𝟑𝟔. Colpire a tradimento

Forse sono in un mood pianto di mio, però le lacrime che ho versato correggendo questo capitolo non sono riuscita a trattenerle.

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"Ci sono giorni in cui non riesco a smettere di sentire i miei errori, ancora, ancora e ancora."

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Sabato 27 Marzo 2021, ore 22:12

Hoseok non riusciva a togliersi dalla testa il viso di quella studentessa. Non ci era riuscito da quando lei era uscita da quella maledetta aula, lasciandolo in balia dei suoi stessi pensieri. Quando il caso era giunto alle orecchie del suo dipartimento, gli fu chiesto di partecipare direttamente alle indagini e alla ricerca dello studente Kim Namjoon, ritenendo quanto fosse insolito, complesso e pericoloso più di quanto potesse sembrare. Avevano ragione.

Quel caso era veramente difficile, molte cose non coincidevano e non avevano alcun indizio concreto, se non quell'indirizzo scritto su un post-it proprio dalla persona che mai aveva lasciato i pensieri dell'uomo: Kim Sooyun.

Hoseok sospirò mentre lasciava il suo ufficio per potersi finalmente dirigere verso il luogo dove Sooyun aveva suggerito potesse trovarsi la persona che aveva rapito lo studente. Se doveva essere sincero, a prima vista sospettava parecchio di lei, credendo fosse l'ennesima combina guai senza peli sulla lingua. Se il suo nome era finito sulla lista dei sospettati un motivo doveva esserci, no? Il Preside stesso, come suggeritegli da un altro ragazzo che frequentava la scuola, aveva nominato il nome di quella ragazza, ritenendo che sarebbe stato opportuno cominciare proprio da lei per investigare sul rapimento di Namjoon.

E avevano fatto centro, ascoltandoli, perché alla fine Sooyun veramente sembrava saperne qualcosa, eppure c'era altro sotto che a Hoseok non tornava. Era un presentimento strano, uno di quelli che lo stava tormentando da giorni ormai e che gli stava sussurrando che mancava un pezzo importante di quel puzzle troppo difficile da risolvere e che si era ritrovato tra le mani. Sentiva che Sooyun fosse il nucleo di ciò che stava succedendo, la chiave per poter elaborare un filo logico all'accaduto, ma anche che allo stesso tempo non ne fosse la causa principale. Non sapeva bene neanche lui come spiegarsi tale ragionamento. Oramai, a furia di pensarci, tutto sembrava non avere veramente un senso e a quel punto arrivò solo a domandarsi chi o cosa fosse l'origine di tutto.

Chi era la persona che Sooyun temeva tanto da aver paura anche solo nominarla e cosa la legava a questa persona? Chi diamine era Kang Yeosang?

Tutte le risposte che desiderava ottenere adesso erano racchiuse in quell'edificio dall'aspetto abbandonato, davanti al quale erano appena giunti con ben tre macchine della polizia. Se ciò che Sooyun diceva era vero, allora lui doveva trovarsi lì dentro insieme a Namjoon.

Stavano tutti sull'attenti, in attesa di un ordine da parte dell'Ufficiale. Hoseok disse a tutti di restare all'interno delle macchine e di limitarsi a osservare ogni possibile movimento proveniente dall'interno dell'edificio. La confusione prese forma sul viso di Hoseok quando notò così tanto buio e così tanto silenzio da credere per un attimo di aver sbagliato posto. Ricontrollò velocemente l'indirizzo confermando che fosse quello giusto. Riportò lo sguardo su quella sottospecie di fabbricato in rovina, puntandolo verso le finestre scure. Non c'era luce, non c'era alcun suono udibile, nulla di nulla. Aprì la portiera sospirando pesantemente dalle narici, venendo seguito subito dagli altri agenti, i quali puntarono le loro armi nella direzione indicatagli. Non si mosse però dalla sua postazione, restando dietro alla macchina e continuando a scrutare quel fabbricato. Non si fidava.

C'era troppo silenzio, troppa quiete e quella ragazza sembrava davvero sincera quando gli aveva svelato il nascondiglio del lupo, quindi lui le credeva. Sapeva che Yeosang fosse proprio lì, da qualche parte e, forse, a escogitare una possibile fuga da loro. Solitamente Hoseok era uno che agiva in fretta, perché era sempre stato un uomo che sapeva molto bene come farlo nel migliore dei modi, senza ripercussioni su di sé o sulla sua squadra. Ma questa volta fu diverso per lui, perché per la prima volta non aveva la minima idea di come muoversi per non mettere tutti in pericolo. Non conosceva il rapitore, non conosceva quel luogo e non conosceva soprattutto con chi quell'uomo potesse essere in combutta. Era una situazione inquietante, anomala e lui un po' temeva ciò che sarebbe potuto spuntare fuori da quell'oscurità.

Si guardò attorno, analizzando con attenzione ogni minimo angolo del posto. Gli alberi oscuravano maggiormente la visuale in alcuni punti e il buio di quella sera non aiutava certamente. Voleva accertarsi non ci fossero trappole a giro, motivo per cui chiese ai suoi uomini di fare attenzione e di controllare prudentemente la zona circostante.

E mentre loro, per quei secondi che parvero diventare ore, continuavano a perscrutare la zona, Yeosang a sua volta analizzava la situazione dall'interno della sua dimora, nascondendosi nel buio. Grazie alle finestre oscurate non era possibile notarlo da quella distanza e con tutta quell'oscurità. Aveva le labbra serrate in una linea piatta, gli occhi duri e vitrei fissi sulla figura dell'uomo che intuì fosse il capo di quel gruppo ridicolo di agenti e il cervello improvvisamente annebbiato da un fastidioso senso di rabbia e delusione.

