𝟐𝟓. Quel sorriso

Il capitolo stava uscendo parecchio lungo, oltre le 7000 parole. Dato che è un periodo difficile per me, soprattutto nel continuare con le mie abituali attività (tra cui scrivere), ho deciso di spezzarlo a metà, permettendovi così di goderne almeno 6000 parole di ciò che avevo scritto da almeno un mese, di cui però non riuscivo più a pubblicare. Spero che il capitolo vi piaccia, fatemi sapere cosa ne pensate! ☻♥ [Fatemi sapere per eventuali errori grammaticali, l'ho corretto frettolosamente e con poca concentrazione, scusatemi]

SOOYUN

Lunedì 22 Marzo 2021

Non penso di aver mai avuto così tanta agitazione come la ebbi quel lunedì mattina, seduta al mio banco con la penna stretta tra le mie dita tremanti e il cuore che batteva a mille; non seppi però dire se fosse per la paura o per l'estrema emozione. Quella era la prima volta che mi presentavo preparata per un test in classe, non era mai successo prima. Una mano che reggeva il foglio pieno di domande comparve sotto i miei occhi, sollevai la testa per incontrare nientemeno che le iridi scure e confortevoli di Seokjin. Lui non poteva sapere quanto avessi studiato il giorno prima, quanto avessi faticato nel cercare di assimilare tutti quei concetti che mai avrei pensato potessi memorizzare. Lo capii dal suo sguardo e dalle sue sopracciglia leggermente incurvate verso il basso: mi guardava con il timore che fossi impreparata anche questa volta, ma allo stesso tempo con grandi aspettative.

Era questa la grande differenza tra Seokjin e tutti gli altri professori: lui non smetteva mai di sostenermi e incitarmi a fare meglio. La massa di professori assegnati alla mia classe si divideva in due grandi gruppi, tra chi viveva la sua vita senza badare a me e lasciandomi completamente abbandonata a me stessa e chi dava per scontato il mio progressivo fallimento scolastico. Infine, c'era Seokjin, estraniato da tutta quella massa di bigotti, l'eccezione dell'intera istituzione istruttiva. Lui, come Taehyung, credeva ancora in me. Anche Jungkook ora credeva in me.

Ed io, con tutte le capacità e conoscenze a mia disposizione che Jungkook mi aveva assicurato di possedere, non potevo deluderli.

Lanciai una veloce occhiata a tutte le varie domande e mi ritrovai a tirare internamente un sospiro di sollievo quando realizzai di conoscerne incredibilmente tutte le risposte. Partito il tempo che ci era concesso prima di abbassare le penne e consegnare, mi misi subito al lavoro. Pescai da ogni angolo della mia mente la massima concentrazione di cui necessitavo per scrivere qualsiasi cosa ricordassi, cercando di rispondere nel modo più corretto possibile. L'ora passò molto in fretta, non fu come tutte quelle volte che restavo a fissare il foglio vuoto fino a quando non sarebbe suonata la campana. Era incredibile quanto il tempo potesse essere significativamente relativo, era spaventosa la velocità con cui mi scorreva davanti agli occhi nei momenti in cui ne avevo più bisogno senza che io potessi fermarlo e quanto, invece, risultasse lento in quegli istanti in cui volevo finisse il prima possibile. Riuscii in tempo a scrivere le ultime cose prima che il professore battesse le mani intimandoci a posare le penne sul banco, per poi passare a ritirare tutte le verifiche banco dopo banco.

Non attesi che arrivasse al mio, semplicemente mi alzai per uscire dalla classe, ma ero certa di percepire a metri di distanza l'espressione sorpresa di Seokjin nel vedere il mio foglio. Adesso non mi restava altro che aspettare i risultati.

[...]

TAEHYUNG

La fila di macchine davanti a me sembrava non finire più, c'era un traffico che non mi aspettavo di vedere alle dieci del mattino. Sbuffai stanco e cercai di impegnarmi nel restare calmo e paziente, convincendomi che mi avrebbero comunque fatto passare anche se fossi arrivato in ritardo. Sperai con tutto il cuore di fare in tempo, non mi ero preso un permesso di uscita anticipato per ritrovarmi bloccato in strada.

