𝟒𝟏. Prima che divenisse tutto buio e vuoto

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"Congratulazioni, mi hai ingannato davvero bene."

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JISOO

Venerdì 2 Aprile 2021, ore 20:46

Sbuffai per la millesima volta, mentre continuavo a camminare goffamente lungo quella strada buia, illuminata dai pochi lampioni presenti. I miei passi erano veloci, ma di una falcata nettamente inferiore rispetto a quelli di Jihoon.

«Ma insomma! Si può sapere dove stiamo andando?» domandai con tono lamentoso, puntando gli occhi sulla schiena rigida del ragazzo che camminava davanti a me.

«Te l'ho già detto.» rispose tranquillo, senza nemmeno preoccuparsi di guardarmi. «Ci stiamo dirigendo verso la casa del professore Kim, così da potergli parlare in completa privacy.»

«Perché proprio da lui?» corrugai le sopracciglia confusa. Quando mi aveva chiamata per chiedermi di non partecipare al ballo primaverile e di aspettarlo a casa alle dieci gli avevo naturalmente chiesto cosa avesse intenzione di fare, ma non mi aveva dato alcuna risposta. Si era limitato a dirmi che riguardava Namjoon ed era molto importante, solo per questo motivo avevo deciso di acconsentire. «Ma, soprattutto, perché a quest'ora della sera? E se anche lui si trovasse alla cerimonia?»

«È molto difficile che uno come lui partecipi a un evento simile...» borbottò lanciandomi una veloce occhiata dalle spalle. «E poi non hai saputo? L'agente di polizia che venne a scuola per ricavare informazioni sulla sua sparizione è in coma.»

Spalancai gli occhi a quella notizia, non essendo minimamente a conoscenza di ciò che stava accadendo al di fuori della mia vita. Non ero una persona che si preoccupava di seguire le notizie al telegiornale, tantomeno di venire a conoscenza dei fatti di cronaca riguardanti Namjoon. Questo non perché non mi importasse, anzi. Semplicemente avevo paura. Avevo paura di sentire i notiziari che riguardavano le indagini sull'unica persona di cui veramente mi importasse nella mia stupida e seccante vita. Mi limitavo a sperare, sperare e sperare che un giorno lui tornasse da me.

Credevo che la stessero facendo più tragica di quanto dovuto e che, magari, fosse semplicemente scappato per prendersi una pausa da tutto questo. O almeno, io volevo soltanto credere a questo: che lui sarebbe tornato. Del resto, me lo aveva promesso. Mi aveva promesso che non mi avrebbe mai lasciata sola. E io mi fidavo di lui.

Si, sarebbe tornato da me.

«No, non ne sapevo niente...» mormorai pensierosa.

«È meglio sfruttare questa occasione che abbiamo per poter parlare in tutta tranquillità con l'unica persona che forse sa qualcosa in quella maledetta scuola, senza inutili rischi di poter essere sentiti da impiccioni. Avrai notato anche tu del legame particolare che lega il professore con Sooyun, no?»

Nel sentire il nome di Sooyun sentii il corpo essere inondato di brividi. Non avevo mai sopportato quella ragazza. Odiavo come guardava me, come guardava Namjoon, come guardava tutti noi. Era come se davanti i suoi occhi, ogni volta che incontrassero i nostri, ci fossero due esseri inutili e senza valore in mezzo a tanti altri esseri viventi che non avevano alcun valore per lei. Ma, ancora più di tutto, odiavo il fatto che fosse proprio lei la persona che procurava la droga a Namjoon. La detestavo, perché era tutta colpa sua. Sua e di sua madre, dal momento che dati i precedenti ero certa che i suoi atteggiamenti fossero causati dalla cattiva influenza della madre.

Con alte probabilità anche Sooyun faceva uso di quelle sostanze.