Aveva sentito anticipatamente le macchine giungere davanti al suo fabbricato, motivo per cui si era assicurato di spegnere ogni luce, ordinando a Namjoon e ai due uomini che gli facevano da spalla di rimanere in silenzio. Namjoon ovviamente aveva obbedito senza pensarci due volte, incapace di reagire di fronte alla violenza dello spacciatore. Dopo l'omicidio di Seonghwa aveva perso i sensi a causa di una strana sostanza che gli aveva iniettato, risvegliandosi ore dopo sempre legato come un salame alla sedia e completamente da solo.

In un primo momento il panico aveva completamente preso il controllo del suo corpo, facendolo agitare e gridare spaventato in preda alle lacrime, poi però il ritorno di Yeosang seguito dagli altri due scagnozzi era riuscito a farlo zittire in un istante. Il corpo dell'uomo che aveva ucciso, Seonghwa, non era più lì a terra davanti a lui immerso in una pozzanghera di sangue, stessa cosa valeva per le altre persone che aveva eliminato. I cadaveri erano spariti e capì che fosse stato proprio Yeosang a cancellarne le tracce, pulendo ogni cosa.

Namjoon adesso aveva gli occhi spalancati dal terrore e, per quanto si imponesse di non farlo perché era certo che altrimenti sarebbe potuto svenire un'altra volta, le rotelle del suo cervello avevano cominciato a girare nel cercare disperatamente di capire cosa stesse succedendo e chi fossero le persone che Yeosang continuava a osservare fuori dalle mura. Quando il ragazzo dagli occhi di ghiaccio si voltò nella sua direzione inevitabilmente sbiancò e il ghignò che subito dopo gli rivolse lo fece pietrificare sul posto.

«Cazzo..» rise con voce rauca cercando di mantenere i toni bassi per non farsi sentire. «La ragazza è più tosta e ribelle di quanto pensassi, finirà per farmi impazzire»

Namjoon aggrottò le sopracciglia confuso, sentendo i brividi percorrere ogni millimetro del suo corpo al suono di quelle parole.

«Ha seriamente deciso di mettersi contro di me... incredibile.» Sbuffò mentre si adoperò a recuperare armi e non soltanto. Cosa diamine stava facendo? Chi erano quelle persone fuori e di cosa stava parlando? Cosa c'entrava Sooyun?

Namjoon non fece in tempo a rifletterci a sufficienza che, con un singolo cenno da parte di Yeosang, venne slegato, afferrato dalle mani dei due scagnozzi con forza e trascinato lontano dalla stanza e da Yeosang sotto le sue suppliche e le sue continue domande che finalmente ebbe il coraggio di fare ad alta voce.

«Fermi! Cosa volete fare?!»

Le grida del ragazzo furono immediatamente udite anche all'esterno del fabbricato, facendo perciò bloccare tutti quanti e rizzare le orecchie a Hoseok. Gli agenti, Hoseok compreso, si misero sull'attenti smettendo di cercare eventuali trappole. Anche lui prese la sua arma, puntandola verso l'edificio e ordinando ad alcuni uomini di circondare l'intero fabbricato per poter impedire che Yeosang potesse fuggire dove loro non avrebbero potuto vederlo. Non erano in tanti, sapeva che altre truppe fossero occupate in altre missioni e che difficilmente sarebbero corse in loro aiuto, però questo fu l'ultimo dei suoi pensieri. Doveva agire.

«Sappiamo che sei lì dentro Kang Yeosang!» Il ragazzo in questione fermò i suoi veloci movimenti nel prendere il necessario per andarsene via, bloccandosi ad ascoltare quello che stava dicendo Hoseok. Sapevano anche il suo nome? Era stata Sooyun a riferirglielo? Adesso si che era incazzato. «Sei circondato, non hai via di fuga, quindi non fare scherzi! È inutile cercare di scappare!» Gridò facendo due soli passi avanti e posizionandosi in modo da avere ampia visuale «Lascia andare il ragazzo ed esci con le mani alzate!»

Yeosang scoppiò a ridere portando una mano sul viso per massaggiarsi nervosamente gli occhi. Non riusciva a credere che Sooyun l'avesse tradito, per lui era surreale. Quella ragazzina aveva davvero osato spingersi tanto in là, arrivando non solo a spifferare alla polizia dove lui si trovasse ma persino il suo nome e cognome. Era fuori di sé, questa non gliel'avrebbe fatta passare liscia. Aveva perso tutta la pazienza a cui era disposto concedersi con lei per spronarla a fare la scelta giusta con le buone maniere. Era stato clemente e comprensivo con la corvina, ma aveva già imparato a sue spese che, come avrebbe dovuto immaginarselo, ciò non bastava. La gentilezza non serviva a niente e mai sarebbe potuta servire.

«Conterò fino a dieci! Se entro questo limite di tempo che ti concedo non uscirai da lì-» Hoseok stava sibilando, era nervoso e temeva di poter sbagliare e mettere in pericolo tutti quanti e, d'un tratto, il volto di Sooyun comparve tra i suoi pensieri. Ma in quella situazione non vedeva altro modo se non quello di minacciarlo e metterlo alle strette, pur non avendo la minima idea di chi trovasse dentro quelle maledette mura. E se si trattasse di una trappola? Se Sooyun avesse mentito appositamente per incastrarlo? Lui questo purtroppo non poteva saperlo, non l'aveva nemmeno messo in conto perché, cavolo, sembrava così dannatamente sincera quella ragazzina che subito le aveva creduto sulla parola. Si era fidato di qualcuno senza pensarci due volte e questo mai era successo prima d'ora. Jung Hoseok non era mai stato un uomo che si fidava a prima vista delle persone, eppure quel giorno qualcosa era cambiato, di fronte a quella giovane ragazza tremante, si era sentito diverso. «-apriremo il fuoco!»

Nei secondi successivi caddero tutti nel più totale e tetro dei silenzi possibili e immaginabili. La tensione era percepibile nell'aria, tanto da diventare irrespirabile, come se si trovassero catapultati nel bel mezzo di una scena suspense di un film dell'orrore. Hoseok, non vedendo reazione o sentendo alcun responso, iniziò a contare.