Dopo una buona mezz'ora, piano piano, riuscii finalmente a prendere la prima svolta che mi avrebbe portato all'ospedale di Suwon. Una volta pagato il ticket per il parcheggio, mi velocizzai a raggiungere la reception per registrare la mia visita, per poi incamminarmi lungo i corridoi che già numerose volte avevo percorso. Non mancava molto alla stanza che stavo cercando, l'avrei raggiunta nel giro di pochi secondi se solo non mi fossi ritrovato a scontrarmi contro una persona che camminava esattamente nella direzione opposta.

«Mi scus-» la voce mi morì in gola quando, sollevando lo sguardo, gli occhi che si spalancarono nel vedermi non furono altro se non quelli di Jungkook. Che diavolo ci faceva Jungkook qui dentro? «Jungkook?» assottigliai gli occhi, non riuscendo ancora a credere di avere l'amico di Sooyun davanti a me. «Jungkook, cosa ci fai qui?»

«Io? Nulla, mi stavo solo facendo un giro.»

«Un giro?» Corrugai le sopracciglia e lanciai una veloce occhiata attorno a me. «In ospedale?»

«Ero qui per una visita- Emh... e poi ho deciso di fare un giretto per l'ospedale, si.» Jungkook annuì alle sue stesse parole, «Ti sembra così strano?» domandò poi con tono quasi offeso, mostrandosi come se si sentisse accusato da me.

Scossi immediatamente la testa non volendo assolutamente che interpretasse male le mie domande, che erano tutto fuorché accusatorie nei suoi confronti. Semplicemente non mi aspettavo di trovarlo nello stesso reparto in cui si trovava la persona che periodicamente andavo a trovare ormai da un mese, ero sorpreso. «Hai anche tu un conoscente ricoverato qui?»

«No- cioè si, si. È un amico, stavo andando al bar per prendergli da bere.»

«Non avevi detto che stavi facendo un semplice giro per l'ospedale?» Gli occhi di Jungkook si spalancarono se possibile ancora più di prima, mi guardò come se si fosse ricordato solo in quel momento di avermi detto una cosa diversa proprio cinque secondi fa. Quel ragazzo mi stava mandando sul serio nella confusione totale, si stava comportando in modo strano; era troppo agitato per i miei gusti. Certe volte mi ricordava Sooyun. «Sei sicuro di sentirti bene? Sei pallido-»

«Si, sto bene!» esclamò con eccessiva enfasi, facendo non solo sobbalzare me, ma anche girare verso di noi tutte le altre persone nelle vicinanze. «Ora devo andare, non voglio far aspettare il mio amico-»

«Jungkook, che ci fai ancora qui?» Una terza voce distante pochi metri dietro il diretto interessato fece pietrificare entrambi. «Pensavo fossi già sceso a prendermi il ginseng che ti avevo chiesto di portarmi da almeno dieci minuti!» Quella voce io la conoscevo, e non poteva certamente appartenere ad un amico. Era di una donna. Bassa, rauca, consumata dai suoi stessi polmoni, ma femminile proprio come l'avevo sempre ricordata. Era la voce della stessa persona per la quale ogni volta che potevo mi precipitavo qui, all'insaputa di Sooyun. Era la voce di mia madre. «Oh, Taehyung-» Mia mamma si era avvicinata ai nostri corpi tutt'ora immobilizzati nello stesso punto, Jungkook continuava a fissarmi negli occhi chiedendomi scusa per avermi mentito con il solo sguardo, mentre io continuavo a lanciargli semplici domande tramite i miei occhi indecifrabili. Non sapevo bene come reagire. Jungkook e mia mamma si conoscevano. Jungkook conosceva mia mamma e, probabilmente, sapeva fosse mia madre. Perché voleva tenermelo nascosto? «Non pensavo saresti venuto oggi! Taehyung, tu conosci Jungkook-?»