A lei non importava niente di cosa sarebbe potuto succedere, non le importava chi fosse il compratore. L'unica cosa che le interessava era venderla, prendere i soldi e farci chissà che cosa. Namjoon non mi aveva mai parlato approfonditamente di ciò che succedeva tra loro due, di che persona fosse Sooyun e questo mi faceva imbestialire ancora di più.

Ma, del resto, che altra vita poteva condurre la figlia di una drogata? A quali progetti futuri poteva mai aspirare una persona simile?

Sooyun era destinata a vivere in un ambiente tossico, difficilmente ne sarebbe uscita. Sbuffai al pensiero di quanto fosse maledettamente orribile quella ragazza. Era tutta colpa sua se Namjoon riusciva a procurarsi ancora più facilmente ciò che voleva.

«Sono sicuro che Sooyun sappia benissimo dove si trova Namjoon e, se siamo fortunati, potremmo riuscire a ricavare qualche informazione da quelle poche persone che le stanno accanto. Forse, con loro si è confidata.» la voce di Jihoon mi rimbombò nelle orecchie come tanti piccoli echi e l'unica cosa che riuscii a captare furono i nomi di Sooyun e Namjoon interposti nella stessa frase. «Ho già provato a chiedere a mio cugino, ma purtroppo lui non ne sapeva nulla. Era scioccato quando gli ho raccontato tutto quello che so su Sooyun... A quanto pare lui non era a conoscenza del lato oscuro della sorellina di Taehyung. Sai, mio cugino è un amico molto stretto del fratello di Sooy-»

«Mi stai dicendo che Sooyun sa qualcosa sulla sparizione di Namjoon?» domandai incredula, ignorando completamente tutto il resto del discorso e concentrandomi piuttosto sui primi dettagli che Jihoon mi aveva appena rivelato.

Per quanto potessi odiarla e avere tanti pregiudizi negativi su di lei, non avevo mai pensato alla possibilità che potesse essere lei la vera causa di tutto. Se avessi scoperto che Sooyun era la responsabile della sparizione di Namjoon, avrei scatenato un vero e proprio inferno.

«Namjoon si procurava la droga da Sooyun e, da quel poco che lui stesso mi diceva, lei a sua volta se la procurava da un'altra persona. Suppongo che questa persona sia lo spacciatore che gestiva il tutto. Non so molto altro, purtroppo, ed è proprio per questo motivo che sto indagando.»

«E perché hai chiesto proprio a me di venire con te?» Non seppi nemmeno io come feci a parlare e far uscire quelle parole dalla mia bocca. Dovetti farmi forza per non accasciarmi a terra in quel preciso istante e scoppiare a piangere lì in mezzo alla strada. Ero così tanto confusa e spaventata che non riuscivo neanche a elaborare per bene ciò che Jihoon mi stava riferendo.

In che diavolo di casino si erano cacciati quei due? La persona di cui parlava Jihoon era pericolosa? E se fosse in possesso di armi?

«Beh...» I passi di Jihoon si fermarono all'improvviso, portandomi a fare lo stesso. Si voltò nella mia direzione per la prima volta, guardandomi negli occhi con uno sguardo che non riuscii a decifrare. «Tu sei l'unica persona che è legata a Namjoon, oltre a me. Ho pensato che avresti potuto darmi una mano.»

La voce di Jihoon era bassa, mormorata. Sembrava quasi che avesse paura di farsi sentire da qualcuno in mezzo a tutto quel silenzio notturno. Schiusi le labbra per parlare, ma da esse non uscì neanche un soffio. Come faceva a sapere del legame che c'era tra me e Namjoon? Nessuno ne era a conoscenza. Che gli avesse parlato di me?

Non feci in tempo a chiederglielo direttamente, che il suo corpo mi diede nuovamente le spalle per riprendere a camminare.

«Siamo quasi arrivati.» Disse come per voler cambiare discorso.

Attesi alcuni secondi prima di raggiungerlo, decidendo di rimanere in silenzio. Ero talmente frastornata da non avere più le forze di fare altre domande. Gli eventi di ciò che sarebbe capitato a seguire avrebbero parlato da sé, rispondendo ai miei dubbi.