«Uno..!»

Gli occhi celesti di Yeosang si sollevarono di poco, guardando con uno sguardo a dir poco cupo il muro davanti a sé senza muoversi di un centimetro.

«Due..!»

Una mano dello spacciatore, rimasto completamente immerso nell'oscurità di quel suo fabbricato che presto avrebbe lasciato per sempre, si mosse davanti a sé, andando ad afferrare qualcosa in particolare nel cassetto del mobile in legno dove teneva alcune delle sue armi.

«Tre..!» Le mani di Hoseok si strinsero maggiormente sull'arma, sentendo la fronte imperlarsi di sudore freddo. «Quattro-!» Un minuscolo, strano oggetto volò dalla finestra oscurata dopo che questa venne velocemente aperta e poi richiusa. Fu in quel minuscolo frangente di tempo che Hoseok li vide: Gli occhi di Yeosang erano gelidi come il ghiaccio, determinati nel fare qualcosa che nessuno capì fino a quando quell'oggetto non atterrò vicino ai loro piedi. Era metallico ed emetteva un ripetitivo suono molto acuto, accompagnato da una lucina rossa a intermittenza. Hoseok spalancò gli occhi sbiancando non appena realizzò cosa fosse.

«Allontanatevi! Allontanatevi tutti!» Gridò in preda all'ansia e il terrore allo stato puro, per poi voltarsi e correre lontano da quell'aggeggio lampeggiante. Si lanciò verso la boscaglia, cadendo malamente dietro a un fosso di terra per potersi proteggere dall'esplosione che quel minuscolo apparecchio aveva appena rilasciato, facendo saltare in aria le macchine della polizia e tutto quello che era presente vicino ad esso.

Si sentirono le forti grida di alcuni agenti, ma queste vennero presto ovattate da un sonoro fischio che fece fortemente girare la testa a Hoseok. Con le mani sulla testa in cerca di protezione e la fronte premuta sul terreno, prese a respirare affannosamente nel tentativo di ritornare in sé. La paura e l'agitazione, sorte troppo velocemente dentro di lui in una mescolanza di sensazioni negative, stavano decisamente aggravando il suo stato mentale e fisico, portando il suo cuore a battere tanto freneticamente da non riuscire più a sentire nessun altro rumore se non il suo.

Dopo alcuni minuti decise di compiere un piccolo sforzo nell'alzare lentamente la testa, per poter vedere quanto meno la situazione. Sfortunatamente, però, quella bomba aveva fatto innalzare in pochi secondi tutta la polvere e la terra presente, impedendo perciò a Hoseok di intravedere le figure degli agenti della sua squadra.

«Cazzo-» si sforzò di fare leva sulle braccia e sulle gambe per sollevarsi da terra, faticando leggermente nel respirare correttamente e ritrovandosi a tossire varie volte per colpa del fumo. «Cazzo! Ci siete ancora?! Mi sentite?!» La voce gli grattò dolorosamente la gola a causa delle grida con cui cercava di richiamare i suoi uomini. Ma nessuno rispose e la vista purtroppo era ancora troppo offuscata per permettergli di vedere nitidamente ciò che lo circondava. «Qualcuno risponda!» Quasi sorrise poi nel sentire qualcuno tossire nelle vicinanze. Si sono salvati, ce l'hanno fatta-

Delle mani afferrarono le larghe spalle di Hoseok con una violenza che lo fece trasalire. Venne sbattuto di schiena contro la corteccia di un albero e il forte colpo che ricevette l'istante dopo sullo zigomo gli fece mancare il fiato. Non era nemmeno riuscito a reagire in tempo, perché la persona che lo aveva appena preso e picchiato era stata così dannatamente veloce da impossibilitargli anche solo il modo di capire cosa stesse succedendo. Inoltre, si sentiva ancora frastornato per l'esplosione che aveva colto tutti alla sprovvista. Il solo pensare che qualcuno potesse essere gravemente ferito e in punto di morte gli fece venire il voltastomaco, non riusciva ancora a credere a quello che era accaduto e che stava accadendo. Chi diamine era questo Kang Yeosang?

«E così tu saresti il capo di questo circolo di clown?» un fiato caldo si scontrò contro il suo viso sporco di polvere, cercò di aprire gli occhi ma una forte fitta alla testa, accompagnata da un sonoro fischio, gli rese le cose ancora più difficili di quanto già non lo fossero. Riuscì comunque a schiudere le palpebre quanto bastasse e la sua vista acuta, nonostante risultasse piuttosto sfocata, gli permise di intravedere la figura davanti a sé.

Era un ragazzo giovane, poteva avere giusto qualche anno in meno di lui e certamente non era come se lo era immaginato. Le iridi di Yeosang erano chiare, di un celeste ultraterreno e così tanto fredde da fargli gelare il sangue nelle vene. La pelle del volto non era segnata da gravi deturpamenti ad eccezione di una minuscola cicatrice presente vicino all'occhio sinistro. Questa persona non si mostrava certamente come un qualsiasi tossico sociopatico criminale.

Agli occhi di chi non aveva la minima idea di chi fosse Kang Yeosang sarebbe potuto sembrare un qualunque giovane ragazzo normale che viveva la propria vita normalmente, proprio come tutti. Ma non era affatto così.

«Sentiamo, che cosa ci fa qui il capo della polizia davanti alla mia residenza, mh?» Yeosang inclinò la testa per poter allineare il suo sguardo con quello dell'uomo. Il tono di voce che stava utilizzando in quel momento avrebbe potuto far venire i brividi a chiunque, perfino a uno come Jung Hoseok. Tuttavia quest'ultimo cercò di farsi coraggio, di sostenere quegli occhi spaventosi e di mantenere la calma. Farsi prendere dall'agitazione non sarebbe servito a nulla, doveva mantenere il sangue freddo per poter ragionare e affrontare la situazione lucidamente. «Jung Hoseok...» Lesse il nome segnato sul documento con il distintivo che andò a confermargli l'identità dell'uomo. Hoseok era a corto di fiato e Yeosang sembrava non essere intenzionato a lasciarlo andare. Sentì la pelle d'oca pervadere ogni punto del suo corpo nell'udire Yeosang pronunciare il suo nome. «Chi è stato così tanto maleducato e scortese da mandarvi qui da me senza neanche avvisarmi della vostra visita?»