«È così che vi siete conosciuti tu e Sooyun?» Ignorai le parole della donna e mi rivolsi esclusivamente a Jungkook. «Quando sono venuto qui portandomi anche lei dietro, tu ti sei avvicinato a lei. Non è successo per caso quindi-» Se Jungkook si trovava nelle grazie di mia madre, considerando le circostanze attuali in cui quest'ultima si trovava, poteva esserci solo un motivo riguardo alla casuale amicizia sfociata tra Jungkook e Sooyun. «È successo davvero ciò che sto pensando?» Guardai prima Jungkook e poi mia madre, guadagnandomi da entrambi un'espressione a dir poco confusa. Diedero l'impressione di non riuscire a capire cosa stessi dicendo, ma qui l'unico che aveva diritto a non capire ero io. «Tieni sotto controllo mia sorella per lei, dico bene?» Jungkook scosse leggermente la testa spaesato, io invece annuii alle mie stesse constatazioni. «Che cosa ti dà in cambio?» Lo chiesi con il tono più serio e pacato possibile, anche se mi fu parecchio difficile mantenere la calma.

«Taehyung, aspetta. Hai frainteso-»

«Soldi...? Droga?» andai a tentativi interrompendo l'inutile tentativo di mia mamma nel volersi intromettere. «Avanti dimmelo, cosa ti dà mia madre per poter tenere sotto controllo mia sorella-»

«La signora Kim ha ragione, hai totalmente frainteso-» Jungkook si zittì nell'esatto istante in cui si ritrovò il mio viso ad un palmo dal suo. Le punte dei nostri nasi si sfioravano, eravamo così vicini che riuscii persino ad intravedere le sfumature scure delle sue iridi profonde. Analizzai minuziosamente tutti i suoi lineamenti marcati, ma allo stesso tempo delicati, fragili. Il colore della sua pelle era più sbiadito di quanto ricordassi, era pallido e le borse violacee sotto agli occhi facevano ben intendere quanto dovesse essere stanco. Era come se avessi appena penetrato e oltrepassato un muro immaginabile posto di fronte a lui, tutto appariva molto più chiaro e nitido se visto da vicino. Questo ragazzo sembrava sul punto di crollare proprio lì, davanti a me.

«Quella che tu chiami Signora Kim è la stessa donna che ha abbandonato mia sorella nel momento in cui aveva più bisogno di lei.» sputai con rabbia e ripulsione contro Jungkook, certo che anche mia mamma ci stesse ascoltando e avesse attutito con maggior impatto le parole che le stavo riversando indirettamente. Quando Sooyun aveva bisogno di sua madre, lei se n'è andata via proprio come aveva fatto papà. In fondo, quei due non erano tanto diversi; si completavano a vicenda come coppia.

«Taehyung, ti prego... Evitiamo di fare scenata davanti a tutte queste persone. Andiamo nella mia stanza e parliamone con calma.» Mia mamma cercò di mettersi in mezzo e di calmare le acque, ma fallendo miseramente. Le sue parole non fecero altro che farmi innervosire maggiormente.

«Perché? Hai paura che anche qui vengano a sapere cosa hai fatto anni fa? Adesso temi la reazione che le persone potrebbero avere nello riscoprire quanto tu sia stata pessima come madre? Come persona?» Sorpassai Jungkook, avvicinandomi a mia madre mentre le buttavo addosso tutta la rabbia che avevo conservato per anni, tutta la tensione e l'angoscia, la consapevole di essere rimasto da solo. Da solo, con mia sorella. Io dovevo prendermi cura di lei, perché nessun'altro lo avrebbe fatto al posto mio. Io avevo dovuto mollare ogni cosa, ogni rincorsa ai miei obiettivi, per lei. Io non ero più io, per poter salvare mia sorella, per far in modo che, invece, lei sarebbe potuta essere se stessa. Il mio unico desiderio adesso era soltanto quello di vederla crescere come qualunque bambina, ragazzina e adolescente avrebbe dovuto fare. Quello di vederla sviluppare, accrescere  e realizzare i suoi futuri obiettivi. Volevo vederla rincorrere i suoi sogni come io non avevo potuto fare.