Sussultai sul posto quando una mano di Jihoon mi afferrò con forza il braccio per tirarmi verso il basso, facendomi così accovacciare insieme a lui dietro a una fila di cespugli.

«Ma che cosa-»

«Sshh» Jihoon si portò l'indice sulle labbra, intimandomi di stare zitta. Aggrottai la fronte indispettita, ma anche spaventata da quel suo comportamento. Seguii la direzione del suo sguardo per vedere cosa lo avesse fatto reagire così tanto da farci nascondere e per poco non sentii il cuore fermarsi.

A diversi metri di distanza dalla nostra postazione vidi proprio il ragazzo che continuava a occupare i miei pensieri giorno e notte: Namjoon. I miei occhi spalancati erano totalmente concentrati su di lui e mi chiesi se ciò che stavo vedendo fosse solo frutto della mia immaginazione. Poi, però, quando spostai lo sguardo sulle altre persone presenti ci capii ancora meno di prima. Chi diavolo erano quei tizi?

La mia attenzione fu catturata soprattutto da un ragazzo che si trovava alle spalle di Namjoon e che sembrava stargli dicendo qualcosa, mostrandosi imponente nei suoi confronti. Nonostante l'oscurità che calava sopra le nostre teste, grazie all'illuminazione proveniente da un lampione riuscii a intravedere i suoi occhi. Erano di un azzurro quasi trasparente, freddo come il ghiaccio. Non intravedevo alcuna luce in essi, erano spenti, cupi. Facevano paura.

«Chi sono quelli?» sussurrai intimorita sperando che Jihoon potesse darmi un qualche tipo di risposta che, capii, stesse cercando anche lui.

«Non ne ho idea cazzo, ma non mi fanno una buona impressione.»

«Perché ci stiamo nascondendo? Non capisco, Namjoon è li! Davanti ai nostri occhi!» esclamai mantenendo sempre un tono di voce molto basso, per fare in modo che quelle persone misteriose e macabre non ci sentissero.

«Vuoi smetterla di parlare? Così ci sentiranno! Voglio vedere cosa succede e analizzare la situazione prima di agire.»

«Dobbiamo chiamare la polizia, subito!» Frugai frettolosamente nelle mie tasche alla ricerca del telefono, ma Jihoon mi impedì di prenderlo e digitare il numero d'emergenza.

«No, stupida! Non sappiamo ancora chi siano! Non abbiamo idea-»

«E se fossero loro le persone che lo hanno rapito?» Lo interruppi con il cuore che scoppiava da tanto che batteva. Perché Namjoon era con quelle persone? Perché sembrava così tanto spaventato da loro e, soprattutto, cosa diamine ci facevano davanti alla casa del professore Kim? «Non abbiamo tempo per capire chi siano, Namjoon è proprio qui davanti a noi! Dobbiamo avvisare la polizia prima che sia troppo t-»

Un boato mi bloccò dal continuare a parlare, portando sia me che Jihoon a spalancare gli occhi verso il punto da cui proveniva quel forte rumore. Ingoiai la mia stessa saliva, sempre più confusa e terrorizzata da ciò che stavano vedendo i miei occhi. D'un tratto, li sentii inumidirsi.

«Perché hanno scassinato la porta della casa del-»

«Diamine stai zitta, sennò non sento cosa stanno dicendo!» mi interruppe Jihoon stizzito, sussurrando con un tono a dir poco agitato senza mai distogliere l'attenzione da quegli uomini, o meglio, da Namjoon e quel ragazzo dagli occhi di ghiaccio.

«Sai già cosa devi fare» Parlò quel ragazzo, passandogli un telefono con la torcia già attiva della fotocellula e un coltello. Namjoon abbassò la testa terrorizzato, fissando la lama affilata del coltello che stringeva nella mano, mentre nell'altra teneva il telefono.

