardiaco accelerato del mio cuore. I polmoni sembravano poter scoppiare da un momento all'altro, incapaci di farmi respirare normalmente.
Lasciai la bicicletta cadere a terra, sul ciglio della strada, e corsi come una matta verso la porta d'entrata della casa di Minjee e Seokjin. Di colpo mi fermai con i piedi a un passo dalla soglia e il respiro che invano cercava di regolarizzarsi. La porta era semichiusa e, di conseguenza, qualcuno prima di me doveva averla già aperta senza neanche preoccuparsi di chiuderla. Notai delle strane ammaccature presenti vicino alla maniglia, ma decisi di non soffermarmici troppo.
Stetti per posare una mano sulla superficie liscia di legno color ebano, ma mi bloccai nel notare un coltello a terra a pochi centimetri di distanza dai miei stessi piedi. Feci ricadere il braccio lungo il mio fianco e, non riuscendo a vederlo per bene a causa del buio, decisi di avvicinarmi a quell'arma abbandonata al margine delle mura esterne, nascosta tra l'erba. Mi abbassai sulle ginocchia, raccogliendola con il timore di potermi fare male al solo suo sfiorare. Il manico nero era perfettamente pulito, tutto l'opposto della lama sporca di sangue.
La vista del liquido rosso cremisi mi fece rivoltare lo stomaco e spalancare gli occhi, presto inondati da un'altra buona quantità di lacrime. Che fossero lacrime di paura, di tristezza, di confusione o di puro ribrezzo, tutto questo non riuscii più a capirlo neanche io. Qualcuno era stato ferito proprio qui, in questa casa e prima che arrivassi io.
Il bambino.
Un campanello d'allarme mi fece scattare dentro l'abitazione, fregandomene completamente dell'eventuale presenza di qualcuno oltre a me. Risalii le scale in fretta e furia, raggiungendo la stanza che sapevo fosse del figlio di Minjee e Seokjin. Spalancai la porta, tastai freneticamente il muro al mio fianco alla ricerca dell'interruttore e in meno di un secondo tutta la stanza venne illuminata dalla lampada appesa al soffitto.
Nel rivelare ciò che c'era al suo interno, sbiancai di colpo, non riuscendo più a trattenere grida di terrore. Il pianto del bambino si fece presto sentire per il brusco risveglio che io stessa avevo provocato.
«O mio Dio! O mio Dio!-» Un forte singulto mi spezzò il fiato «No, no, no! NO!» fui colpita da numerosi singhiozzi e incredibilmente il mio pianto sovrastò quello del bimbo spaventato, che non capiva cosa stesse provocando tanto chiasso, tanto dolore.
I corpi di Jihoon e Namjoon giacevano a terra, in una pozza di sangue. Entrambi sembravano essere stati posizionati appositamente vicino alla culla, completamente sdraiati e gli occhi ancora aperti, ma privi di luce. Portai le mani a coprirmi la bocca, facendo cadere il coltello macchiato di sangue, del loro sangue, sul pavimento, e strinsi gli occhi fino a farmi male, spingendo tante altre lacrime a sgorgare da essi e percorrere il mio volto stravolto.
Erano morti. Yeosang li aveva uccisi. Li aveva uccisi entrambi.
Non captai neanche l'arrivo di una signora che, come un tornado, si precipitò nella stanza dietro di me. Le mie grida, accompagnate dal pianto del bambino, dovevano averla risvegliata.
«Che succede?! Che succed-» quando la donna si affiancò al mio corpo immobile e percosso da numerose scosse, un ansimo di shock scappò dalle sue labbra e un vortice di emozioni prese posto sul suo volto: preoccupazione, shock, terrore. Sull'orlo di un miscuglio di emozioni traslate in una totale confusione emotiva, corse verso il primo telefono di casa disponibile gridando che avrebbe chiamato la polizia.
Non riuscii a muovermi, il mio sguardo era completamente rivolto sui due corpi inermi, svuotati da un'anima che gli era stata strappata via con la forza. Namjoon e Jihoon erano morti e io ancora non riuscivo a crederci. Sperai di star sognando, di essere stata violentemente catapultata in un incubo perché non volevo credere che questa fosse la realtà.