Inarcò un sopracciglio in modo ironico, guardandolo come se stesse semplicemente parlando e scherzando con un amico di vecchia data e come se tutto questo per lui fosse uno scherzo, un gioco. Non aveva paura di Hoseok, così come non aveva paura dell'intera centrale di polizia. Era un pazzo e il fatto che Yeosang iniziò improvvisamente a ridacchiare divertito nel vederlo in quello stato fu la conferma.

«Ehi rilassati.» Gli schiaffeggiò scherzosamente la guancia come per risvegliarlo e fu a quel punto che Hoseok riprese del tutto conoscenza, aprendo completamente gli occhi e approfittando di guardarsi attorno. Il niente... non si riusciva a vedere niente perché la coltre di polvere e fumo era ancora troppo fitta per permettere di individuare nitidamente i suoi compagni. «Non c'è bisogno di essere tanto rigidi, scusami per essere stato così poco accogliente con voi, è che sono uno molto previdente di fronte a chi non conosco, ho agito d'istinto, lo capisci vero?» Gli occhi del corvino erano leggermente spalancanti, pitturati di un'espressività che non aveva niente a che fare con la normalità. Sembrava un pazzo sociopatico. «Sai mi dispiace di non aver preparato nulla da potervi offrire, avremmo potuto parlare di fronte a tè e biscotti, ma temo che non si possa più fare, ormai ho fatto saltare tutti in aria» Yeosang fece un piccolo broncio che non fece certamente intenerire Hoseok, anzi tutt'altro. Lo fece incazzare solamente di più. Afferrò con forza un braccio con cui lo stava costringendo a restare con la schiena attaccata all'albero, guardandolo con uno sguardo truce e Yeosang non fece a meno di sollevare le sopracciglia curioso di vedere cosa volesse fare.

«Lo so che lui è con te.» Parlò con voce rauca, come se faticasse a parlare. Era davvero riuscito a farsi stordire tanto da un misero esplosivo e un pugno sulla faccia? Hoseok era quasi deluso da se stesso, si sentiva debole, impotente di fronte alla figura di quel criminale e per lui tutto questo era imperdonabile.

«Chi?» Yeosang assottigliò gli occhi in segno di sfida.

«Kim Namjoon.» sibilò l'uomo malridotto. «Lo studente di diciannove anni che tu hai rapito. Qualsiasi movente possa esserci dietro al tuo gesto non ha alcuna importanza, presto invieranno altre truppe a cercarti per cui, se non vuoi peggiorare la brutta situazione in cui già stai affondando, ti conviene lasciarlo andare.»

Yeosang annuì alle parole del maggiore, come se stesse davvero riflettendo sulle sue parole. Era così? No, Hoseok ne dubitava. Anzi, era certo non fosse assolutamente così.

«Credo proprio che non lo farò.»

Con uno scatto Hoseok afferrò il coltello che nascondeva sotto la pesante giacca, ma lo spacciatore fu più veloce di lui e, con una brutalità micidiale che l'ufficiale non credeva potesse esserci in un corpo tanto magro ed esile come quello di Yeosang, un forte pugno lo colpì dritto allo stomaco facendolo tossire e sputare la sua stessa saliva. Senza dargli un minimo di tregua, il ragazzo dagli occhi apatici gli afferrò i capelli sulla fronte, tirandoli all'indietro e facendo incrociare di nuovo i loro sguardi.

«Non mi sono mai piaciute le persone che cercano di colpire a tradimento.» Gli strattonò la testa indietro schiacciandola contro la corteccia e avvicinandosi a una spanna dal suo viso. «Soprattutto quelle che vogliono farlo con chi cerca di essere gentile.» sibilò arrabbiato.

Hoseok aveva la sensazione che il corvino non si stesse davvero riferimento a lui, come se quelle parole in realtà fossero indirettamente rivolte a qualcuno in particolare, ma non ebbe molto tempo per rifletterci poiché l'attimo successivo Yeosang lo afferrò nuovamente, allontanandolo bruscamente dall'albero e per poterlo poi solamente scaraventare a terra con forza.

«Oggi però mi sento stranamente generoso.» sorrise, «Ho deciso che non ti ucciderò... no, non lo farò.» scosse la testa raggiungendo il corpo spossato e scombussolato di Hoseok. «Ed strano sai, perché-» gli tirò un forte calcio sullo zigomo dell'uomo a terra, facendolo gemere dolorante e sputare sangue sul terreno secco e pungente. «Cazzo sono davvero arrabbiato!» prese a ridere da solo, per poi inginocchiarsi vicino a un Hoseok ormai stremato e che inutilmente cercava di fare leva sulle braccia per potersi alzare. E forse ci sarebbe anche riuscito se solo Yeosang non gli avesse puntato il coltello contro, facendolo perciò pietrificare sul posto. «È vero, ho io Namjoon.» disse senza troppi rigirii di parole. «E potrei avere anche te, dopo aver ovviamente finito di uccidere tutti i tuoi uomini.» Hoseok ringhio di rabbia, portando però Yeosang a ghignare maggiormente. «Perché ti arrabbi tanto? Sei stato tu a decidere di intrometterti in affari che non ti riguardano e adesso guardati: a malapena riesci a respirare e di tutti quegli agenti che tu hai condotto fino a qui ne saranno sopravvissuti un paio, forse.» parlò con una voce dolce, malata, come se stesse parlando di qualcosa per la quale lui non avesse alcuna colpa.