Sentii il panico assalirmi.



NAMJOON

Fissai per secondi interminabili il coltello che tenevo stretto tra le dita, sentendomi sull'orlo della disperazione. Yeosang mi aveva promesso che non avrei dovuto fare del male a nessuno e, anche se solo in parte, questo un po' riuscì a tranquillizzarmi. Un po'.

«Avanti, cosa stai aspettando ragazzino?» La voce acida e cupa di Yeosang mi colpì i timpani come lame affilate, capace di farmi sanguinare al suo semplice udire.

«Dopo che avrò fatto come mi hai chiesto tu, m-mi lascerai andare, vero?» era una conferma ciò che cercavo, una semplice conferma. Cercai di non far tremare la voce nel parlare, ma fu tutto inutile. Questo ragazzo, pur essendo più grande di me di pochissimi anni, mi incuteva una paura tremenda come mai nessuno era riuscito a fare. Era giovane ma, allo stesso tempo, negli occhi gli leggevo trascorsi che io nemmeno in tutta la mia vita avrei potuto avere. Era come avere davanti a sé qualcuno che aveva vissuto ciò che nessun essere umano avrebbe mai dovuto passare.

I suoi occhi, la sua voce, il suo sorriso sadico, le sue mani magre e le braccia muscolose. Tutto di lui mi terrorizzava.

«Certo, te l'ho già detto.» la sua risposta suonò dolce, rassicurante.

Come diamine faceva a passare da tonalità dure e severe a quelle più mielose e inquietantemente pacate?

Eppure, c'era qualcosa che velava sotto quella maschera di falsa generosità. Non sapevo se fidarmi, sicuramente era da idioti avere fiducia nelle sue parole, ma non potevo fare altrimenti del resto. Che avessi eseguito o meno il suo ordine, non avrei avuto alcuna possibilità di vincere contro di lui. Dovevo assecondarlo per garantirmi una maggiore opportunità di uscirne vivo.

Deglutii il macigno in gola che mi impediva quasi di respirare e, cercando di infondermi un coraggio che al momento non avevo, mossi i primi passi verso l'appartamento. Sotto lo sguardo impassibile e serio di Yeosang e dei suoi due uomini, oltrepassai la soglia d'entrata percependo d'un tratto un gelo incombermi addosso.

La casa era buia, segno che chiunque fosse lì dentro stesse dormendo. Yeosang mi aveva assicurato che i signori Kim non ci fossero e che avessero lasciato il loro bambino nelle mani di una babysitter in occasione della cerimonia primaverile della nostra scuola. Questo significava che, nel caso in cui la babysitter non si fosse ancora svegliata nonostante il rumore provocato nello scassinare la porta d'entrata, non avrei avuto problemi a fare ciò che dovevo. In caso contrario, non avevo idea di come sarebbero potute andare le cose e nemmeno volevo immaginare eventuali possibili scenari.

Mi inoltrai verso il corridoio, guardandomi ossessivamente attorno per la paura che qualcuno potesse cogliermi di sorpresa. Una volta accertato che non ci fosse nessuno sveglio, premetti sul display per avviare la registrazione. Puntai l'obiettivo davanti a me, la torcia già attivata, salii con passi felpati lungo le scale che mi avrebbero permesso di raggiungere il piano superiore. Quando raggiunsi il secondo corridoio, dovetti bloccarmi nel notare tutte le porte chiuse. Tutte a eccezione di una.

Mi avvicinai a quella porta, scorgendo al suo interno una signora di mezza età distesa su un letto. Doveva trattarsi della babysitter, immaginai. Facendo attenzione a non fare rumore, chiusi la porta e, con altrettanta calma e diligenza, controllai l'interno di tutte le stanze fino a trovare quella che cercavo. Schiusi la porta con lentezza e questa emise un leggero e impercettibile cigolio. Adocchiai lo spazio complessivo della cameretta e subito lo sguardo mi cadde sulla culla.