Namjoon era morto. Jihoon, il cugino di Yoongi, era morto. Yoongi... Come avrebbe reagito Yoongi?
«I-Io...» la voce mi tremò appena, non sapevo più che cosa dire. «H-Ho fatto un errore, ma-»
«Solo uno?» mi schernì sprezzante. Ingoiai a fatica il nodo che avevo alla gola e trattenni con tutte le forze quelle lacrime che ultimamente si mostravano troppo facilmente sul mio volto.
«Ho fatto tanti errori.» sibilai stringendo i denti, senza riuscire però a non far tremare la mia voce. «Ho sbagliato, lo so bene, ho sempre sbagliato in tutto e ora sto cercando per la prima volta nella mia vita di fare la cosa giusta. Se mi lasciassi modo di spiegarti tutto, ti assicuro che capiresti meglio cosa è successo e cosa mi ha portata a rovinare la mia vita, ma ti giuro Yoongi che mi sto impegnando per rimediare e per diventare una persona migliore. Ti prego, te lo sto chiedendo per favore, fino a quando non riterrò io che sarà il momento giusto per parlargliene, devi fare finta di non sapere niente.»
«Non puoi chiedermi una cosa simile Sooyun, non posso acconsentire a una simil-»
«Per favore» lo supplicai facendolo bloccare di fronte alla mia disperazione. «Devi fidarti di me.»
Il pianto del bimbo, ancora all'interno della culla, continuava a echeggiare nella stanza. Sentii qualcosa nella mia borsetta vibrare numerose volte e, non seppi bene come, riuscii a estrarlo per vedere chi mi stesse chiamando. Con gli occhi rossi e le lacrime che bagnavano il mio volto distrutto dall'angoscia, vidi la chiamata da parte di mio fratello interrompersi e subito dopo una successione di notifiche mostrarsi sul display. Chiamate perse, chat ancora non lette e, soprattutto, Yeosang che mi aveva inviato proprio in questo istante una sfilza di messaggi che non fecero altro che aumentare il mio terrore.
Percepii un disgustoso senso di nausea, convinta che avrei potuto rimettere quel poco che avevo mangiato alla cerimonia proprio qui, in questa stanza. I messaggi erano numerosi e i miei occhi scorrevano veloci da una parte all'altra della chat, non riuscendo però ad assimilare neanche una singola parola.
Solo una frase. Una singola frase in mezzo a un testo scritto come un papiro riuscì a risvegliare il mio cervello andato in blackout.
Yeosang Loro sono stati i primi e non saranno gli ultimi.
Un ansimo di puro terrore scappò dalle mie labbra tremanti, che facevano a gara con le mie mani. Sembravo una fogliolina che era appena stata staccata da un ramo troppo prematuramente, disorientata dal vento pronto a spazzarla via come se fosse semplice polvere.
Io ero vera e propria sabbia tra le mani di Yeosang e, in quell'istante, seppi che avrebbe potuto modellarmi a suo piacimento. Schiacciarmi, comprimermi, sigillarmi e soffiarmi via. Yeosang con me stava semplicemente giocando.
Spinta dalla paura che potesse mettere in atto anche questa minaccia sulle altre persone che amavo più della mia stessa vita, corsi fuori dalla casa sotto le grida confuse e terrorizzate della babysitter. Le mie gambe si muovevano da sole, una dopo l'altra, non riuscendo più neanche a percepire l'indolenzimento muscolare che avrei sicuramente provato in una situazione diversa.
L'aria tiepida mi colpì la faccia umida, le mani erano strette in pugni capaci di rompersi da soli. Poi, come un soffio di vento, tutto divenne solo una meta irraggiungibile davanti a me. Venni intrappolata tra delle forti e possenti braccia che mi impedirono di muovermi ancora, smisi di sentire il suolo sotto ai piedi e il fiato si spezzò come se fossi appena stata colpita dritta allo stomaco. Gli avambracci della persona che mi stava reggendo e sollevando in aria stringevano il mio busto con una tal forza da farmi male. La nuca della mia testa si poggiò in automatico sulla spalla di chiunque stesse cercando di fermarmi per non farmi scappare.
«Lasciami! Lasciami andare!»