Yeosang si sollevò mettendosi nuovamente dritto in piedi, senza però allontanarsi di un solo passo da Hoseok. Il sorriso scomparve dalle sue labbra e il suo volto assunse in un millesimo di secondo un'espressione seria, tetra. Con l'uso del piede fece rigirare il corpo di Hoseok in modo che fosse completamente voltato verso il cielo blu, con la schiena premuta sul terreno e gli occhi rivolti verso il suo carnefice.

«Ahhh cavolo, sei ridotto davvero male...» storse la bocca in una smorfia quasi infastidita. «Chissà come si sentirà Sooyun quando verrà a sapere che il suo piano non è andato come sperava.»

Hoseok non potè fare a meno di sgranare gli occhi nel sentirlo fare il nome della ragazza e la sua reazione fu un'evidente conferma per Yeosang di come Sooyun lo avesse davvero tradito e avesse mandato la polizia a cercarlo. Un angolo della bocca dello spacciatore si sollevò verso l'alto in un ghigno agghiacciante, facendo aumentare a dismisura la frequenza cardiaca dell'uomo a terra.

«Le ragazze di oggi sono sempre così tanto ribelli, pimpanti e inaffidabili, non sei d'accordo anche tu?»

«N-Non-»

«Insomma, se non c'è nessuno che le raddrizza è normale che poi crescono in modo sbagliato, no? È importante che ci sia qualcuno che dia loro una dritta o rischiano di fare una brutta fine.»

«C-Che legame c'è tra te e Sooyun?»

«Ma come, non te l'ha detto?» aggrottò le sopracciglia deluso. «Sono un semplice e qualunque fratello maggiore che tiene tanto alla sua sorellina. Sono la sua famiglia.»

Hoseok guardò il ragazzo dal basso con confusione, constatando che non stesse scherzando e che fosse stato totalmente serio nel rispondergli. Lui non lo stava prendendo in giro, credeva veramente a quel che diceva. Yeosang questo lo notò e non seppe bene per quale motivo, ma il modo in cui Hoseok stava reagendo alle sue parole lo fece innervosire ancora di più. Cosa c'era di tanto strano in quello che aveva detto? Yeosang era l'unica persona che si era preso cura di Sooyun, l'unica persona che davvero l'amava e che, nonostante il torto che gli avesse appena fatto, mai avrebbe smesso di amare. Loro due erano una famiglia.

Yeosang credeva ciecamente in questo e allora perché Hoseok sembrava tanto interdetto, perché sembrava non credere alle sue parole tanto quanto ci credeva lui?

«Non c-capisco-» dovette interrompersi per tossire, ma nonostante sentisse la gola andare a fuoco non si fermò certamente dal parlare e ciò che disse subito dopo fece ribollire il sangue nelle vene del più piccolo. «Kim Sooyun ha solo un fratello e quello non s-sei tu, è scritto così nei documenti uffic-»

Le mani di Yeosang scattarono verso il colletto della divisa di Hoseok, afferrandolo con forza e facendo avvicinare la faccia, ora sbiancata, di Hoseok alla sua livida di rabbia. Di solito erano poche le cose che lo facevano davvero arrabbiare, se non inesistenti, e se c'era una cosa certa che più di tutte lo faceva uscire fuori di testa, quello era sentirsi dire che era Kim Taehyung il vero fratello di Sooyun e non lui. Questo lo faceva veramente incazzare.

«Kim Taehyung non è e non è mai stato niente per Sooyun, niente.» Si assicurò di sottolineare ogni parola, sibilandone una dopo l'altra con una voce così bassa quanto fottutamente minacciosa. «L'unica famiglia qui presente per Sooyun sono io, io e nessun altro. Dovete mettervelo in testa tutti quanti e se quella ragazzina non è ancora stata in grado di capirlo è soprattutto colpa vostra, a partire da Kim Taehyung che fa tanto il bravo fratello maggiore ma che, guardando la realtà dei fatti, non ha fatto altro che manomettere, distruggere e far cadere in un profondissimo oblio buio la sua dolcissima sorellina che io ho salvato!» Gridò a gran voce le ultime parole, facendo letteralmente tremare di paura Hoseok, il quale con occhi spalancati non riusciva più a distogliere lo sguardo dal volto contorto dalla furia omicida di Yeosang.

E fu proprio in quel momento che capì. Hoseok, dopo tante ricerche, indagini portate avanti silenziosamente in solitudine, facendo avanti e indietro da casa sua all'ufficio e molti altri posti al solo scopo di ricavare più informazioni possibili, aveva appena realizzato di non essere stato in grado di far emergere tra tutte quella più importante in assoluto, quella che finalmente avrebbe potuto completare il puzzle che per lui continuava a non avere senso. Aveva appena trovato il pezzo mancante che gli avrebbe permesso di incidere la parola "senso" a tutto questo.

Gli tornarono in mente le parole del preside della scuola superiore, dei professori e degli studenti con cui aveva parlato e dai quali aveva sempre sentito gli stessi discorsi, come se tutti loro avessero imparato un copione da dover dire alla polizia per far equilibrare un qualcosa che in realtà non ha mai avuto un suo equilibrio. Infine, ripensò alle parole di Sooyun.

«Sooyun... Con noi sei al sicuro, posso garantirtelo, ma se tieni tutto dentro non potremo aiutarti come vorresti.»

«Non posso...»

«Cosa non puoi?»

«Mettere in pericolo le persone che amo.»

Qui non si trovava di fronte a un caso cliché qualsiasi, dove il ragazzino tossicodipendente veniva rapito dal suo fidato spacciatore per saldare un debito di soldi che mai avrebbe potuto restituire. Qui non si trattata affatto di Namjoon e Yeosang o solo semplicemente di Namjoon.