Brividi di freddo mi tappezzarono tutto il corpo, dalla testa ai piedi, e giurai di sentire una gocciolina di sudore scivolare lungo la mia fronte. Mi avvicinai con estrema agitazione ma, al tempo stesso, con una meticolosità che andava oltre il mio essere.

Puntai la fotocamera del telefono sul bambino di pochissimi anni che stava beatamente dormendo, ignaro di ciò che stava capitando attorno a lui. Non gli avrei fatto del male, non era questo il piano. Avrei solo dovuto inscenare una velata minaccia registrata e poi inviarla a Sooyun. Yeosang voleva spaventare la ragazza, farla impazzire e spingerla a reagire. Non avevo ancora ben chiaro cosa avesse in mente, dal momento che non aveva certamente deciso di esplicitare i motivi di tale assurdità proprio a me.

Non capivo le sue vere intenzioni e, detto proprio sinceramente, ero troppo esausto per preoccuparmene. L'unica cosa che mi interessava al momento era scappare e mettermi in salvo.

Misi in mostra il coltello, interponendolo sulla figura del bimbo, così da permettere a chiunque guardasse il video di vederlo. Rimasi in silenzio, il mio respiro era pesante e il cuore batteva come impazzito. Era solo una recita, eppure bastava questa per farmi venire il voltastomaco.

In quei pochi secondi, tutto ciò che si udì fu il respiro tranquillo del bambino e e il mio decisamente più agitato. Stoppai la registrazione, per poi inviarla al contatto di Sooyun. Il telefono non era il mio, sapevo che non fosse neanche di Yeosang e l'unico contatto appositamente salvato era quello della ragazza.

Erano tante le perplessità su quanto stesse accadendo e su quanto io stesso stessi facendo, ma su una cosa non vi erano assolutamente dubbi: Yeosang era fottutamente fuori di testa.

Mi assicurai che il video caricasse correttamente, dopodiché me la filai il più velocemente possibile. Lasciai ogni cosa al suo posto, scesi la scale frettolosamente e il tempo di mettere un piede fuori che mi scontrai contro gli occhi gelidi di Yeosang. Sembrava starmi aspettando da chissà quanto tempo, dato che l'espressione che aveva sul volto era tutto fuorché paziente. Era come se per lui ci avessi impiegato troppo tempo e me lo fece capire con il solo sguardo.

Tremai al suo cospetto e non riuscii a profilare parola, attendendo che fosse lui a parlare per primo.

«Il video?»

«L-L 'ho inviato a Sooyun, c-come mi hai c-chiesto.» balbettai come un idiota e, stranamente, non me ne vergognai. Volli solo sparire, allontanarmi da lui, potessi anche apparire come un moccioso codardo. Niente aveva più importanza per me.

L'angolo della sua bocca si sollevò di poco, facendo formare un piccolo ghigno soddisfatto su quelle sue labbra fini. Porse la mano verso di me, incitandomi a restituirgli il telefono e il coltello. Feci come mi ordinò senza farlo aspettare neanche un secondo e lo osservai accendere il display per verificare il mio operato. Non era stato difficile, in realtà. A dirla tutta, mi sembrava tutto un po' surreale, troppo facile. Mi aveva detto che di me non gli importava assolutamente niente e che, per tal motivo, mi avrebbe lasciato andare senza problemi. In cambio, però, mi aveva fatto promettere di tenere la bocca chiusa, di mentire a tutti nel caso mi avessero fatto domande esplicite in merito alla mia sparizione e di fare quello che mi avrebbe richiesto senza obiettare.

Era stato davvero troppo facile a mio parere, ma andava bene così.

«Bene» mormorò apatico, passò il telefono a uno degli uomini alle sue spalle e, tenendo il coltello nell'altra mano, continuò a guardarmi in un modo maledettamente inquietante.