«Ti avevo avvisata, no?» il sibilo della sua voce colpì il mio orecchio come una freccia appuntita, facendomi ancora più male. «Che avrei ucciso chiunque sarebbe stato necessario uccidere se fosse servito a farti capire che l'unico modo per salvarti è stare con me.»
Le sue parole velenose si insinuarono dentro di me, incutendomi un terrore che mai e poi mai avevo provato prima d'ora. Yeosang era completamente impazzito, doveva esserlo. Non poteva seriamente aver ucciso due persone per pura soddisfazione personale, per convincermi di qualcosa che non aveva assolutamente alcun senso razionale.
«Lasciami andare cazzo!» Urlai in preda al panico, colpendo le sue braccia in un futile tentativo di fargli mollare la presa. Non servì a niente, semmai ciò parve divertirlo ancora di più, consapevole che non avrei potuto fare niente contro di lui. La mia forza era una misera scheggia rispetto alla sua. «Yeosang, lasciam-»
Venni scaraventata all'interno di una macchina nera, sbattendo la testa contro il poggiatesta del sedile anteriore. La porta fu chiusa con forza, mentre un lancinante mal di testa mi impedì di vedere nitidamente ciò che mi circondava. Giurai di percepire i sensi venire a meno, ma non appena sentii Yeosang prendere posto sul sedile del guidatore il terrore di trovarmi chiusa in macchina al suo fianco riuscì a rendermi più lucida.
«NO!» sbattei le mani contro il vetro del finestrino, come se così avessi potuto romperlo. Volevo scappare, fuggire via il più lontano possibile e risvegliarmi nel mio letto per realizzare che tutto questo fosse nient'altro che un incubo. Doveva esserlo. «NO, TI PREGO! LASCIAMI ANDARE!» Piansi ancora più forte, senza mai arrendermi e continuando invano a cercare di sbloccare la portiera. Ero in trappola come un topolino spaventato, pronto ad essere divorato dalla sua preda. «AIUTO! VI PREGO, QUALCUNO MI AIUTI!»
Persi totalmente il lato razionale di me quando vidi l'ambiente cominciare a scorrere davanti ai miei occhi, notando come la macchina si stesse dirigendo nella direzione opposta a quella verso la quale stavo correndo via. Ci stavamo allontanando dalla scuola, dalla casa di Seokjin e Minjee, da Jungkook, da mio fratello, da tutti. Yeosang voleva allontanarmi da tutti loro.
«Yeosang, lasciami andare!» Gli gridai contro, ottenendo niente meno che totale e pura apatia da parte sua. Le sue mani erano strette sul volante, lo sguardo gelido puntato sulla strada. «Yeosang! Ti scongiur-»
«Ti consiglio di metterti comoda, sarà un viaggio lungo» la sua voce calma e roca interruppe le mie preghiere disperate, confondendomi ancora di più. Mettermi comoda? Viaggio lungo? Di che diavolo stava parlando?!
«Smettila di dire cazzate! Lasciami stare!» scoppiai di nuovo in un pianto nervoso, sputando fuori tutta la paura e l'odio messi insieme che stavo provando e che lui aveva provocato in me. «Hai ucciso Namjoon! Hai ucciso Jihoon! Tu sei pazzo!»
«NON HAI PIÙ NESSUNO!» Le sue parole gridate sovrastarono nettamente le mie, lasciandomi di sasso. Non era vero che non avevo più nessuno. Cosa cazzo stava dicendo?! Aveva perso completamente il lume della ragione. «Tutti sapranno quello che hai fatto.» parlò ancora, moderando di colpo i toni della voce. Cosa?
«Io n-non-» tremai nel parlare, a malapena fu possibile udire ciò che dissi. Ero talmente sconvolta, distrutta, che non ebbi più neanche le energie per urlare o piangere. Ero immobile, debole e sentii l'intero corpo essere sul punto di svenire. «Io non ho fatto niente»
Yeosang ghignò beffardo, mostrando tutta la malignità che aveva cercato inutilmente di trattenere di fronte a me fino a questo momento. Aveva cercato di mostrarsi calmo, tranquillo, ma Yeosang era tutto tranne che tranquillo.