Qui si trattava di Sooyun. Sooyun e Yeosang. Loro erano i protagonisti di tutta questa faccenda e sempre loro sarebbero stati la chiave per mettere un punto a una storia su cui tutti avevano osato mettere bocca, criticando, informando e sparlando, ma di cui, alla fine, nessuno sapeva proprio un bel niente. Non sapeva niente il preside, come non poteva saperne niente la segretaria o Jihoon, l'amico di Namjoon. E, sicuramente, non poteva saperne niente Hoseok.

Solo e soltanto Sooyun era a conoscenza della verità, una verità complicata che non avrebbero mai potuto comprendere senza averla vissuta tanto vicino da sapere quanto questa la stesse lentamente disintegrando da dentro. Una storia macchiata dall'inchiostro con cui la stessa Sooyun aveva inizialmente deciso di macchiarne le pagine bianche, senza però avere piena consapevolezza dell'ombra scura dietro alle sue spalle che non le avrebbe mai permesso il totale volere e la piena libertà con cui condurre la propria vita. Non da quando quell'ombra si era insidiata dentro di lei, cercando in tutti modi di sottometterla, di appropriarsene sotto la maschera ipocrita del giusto alibi come se ogni cosa che facesse parte di Sooyun fosse anche sua.

Hoseok aveva già visto quegli occhi. Indirettamente aveva già conosciuto Yeosang, sotto le vesti e le forme di un indifeso ragazzino molto più giovane e piccolo di come lo era adesso, con una vena che pulsava sul collo e gli occhi di qualcuno che avrebbe ucciso una persona senza pensarci due volte e senza alcun rimorso possibile e immaginabile. La prima volta che lo vide, però, in quella vecchia foto non era così, non era un giovane uomo in preda alla frustrazione, alla rabbia e colmo di tutto ciò che più di malvagio il mondo potesse donargli: apatia, crudeltà, indifferenza, disumanità.

Un sbuffo stanco lasciò le labbra del ragazzo dai capelli rossicci quando, dopo ore e giornate intere di ricerche, non riuscì proprio a trovare niente. Era sul punto persino di arrendersi all'idea che quel caso non facesse per lui, che forse fosse meglio lasciarlo gravare sulle spalle di qualcun altro perché non si sentiva all'altezza, non era ancora pronto. Non era ancora in grado di dirigere e condurre un avvenimento tanto atroce quanto difficilmente concepibile da solo. In seguito agli ottimi risultati ed elogi ottenuti per poter giungere dove adesso si trovava, Hoseok era convinto che niente e nessuno avrebbe potuto abbatterlo, che sarebbe riuscito a sfondare e spaccare il mondo ovunque si trovasse e davanti a qualsiasi ostacolo lui dovesse oltrepassare. Le cose, però, non stavano affatto andando come se le era immaginate. Il grandissimo, eccellente allievo Jung Hoseok forse non valeva questo granché.

«Signore!»

Il ragazzo sobbalzò sulla sedia quando qualcuno entrò come un tornado dentro il suo ufficio chiamandolo a gran voce.

«Quante volte ti ho detto che devi bussare!» sbottò sentendo il cuore ancora battere freneticamente per la sorpresa. «E poi non chiamarmi signore! Sono più giovane persino di te-»

«Scusi per lo spavento, ma è molto importante.» Lo interruppe avanzando verso di lui. «Abbiamo trovato questa foto tra le cose della ragazza e ho pensato che potrebbe essere d'aiuto.» Gli porse la foto di cui stava parlando, lasciando che Hoseok la prendesse, la rigirasse tra le mani e la guardasse attentamente. I suoi occhi scuri passarono in religioso silenzio i lineamenti del viso che riconobbe appartenere proprio alla stessa ragazza a cui apparteneva quella foto e che era stata ritrovata deceduta in mezzo a una strada desertica, tra i campi del sud della città di Suwon.

Erano passati giorni, se non settimane da quel tragico avvenimento e ancora non erano riusciti a capirne davvero le dinamiche. La vittima, identificata poi come Kang Aecha, era una normale sedicenne che probabilmente viveva la sua vita tranquilla e monotona come qualsiasi altro sedicenne, ma che improvvisamente si era ritrovata brutalmente uccisa da qualcuno, forse una persona o più, che forse lei nemmeno conosceva. Non sapevano quasi nulla della ragazza, così come non sapevano nulla della sua probabile famiglia e del suo ignoto assassino. Tutto ciò che avevano era un corpo martoriato, segnato da violenze fisiche e, forse, anche psicologiche finendo poi per essere dissanguato senza un briciolo di pietà da ben venti coltellate sparse sugli arti, busto e collo.

La prima volta che Hoseok era stato costretto a vedere uno scenario simile si era ritrovato in ginocchio, sul cigolo della strada a rimettere tutta la colazione di quella mattina. Come avevano potuto affidare proprio a lui quel caso? Perché non era prevista durante il primo inserimento nel reparto di polizia giudiziaria una procedura di supporto mentale da parte di chi magari fosse più esperto di lui e che si prendesse la responsabilità di qualcosa di così dannatamente disgustoso da farlo nauseare al solo pensiero? Come potevano non essere bastati tutti gli studi, le pratiche, gli allenamenti e gli incontri con i professionisti per affrontare quella che non era altro che la vita?

Mentre tutti quei pensieri, quelle domande e quelle preoccupazioni attanagliavano l'animo del giovane uomo, l'occhio subito gli cadde sulla figura presente accanto alla ragazzina. Era un giovanissimo ragazzo, forse più grande di lei di tre o quattro anni, che sorrideva sincero verso la fotocamera stringendo a sé Aecha in un abbraccio affettuoso, protettivo. Le sopracciglia si incurvarono verso l'alto quando Hoseok notò immediatamente la netta somiglianza tra i due: che fossero fratelli?

«Chi è questo ragazzo?» domandò all'agente che era rimasto silenziosamente al suo fianco.