Restammo a guardarci per dei minuti che parvero non finire più. Non capii cosa volesse da me, ma ero stufo di tutta quella tensione. Solo allora notai dei guanti neri lucidi che gli fasciavano le mani. Prima non li aveva.

«P-Posso andare ora?»

Yeosang sorrise, beffeggiandosi della mia totale sottomissione di fronte a lui. Deglutii rumorosamente e sentii il sangue ghiacciarsi nelle mie vene quando lo vidi estrarre una pistola con una calma inaudibile, puntandomela contro.

Cosa cazzo-

«Si, ora puoi andare.» Confermò derisorio, mentre caricava l'arma.

«A-Aspetta! Cosa s-stai facendo?!» gridai incapace ormai di contenere dentro di me tutta la paura e l'agitazione che avevo forzatamente nascosto, portandola così a esplodere tutta insieme. «Avevi detto che non ti importava niente di me e che mi avresti lasciato andare se-!»

«Esatto» mi interruppe ghignando, guardandomi con uno sguardo incredibilmente privo di emozioni. «Non mi importa nulla di te-»

«FERMO!» una terza voce echeggiò in aria, facendoci voltare tutti verso il suo proprietario.

Non appena riconobbi la persona presente nell'ombra a pochi metri di distanza da noi, quasi mi caddero le gli occhi dalle orbite.

Jihoon.

«Abbassa la pistola!! Ho chiamato la polizia, in pochi minuti sarà qui!» Cosa? «Lascia andare Namjoon o saranno guai per te!»

Rimasi immobile, incapace di metabolizzare ciò a cui stavo assistendo. Al contrario di me, Yeosang era voltato verso di lui, con il corpo esattamente fermo nella posizione in cui era prima. Analizzò la figura di Jihoon dalla testa ai piedi, scannerizzandolo come un fottuto robot. Lo stava studiando, forse cercando di capire chi diavolo fosse e come avesse potuto non accorgersi prima di lui.

D'un tratto, in religioso silenzio, abbassò il braccio con cui mi puntava la pistola alla fronte e la rimise nella fondina. Fece un passo nella direzione di Jihoon, poi un altro e un altro ancora, sotto i nostri sguardi terrorizzati. Jihoon si era pietrificato nel vederlo muoversi proprio verso di lui, senza dire neanche una sola parola. Nessuno stava capendo niente, nessuno osò provarci. Restammo immobili come le belle statuine, osservando ogni singolo movimento di Yeosang.

«Stai bluffando.» Disse pacato continuando ad avanzare. «Non arriverà proprio nessuno» Affermo sicuro di sé e le sue parole trovarono presto conferma da Jihoon stesso, tradito dalla sua reazione inequivocabile.

Il ragazzo dagli occhi vitrei, capaci di perforarti l'anima e strappartela dal corpo, si fermò quando i suoi piedi toccarono quelli di Jihoon, il mio migliore amico. Quest'ultimo dovette sollevare di poco la testa per guardarlo negli occhi. Mi chiesi come riuscisse a reggere quello sguardo agghiacciante.

«Tu devi essere Jihoon, il cugino di Min Yoongi.» mormorò talmente a bassa voce che dovetti concentrarmi tantissimo per udirlo. «Il ragazzo impiccione che non lasciava in pace la mia Sooyun»

Oh merda.

«C-Come?»

Successe tutto così velocemente che non riuscii a captare in tempo il movimento che fece Yeosang con la mano che reggeva il coltello. Lo stesso che aveva dato a me per la registrazione del video.

Sentii Jihoon emettere un gemito di dolore, totalmente preso alla sprovvista. Il corpo alto e massiccio di Yeosang mi impediva di vedere quello del mio amico e, nonostante volessi capire cosa gli avesse fatto, la paura mi impediva di scostarmi anche solo di un centimetro. Ma la risposta che cercavo arrivò velocemente, non appena vidi Jihoon crollare in ginocchio di fronte a Yeosang, con una mano premuta contro l'addome ferito e il viso rivolto verso il terreno.