«Hai ucciso Namjoon e Jihoon, Sooyun » Il suono del mio nome pronunciato dalle sue labbra riuscì a farmi venire brividi di repulsione. «E presto lo verranno a sapere tutti, per questo motivo ti sto portando via da qui. Ti sto salvando.»
«Cosa diamine stai dicendo?! Io non ho ucciso nessuno!» Non mi importò di star gridando contro un assassino, perfettamente in grado di farmi del male se solo avesse voluto. Ignorai tutti pericoli che stavo correndo nel provocarlo. «Sei stato tu a ucciderli!»
La risata di Yeosang mi perforò violentemente i timpani, facendomi saltare ogni nervo possibile e immaginabile.
«Le impronte che troveranno sul coltello saranno le tue, non le mie. Quindi, fino a prova contraria, la persona che ha impugnato l'arma che li ha uccisi non è nessun altro se non tu.» Disse languido, con una perfidia che non pensavo potesse esistere. Più Yeosang parlava e meno io capivo cosa stesse cercando di dirmi.
Le impronte che troveranno sul coltello saranno le tue, non le mie.
Le impronte che troveranno sul coltello saranno le mie. Io ho impugnato il coltello macchiato del sangue di Namjoon e Jihoon. Era stato tutto calcolato. Ogni mia fottuta azione era stata prevista, Yeosang sapeva tutto. Aveva sempre saputo tutto.
Mi aveva incastrata.
Yeosang aveva pianificato tutto.
«N-No. No, no, no, non può essere vero, NO!» Scossi la testa non riuscendo a metabolizzare tutta quella gamma di informazioni che Yeosang mi aveva appena sputato addosso. Tutti crederanno che sono stata io a ucciderli, perché sono stata io a toccare il coltello. Capii che Yeosang dovesse aver appositamente utilizzato qualcosa per non lasciare le sue impronte, spingendo ogni avvenimento e prova contro di me.
La mia richiesta di aiuto alla polizia non era assolutamente servita a niente. L'aver portato la giustizia direttamente da lui in anonimato, svelando la sua identità e cercando inutilmente di farlo catturare, non era servito a niente.
Tutto quello che avevo fatto nel cercare di proteggere me e la mia famiglia era stato inutile. Tutto inutile.
Alla fine, quella che era caduta in trappola ero soltanto io e, anzi, nell'agire avevo solamente peggiorato la situazione.
Taehyung.
Jungkook.
Seokjin.
Minjee.
Yoongi.
Jimin.
«Voglio tornare a casa.» singhiozzai come una bambina, guardando il profilo serio di Yeosang e vedendo come mi stesse palesemente ignorando. «Voglio tornare dalla mia famiglia-»
«Sono io la tua famiglia, Sooyun-»
«NO! Tu non sei niente! Voglio tornare a casa mia, da mio fratell-»
«SONO IO LA TUA FAMIGLIA!» Yeosang si voltò di scatto verso di me, facendomi saltare in aria dalla paura. Spalancai gli occhi rossi e lucidi, guardandolo come se davanti a me avessi una persona totalmente priva di razionalità.
La sua espressione stravolta dalla rabbia fece solo aumentare le mie lacrime, ero spaventata come un cucciolo di cerbiatto messo all'angolo da un fottuto leone pronto a sbranarlo. Sembrava che davanti a me ci fosse un mostro e non un comune essere umano.
Cercai di soffocare il pianto, ma un singulto a malapena trattenuto sfuggì dal mio controllo e, non ne seppi il motivo, Yeosang parve innervosirsi maggiormente alla vista delle mie lacrime.
Con chi cavolo avevo a che fare? Quando ci eravamo conosciuti lui non aveva mai mostrato questo strano lato di lui, non si era mai permesso di gridarmi addosso e tantomeno di mettermi così tanta paura. Il fatto che io pensassi fosse una persona perlomeno normale, non equivaleva a dire che mi fidassi di lui. Il fatto era che, in cuor mio, speravo di risultare indifferente ai suoi occhi. Io lavoravo per lui, guadagnavo parte dei soldi grazie alla droga che i clienti chiedevano e finiva lì. Che fosse uno svago per la mente, una mia svista adolescenziale o anche un semplice e stupido sfizio, Yeosang non aveva in teoria alcun tipo di legame con me. Non mi era mai piaciuto, né lui né i suoi compagni, però a modo suo mi aveva aiutata ad allontanarmi per un po' dalle persone alle quali avevo paura di fare del male, senza rendermi conto di come però, in fin dei conti, l'unica persona che cercassi di proteggere era me stessa.