«Non lo sappiamo signore, purtroppo oltre a questa fotografia e ai documenti della ragazza non abbiamo trovato altro.»

Hoseok annuì comprensivo, lasciando che l'ennesimo sospiro stanco fuoriuscisse dalle sue labbra in un'espressione avvilita, arresa. Era quasi sicuro che il ragazzo fosse il fratello di Aecha, perché avevano gli stessi occhi.

Azzurri come un cielo sereno che, sfortunatamente, gli occhi di Aecha non avrebbero più potuto vedere. Azzurri come un mare che non avrebbe più potuto ammirare. Azzurri come la purezza che gli era stata strappata via con una crudeltà e un'insensibilità che Hoseok non poteva credere potessero essere state scagliate contro una ragazzina tanto fragile.

Hoseok voleva trovare quel ragazzo, a tutti i costi.

E se non sapesse della tragica fine che la sua probabile sorellina avesse fatto? E se fosse dall'altra parte del mondo, magari? Oppure era stato preso anche lui di mira dalle stesse persone che avevano ucciso sua sorella. Se così fosse stato, allora lui lo avrebbe cercato e lo avrebbe salvato. E i genitori di questi ragazzi, dove diamine si trovavano? Perché Aecha era stata trovata tanto sola, persa? Come avevano anche solo potuto lasciare una ragazza di soli sedici anni in completa solitudine, per le strade buie di una delle zone più malfamate di Suwon? Perché Aecha si trovava lì e perché le era stato fatto del male?

Perché il mondo, Dio o chiunque ci fosse lì a guardare dall'alto aveva permesso una tale efferatezza?

Perché?

Perché?

Perché...?

Hoseok continuava a domandarselo ancora, ancora e ancora. Ma non riuscì mai a trovare risposta. Non riuscì a trovarla nemmeno nei giorni seguenti, durante le indagini che decise di condurre da solo, alla ricerca di quel viso giovane che, forse, sarebbe riuscito a soddisfare tutte quelle domande. Ma del ragazzo sembrava non esserci neanche l'ombra.

Chiese a giro, fece domande a così tante persone che aveva perso il conto, mostrando la stessa foto che costudiva con cura, la stessa foto che ogni notte osservava perché non riusciva a capacitarsi di un simile avvenimento, un destino tanto crudele contro cui ci sarebbe potuto finire chiunque, lui compreso. Passarono settimane, poi mesi e infine quattro lunghissimi anni durante i quali Hoseok aveva perso tutte le speranze rimastegli.

Non ce l'aveva fatta.

Non era riuscito a trovare delle risposte che soddisfacessero il suo animo ora tormentato e macchiato di un lato oscuro dell'umanità di cui mai aveva visto la facciata da così tanto vicino da sentirsene parte quasi persino lui stesso.

Non era riuscito a trovare il colpevole della morte di Kang Aecha.

Non era riuscito a trovare il ragazzo della fotografia.

Hoseok aveva fallito.

«Qu-Quegli o-occhi... S-Sei tu.» Le parole appena balbettate e roche di Hoseok giunsero come un sussurro incredulo alle orecchie di Yeosang. «K-Kang Yeosang...» e Kang Aecha. «Ti ho trovato.»

Yeosang palesò la sua confusione aggrottando le sopracciglia e sorridendo leggermente interdetto. Pensò che forse il poliziotto fosse impazzito dalla paura, era un'ipotesi molto probabile.

Hoseok però non badò per niente a come il ragazzo stesse ghignando di fronte alla sua paura e al suo stupore, e non si preoccupò minimamente di cosa le sue parole successive avrebbero potuto scaturire perché, in quell'istante, era troppo accecato da quel chiodo fisso che per quattro lunghi anni gli era stato martellato in fronte nella consapevolezza che la sua carriera nella polizia giudiziaria era iniziata con un totale fallimento.

Le sue risposte erano lì, davanti a lui.

La persona che aveva disperatamente cercato chiedendo a passanti, insegnati e negozianti era proprio lì, davanti ai suoi occhi.

Tenne lo sguardo posato in quelle perle celesti per dei secondi interminabili, guardandole come se dentro di esse ci avrebbe potuto trovare ogni risposta, ogni soluzione. Eppure non fu come guardare quelli impressi nella fotografia che ancora conservava in un cassetto di casa sua, erano diversi, spenti e tetri. Yeosang non era assolutamente lo stesso ragazzo della fotografia. Per Hoseok fu come trovarsi di fronte alla reincarnazione del peccato, della bramosia, ma, soprattutto, della solitudine più totale.

Era questa la persona che aveva cercato senza sosta? Si era ostinato tanto nelle sue indagini, nelle sue ricerche, per un... guscio vuoto?

E se fosse stato proprio lui l'assassino di Aecha?

«Kang Aecha è...» Yeosang trasalì all'istante nel sentire quel nome. «Tu per caso conosci- sei-» Deglutì a fatica la saliva nel tentativo inutile di pronunciare una frase di senso compiuto, ma doveva sforzarsi nel riuscirci, perché mai si sarebbe perdonato se si fosse lasciato sfuggire un'occasione come quella. Non gli interessava dei rischi che stava correndo, lui doveva sapere. «Kang Aecha è tua sorella?»

A seguito di quella domanda, propagatosi nell'aria come un eco mortale, ci fu solo silenzio. I muscoli di Yeosang cominciarono a rilassarsi e anche i lineamenti del suo viso, prima induriti e rigidi per la rabbia, presero a sciogliersi. I due uomini continuarono a guardarsi negli occhi in una sfida di sguardi, ma se da una parte c'era attesa, angoscia e irrequietudine, dall'altra non c'era altro che immensa, fredda e pura apatia. Dopodiché successe tutto molto velocemente: Yeosang mollò la presa dalla divisa dell'uomo sotto di lui, rialzandosi in piedi e incamminandosi nella direzione opposta. Lo spacciatore si era stancato di quella situazione, per lui ora aveva perso ogni divertimento, non aveva senso perciò restare ancora lì a perdere altro tempo. Aveva cose più importanti da fare.