«J-Jihoon-» sussurrai, percependo le lacrime bagnare le mie ciglia quando capii che Yeosang lo avesse appena colpito con quel coltello. Quel dannato coltello era stato affondato con violenza e profondità nell'addome del mio migliore amico, ferendolo gravemente. «Jih-»

Mi bloccai da solo quando vidi del sangue sgorgare tra le fessure delle dita della sua mano, altro ancora uscire dalla bocca e riversarsi sull'erba sotto di lui, facendolo tossire continuamente. Il suo fiato era corto, andava a tratti e lo vidi boccheggiare in cerca di aria. Volli gridare e raggiungerlo, aiutarlo e portarlo in salvo.

Ma non ci riuscii. Io rimasi fermo a guardare.

Yeosang fece schioccare la lingua sul palato, osservò il corpo stremato di Jihoon accasciarsi sempre di più a terra, sussultando varie volte tra le lacrime e il sangue che non smetteva di fuoriuscire. Così sarebbe morto dissanguato.

Feci involontariamente un passo indietro quando quell'assassino criminale si girò verso di me, guardandomi annoiato. Sembrava non aver fatto niente di che, come se l'aver pugnalato Jihoon non facesse parte dei suoi piani e questo lo avesse fatto innervosire.

«Accidenti, un morto in più nella sua lista non era previsto...» borbottò seccato, guardando per alcuni secondi la lama del coltello ora sporca di sangue, per poi rivolgere nuovamente la sua totale attenzione su di me.

Un morto in più?

Lista?

Non capii assolutamente niente di ciò che stava dicendo, a chi o cosa si stesse riferimento. Semplicemente agii d'istinto, esattamente nel modo in cui era stato creato l'uomo: mi voltai nella direzione opposta, pronto a scappare via dalle grinfie di quel pazzo e non farmi ritrovare mai più.

Dio forse non era dalla mia parte, perché riuscii giusto a percorrere cinque metri che venni afferrato malamente dai due scagnozzi di Yeosang. Entrambi mi stavano tenendo fermo dalle braccia, impedendomi così di fuggire e facendomi scoppiare in un pianto di disperazione e terrore.

«No! Lasciatemi andare! Lasciatemi!» Urlai dimenandomi come un cavallo impazzito, sperando che qualcuno potesse sentire le mie richieste di aiuto. Ma nessuno venne ad aiutarmi. Ero da solo.

Solo e, molto probabilmente, morto.

Yeosang voleva uccidermi fin dall'inizio. Non gli importava di me perché mi avrebbe fatto fuori.

Con poche e ampie falcate, il mio aguzzino ci raggiunse. Si posizionò di fronte a me, guardandomi dall'alto proprio come si fa con il bestiame. Per lui la vita umana non aveva alcun valore, alcun merito. Io non avevo valore, così come non ce lo aveva Jihoon.

Una persona come Yeosang non poteva minimamente sapere cosa significasse avere pietà.

Con una forza immane sollevai il mio sguardo bagnato dalle lacrime sul suo viso, guardandolo con un odio che mai avevo provato prima. In una situazione diversa, forse, avrei riso nel venire a sapere che l'ultima cosa provata prima di morire sarebbe stata l'odio rivolto verso colui che avrebbe posto fine alla mia vita.

Corrugai le sopracciglia in un'espressione di rabbia, paura ed estrema sconfitta. Per lui non ero stato nientemeno di una pedina da usare, manipolare e poi eliminare.

Lo vidi sorridermi e provare nient'altro che soddisfazione nel vedermi così inerme e arreso di fronte al suo potere. Yeosang amava vedere le persone tremare di terrore, inginocchiarsi e sottomettersi al suo cospetto.

Lo avevo capito fin da subito, quando l'ho visto massacrare e uccidere quell'uomo, Seonghwa. Lo sguardo che aveva quel giorno era esattamente lo stesso che mi stava mostrando in questo istante: colmo di rancore, voglia di uccidere e compiacimento nel farlo.