Mi volevo distaccare dalla realtà, dalla mia stessa vita alla ricerca di un'altra, volevo essere diversa. Semplicemente, non volevo più essere io. Più distaccavo la mia persona da ciò che ero una volta e meglio riuscivo a sentirmi.
O almeno questo era ciò che credevo, a cui io volevo credere. Ma era tutta una mera illusione.
Io non ero cambiata, ero sempre stata Sooyun. La cosa peggiore che potessi fare era far pensare a Taehyung che io non volessi più esserlo. Avevo fatto del male a mio fratello. Avevo fatto del male ai ragazzi, che mai avevano smesso di volermi bene. E, alla fine, avevo fatto del male anche a Jungkook.
Ma, più di tutti, avevo fatto del male a me stessa.
«Tu non sei la mia famiglia, Yeosang.» Cercai di essere chiara, concisa. Volevo assicurarmi che lui capisse. «Non sei mai stato la mia famiglia e mai lo sarai. Questo tu lo sai bene-»
La macchina frenò di colpo e sentii l'aria venire a mancare in un millesimo di secondo. La mano di Yeosang strinse forte il mio collo, tirandomi verso di lui per avvicinare i nostri volti. Strinsi gli occhi a causa del dolore che provai per la sua forte presa e, in automatico, portai una mano sul suo polso per intimargli di lasciarmi andare. Boccheggiai inutilmente in cerca di aria, ma a Yeosang non importò minimamente come non riuscissi a respirare. Lui mi stava facendo del male, ma allora perché ai suoi occhi tutto questo parve qualcosa di assolutamente normale e necessario?
«Tu non hai capito un cazzo» sibilò a bassa voce a una spanna dalla mia faccia. I suoi occhi di ghiaccio trafiggevano i miei come due pugnali. «Tutte le persone che dici di amare stanno per scoprire quello che tu hai fatto. La polizia lo verrà a sapere, tutta la città lo verrà a sapere. Ti lasceranno sola, tutti loro ti abbandoneranno e sai perché?» Il suo fiato caldo colpì le mie guance bagnate, mentre la sua mano strinse maggiormente la mano attorno al mio collo. Mi uscì un gemito di dolore e tentai di chiedere di allentare la presa, ma prima di riuscirci Yeosang continuò a parlare. «Perché loro non ti amano!»
Venni spinta con violenza contro la portiera chiusa della macchina, sbattei la testa sul finestrino e l'impatto mi provocò un doloroso mal di testa.
"Perchè loro non ti amano!"
Non é vero. Taehyung mi ama. Minjee e Seokjin mi amano. Yoongi e Jimin mi amano.
Jungkook ha detto di amarmi.
«I-Io non ho fatto niente..! S-Sei stato tu a uccid-»
«L'HO FATTO PER COLPA TUA!» Le sue parole, gridate con furia omicida, risultarono come una seconda e ancora più forte spinta contro la portiera. Mi ammutolii all'istante, con le labbra schiuse e gli occhi che non riuscirono a lasciare quelli taglienti e freddi del ragazzo di fronte a me. Le lacrime aumentarono, bruciando lungo la mia pelle. «Devi smetterla di piangere, non risolverai assolutamente niente piangendo.» Sputò con un tale risentimento e ribrezzo da farmi venire voglia di accasciarmi a terra e vomitare tutta l'anima che avevo in corpo.
Ebbi come un déjà-vu. Quelle erano le stesse parole che mia mamma continuava a ripetermi ogniqualvolta mi vedesse all'angolino del soggiorno a piangere, piangere e piangere. Tutto questo succedeva mentre lei si ubriacava di vino o si faceva di cocaina.