Hoseok, dopo alcuni secondi passati a riflettere a terra nella più totale confusione, fece lo sforzo immane di scattare in piedi, trovando appoggio sulle sue stesse ginocchia per aiutarsi ad rialzarsi.

«Ti prego, rispondi!» gridò disperato. Non poteva andarsene via così, non senza avergli dato prima delle risposte. Ma il più giovane non lo stette certamente ad ascoltare, proseguendo lungo la sua strada e lasciando che la coltre di polvere, ora fattasi più fievole, nascondesse in parte la sua figura dalla vista di quell'uomo. «Dove pensi di andare?! Noi non abbiamo ancora finito! Fermati immediatamente, è un ordine! Fermati!» Quando vide che però Yeosang non parve minimamente intenzionato ad ascoltarlo, si permise di tirare fuori la sua Revolver e far scattare la sicura contro Yeosang. Quest'ultimo riconobbe subito il suono metallico dell'arma, fermandosi sui suoi passi ad alcuni metri di distanza da lui. Appena Hoseok capì che forse ora sarebbe stato disposto a sentire cosa avesse da dire decise di porgli la fatidica domanda che lo stava tormentando, senza mai abbassare la pistola che teneva saldamente puntata verso la schiena del più giovane.

«Sei stato tu a uccidere Kang Aecha quattro anni fa?!»

Fu una domanda concisa, diretta e non gli importò minimamente di come si fosse fatto prendere dall'ansia e dalla fretta. In quel momento, con un corpo che faticava a stare sollevato sulle sue stesse gambe e la mente nel disordine più totale non si fece problemi sul dover pensare prima di chiedere. A Hoseok, a quel punto, importava solamente sapere.

Entrambi furono subito immersi in un silenzio tombale, mentre con una lentezza disarmante Yeosang cominciò a voltarsi verso l'uomo che a stento si reggeva in piedi e lo guardò con un'espressione che Hoseok non riuscì minimamente a decifrare. Trasalì quando il più giovane prese a camminare nella sua direzione, con passi veloci, ma precisi. Si fermò quando la canna della pistola finì per toccargli il petto, continuando a guardare negli occhi la persona che aveva seriamente appena chiesto se lui avesse ucciso sua sorella. La sua dolce Aecha.

Non sembrò neanche importargli molto del motivo per il quale il poliziotto gli avesse posto quella domanda e tantomeno si preoccupò di chiedersi anche solo come potesse esserne a conoscenza e quanto ne sapesse davvero. L'unica cosa che in quel momento sentiva dentro di sé era la rabbia crescere, insieme a tanta, tanta delusione. Una delusione insolita però, la stessa identica di esattamente quattro anni fa e che non voleva ricordarsi di aver provato, perché gli faceva male. Ricordare quella stessa forte e ripugnante delusione che aveva provato vedendo sua sorella venire ferita, violata e uccisa gli faceva venire un mal di testa atroce e una nausea esiziale e Yeosang odiava sentirsi così. Lui non voleva più sentire tutte quelle brutte sensazioni dentro di sé e mai, mai avrebbe ammesso del terrore interiore anche solo nel rimembrarle.

«Non ho ucciso io mia sorella.» sussurrò in un sibilo serio. «Siete stati voi a ucciderla.»

Hoseok non ebbe il tempo di chiedere spiegazioni a tali parole che si ritrovò con un coltello conficcato nell'addome e la faccia di Yeosang a una spanna dalla sua. Quest'ultimo aveva appena scansato repentinamente la pistola del maggiore e ripreso in mano il suo coltello con una tale velocità da rendersi troppo imprevedibile agli occhi di chiunque.

«Voi e i vostri ipocriti ideali.» sibilò a denti stretti guardando Hoseok gemere dal dolore senza alcuna empatia nei suoi confronti. «L'avete uccisa voi! È colpa vostra se è morta!» Affondò maggiormente la lama tra le carni già lacerate di Hoseok, spingendolo così a indietreggiare di alcuni passi nel futile tentativo di sfuggirgli.

Yeosang estrasse poi con poca delicatezza il coltello sporco di sangue, lasciando il corpo dell'ufficiale di polizia cadere all'indietro, sbattendo forte la testa su una terra che era tutto fuorché morbida e strizzando dolorosamente gli occhi. Vide l'uomo a terra portarsi dolorante una mano sulla ferita e guardarlo poi dal basso con tanta sofferenza quanta confusione. Non capiva di cosa lui stesse parlando e a chi in particolare si riferisse, ma perché aveva la sensazione che quel "voi" gridato con tanta ira includesse anche lui?

Le pupille dilatate di Yeosang erano fisse in quelle prive di energia di Hoseok e lo stavano guardando dall'alto come se non ci fosse niente di male nel vederlo dissanguarsi al suolo, come se lui non avesse alcune colpe per averlo appena pugnalato. A Yeosang sembrava non importare assolutamente nulla, perché per lui era giusto così.

«Non sono riuscito a proteggerla.» La sua voce risuonò scossa, ma allo stesso tempo ben dissestata. «Me l'avete portata via e io non sono riuscito a impedirlo.» strinse i pugni tanto forte da far divenire le nocche bianche. «E continuando così non riuscirò a proteggere nemmeno la mia Sooyun.»

La sua Sooyun..? 

Hoseok corrugò le sopracciglia facendo sempre più fatica a guardarlo e a stare dietro ai suoi discorsi. La vista lentamente si stava appannando e con essa anche il battito del cuore si stava affievolendo, sentendo tutte le energie abbandonare sempre di più il suo corpo. Stava forse per morire?

«Voi bastardi volete uccidere la mia Sooyun proprio come avete ucciso Aecha, ma io non ve lo permetterò.» sibilò con rabbia, determinazione. «Questa volta sarò io a portarla via da voi.»

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