«Mi hai mentito» sibilai incazzato, deluso e succube del mio stesso destino. Un destino che non mi avrebbe permesso di vivere un bel lieto fine come ingenuamente credevo. «Mi hai usato per i tuoi sporchi giochi e non hai mantenuto la tua parola-»

«La mia parola?» ripeté sollevando le sopracciglia. «Io non ti ho mai dato la mia parola»

«Mi prendi per il culo?! Mi avevi promesso che mi avresti lasciato libero, perché di me non ti importa niente!»

Yeosang ridacchiò come un sadico, lasciandomi interdetto. Era completamente pazzo, fuori controllo. Persone così non dovrebbero stare a piede libero, come poteva la polizia lasciare che gente simile respirasse la mia stessa aria a pochi metri di distanza?

«Infatti è esattamente ciò che sto facendo» affermò tranquillo, guardandomi come se quello stupido fossi io. Lui stava facendo esattamente come promesso, ero io quello che non aveva capito niente: Era questo che voleva farmi credere? «Se non avessi voluto lasciarti libero ti avrei torturato, senza lasciarti il tempo di respirare, fino a quando di te non sarebbe rimasto altro che una bambola sfigurata, scucita e fatta a pezzi dalle mie stesse mani.» parlò con voce bassa, senza lasciar trapelare nessun tipo di sentimento o pentimento per ciò che stava dicendo. Era sincero, fiero di pronunciare ogni singola parola. «Invece ho deciso di essere magnanimo e, come promesso, di lasciarti libero proprio perché di te non mi importa assolutamente niente.»

Intravidi con la coda dell'occhio la sua mano stringere l'impugnatura del coltello, pronto all'uso. Improvvisamente fu come se il mio cervello si stesse piano piano spegnendo. I miei muscoli si rilassarono, smettendo di porre resistenza contro la presa dei due uomini che non avevano mai lasciato andare la presa sul mio corpo distrutto.

Io ero distrutto. Lo era il mio corpo, così come la mia mente. Mi stavo arrendendo.

Davanti a Yeosang, di fronte alla morte, io mi stavo arrendendo.

In una rapida, ma intensa frazione di tempo vidi Yeosang afferrarmi i capelli in una mano e centrare dritto al mio petto con l'altra, la stessa che stringeva la lama sporca del sangue di Jihoon e che, a breve, si sarebbe macchiata anche del mio.

Fu proprio in quell'istante che la vidi, nascosta tra i rami di un cespuglio, con gli occhi spalancati e colmi di lacrime che rigavano senza sosta il suo volto. Era immobilizzata dalla paura, lo percepii fin da dove mi trovavo io.

Anche a quel punto, io non mi mossi. Rimasi fermo, arreso al mio destino come prima, ma una cosa cambiò.

Non fu l'odio l'ultima cosa che provai prima di morire. Non furono il rancore, la paura e nemmeno la tristezza le sensazioni che io sentii dentro di me prima che il mio cuore venisse trafitto dal coltello e smettesse così di battere. Il mio sguardo si addolcii in automatico, una lacrima mi solcò la guancia.

Mi dimenticai di Yeosang, di Jihoon, di Sooyun e di chiunque altro conoscessi. Mi dimenticai di tutti e di tutto, tranne di una persona: Jisoo.

L'amore che provavo per Jisoo riuscì con una forza inconcepibile a colmare il vuoto che fino a quel momento avevo provato proprio all'altezza del petto. Volli urlare di nascondersi dalla crudeltà di questo mondo e di non farsi vedere, di mettersi in salvo almeno lei. Ma non ebbi abbastanza tempo per farlo.

Non ebbi tempo per dirle quanto la amassi.

Percepii il cuore essere riempito di un amore profondo, tacito e nascosto un attimo prima che divenisse tutto buio e vuoto.

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