Yeosang, senza aggiungere altro, stette per ripartire e fu proprio in quell'istante che qualcosa scattò nel mio cervello. Forse era grazie all'adrenalina, alla paura o al semplice istinto di sopravvivenza. Qualsiasi cosa mi avesse appena spinta contro di lui, sbloccando la serratura della mia portiera che subito andai ad aprire, mi aveva appena permesso di ruzzolare fuori da quella macchina per mettermi in salvo.
A quel punto non capii più niente di ciò che successe poco dopo. Ogni cosa attorno a me era confuso, sfocato. Ah si, quelle sono le mie lacrime.
Lacrime di angoscia, terrore, sofferenza. Lacrime di sangue.
Non mi voltai, non volli vedere Yeosang imprecare e scattare fuori dall'automobile per rincorrermi e costringermi a ritornare nelle sue grinfie. Non volli farlo, perché se mi fossi girata ero certa che mi sarei bloccata sul posto, pietrificata come una statua. Mi sarei arresa.
«Sooyun!»
«Sooyun!»
Più voci mi richiamarono, non appartenevano certamente tutte a Yeosang. Forse erano due le persone che mi stavano chiamando, oppure tre. Non volli sapere nemmeno quello, impedivo a me stessa di voltarmi. Avevo il fiato spezzato, i polmoni bruciavano chiedendomi implicitamente di fermarmi. Mi sarei fermata? Assolutamente no.
«Sooyun, sono qui! Sono qui Sooyun!»
Al suono di quella voce qualcosa dentro di me si ruppe. Sentii d'un tratto i miei ansimi echeggiare nelle mie orecchie e disperdersi nell'aria come se fossi appena uscita da un tunnel buio che sembrava non avere più fine ormai.
Quella non era la voce di Yeosang.
«Ma tu mi rendi già felice» ribattei fermandomi davanti a lui «Non hai bisogno di comprarmi i miei dolci preferiti per farlo.»
Vidi mio fratello piegarsi sulle ginocchia in modo da arrivare alla mia altezza, i suoi occhi premurosi si incatenarono ai miei ed il suo dolce sorriso si ampliò maggiormente alle mie parole.
«A me invece basta vederti sorridere per essere felice» mormorò, provocandomi un'inspiegabile fitta la cuore.
Perché sentii dell'amarezza nascosta in quelle parole? Perché il suo sorriso, in quell'istante, sembrò essere quasi triste e in netto contrasto con ciò che diceva? Che cosa mi stava sfuggendo? Cos'era che non riuscivo a scorgere ad occhi nudi sotto quella facciata di felicità?
Perché, nonostante percepii che qualcosa non andasse, continuavo a fare finta di nulla?
Perché ero così ingenua?
«Dici davvero?» chiesi in sussurro, sorridendo poi leggermente al suo annuire, mentre prendevo le sue grandi mani tra le mie «Allora vorrà dire che sorriderò sempre» guardai le nostre mani unite «Te lo prometto-» riportai lo sguardo sul suo viso, puntando i miei occhi sinceri nei suoi limpidi e profondi come l'oceano «Se smettere di sorridere significa renderti triste, farò in modo che questo non accada mai.»
Jungkook aveva ragione, il tempo non è illimitato. Il tempo è fottutamente finito, breve. Noi esseri umani non ce ne rendiamo nemmeno conto, convinti di avere tutto il tempo del mondo a nostra disposizione. Ma non è così, affatto. Il tempo che tutti noi abbiamo perso, che io ho perso, non torna più. Quello passato ormai è perduto, la sabbia che scorre tra le nostre dita ormai è volata via, smarrendosi insieme al vento. Avevo perso tanta di quella sabbia dalle mani che non seppi bene come fosse possibile non essermene accorta prima.
Nella mia vita erano stati tanti gli errori da me compiuti. Tanti i rimpianti e altrettanti rimorsi. Tante, tante e ancora tante cose di cui non andavo fiera. E tante di quelle volte avevo desiderato poter tornare indietro nel tempo, capovolgere la clessidra per porvi rimedio e cambiare tutto ciò che avevo sbagliato, portandomi fino a dove ero giunta adesso.
Mi voltai indietro e questo fu un altro errore da aggiungere alla numerosa lista che avevo compilato per tutti questi anni. Mai avrei pensato di voler riavvolgere il tempo tanto quanto lo desiderai quella stessa sera.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top