Yunhee, che a stento riuscivo ancora a chiamare "mamma", mi guardò con pieno rammarico e pentimento in volto. Riuscii a leggere il rimorso che lentamente, immaginai, la stava divorando viva da quando aveva capito di aver sbagliato ogni cosa. Io non volevo far ricadere tutta la responsabilità su di lei, sapevamo entrambi che il primo a sbagliare fosse stato nostro padre, ma questo non la giustificava. Non poteva sempre tirare fuori gli errori di suo marito per poter nascondere i suoi, non ne aveva diritto. Non dopo aver visto mia sorella, sua figlia, cadere a pezzi. No... Lei non aveva neanche avuto il coraggio di guardarla disintegrarsi volta per volta, era scappata prima che il cuore e la mente di Sooyun potessero affondare negli abissi. Io avevo avuto la sfortuna di assistere alla trasformazione progressiva di mia sorella, avevo avuto il dispiacere di osservare da vicino ogni pezzettino della sua anima staccarsi e polverizzarsi nell'aria. Avevo visto con i miei occhi la sofferenza di Sooyun trasformarsi in odio, nei confronti di tutti quanti.

Prima nostro padre, poi nostra madre. In seguito, è arrivato il turno dei suoi vecchi amici, che l'hanno lasciata da sola dopo che l'accaduto era diventato presto di dominio pubblico. Ha iniziato ad odiare gli insegnanti, gli studenti, i compagni, i vicini. Infine, ha cominciato ad odiare me.

Non ero stupido, avevo perfettamente capito come Sooyun, per qualche motivo a me sconosciuto, avesse iniziato a provare una sorta di rancore e rabbia persino nei miei confronti. E non esisteva cosa più dolorosa del guardare la propria sorella diventare qualcuno di sconosciuto, qualcuno di totalmente diverso, e di non poter fare niente per cambiare le cose. Ci avevo provato, ma avevo fallito. Tutto è cambiato quando Jungkook è entrato inspiegabilmente nella vita di Sooyun. Questo ragazzo, che aveva fatto trasgredire alle regole scolastiche la mia Sooyun, stava riuscendo in qualche modo a cambiarla. Quando Jimin mi aveva riferito ciò che era successo quella sera al locale devo ammettere di aver sentito la rabbia scorrermi nelle vene, arrivare al cervello e farmi inevitabilmente esplodere. C'era una cosa, però, che né Jimin né Yoongi avevano probabilmente capito: io non mi ero arrabbiato perché Sooyun aveva conosciuto un ragazzo e ci era uscita chissà quante volte a mia insaputa. Non ero arrabbiato perché giorni prima era tornata tardi a casa e non aveva risposto alle mie mille chiamate, facendosi beccare da Seokjin nel negozio di sua moglie. Forse all'inizio lo ero per tutti questi motivi, o perlomeno anche io credevo fosse così. Ma mi sbagliavo.

Ero arrabbiato perché avevo piano piano compreso quanto avessi fallito come fratello maggiore. Ero arrabbiato perché non ero riuscito a proteggere neanche il legame che univa me e mia sorella.

Ero arrabbiato perché mi ero reso conto di averla persa giorno dopo giorno, mese dopo mese e anno dopo anno. L'avevo persa e io non avevo potuto fare niente per evitarlo. Ero arrabbiato perché Jungkook, a differenza mia, stava riuscendo a cambiare le cose.

«Taehyung... per favore.» Mi supplicò ancora, cercando di trasmettermi il suo profondo dispiacere con quegli occhi tanto simili ai miei. Jungkook continuava a guardarci ed ascoltare in disparte, comprendendo la situazione tra noi due. Non volle mettere bocca su qualcosa che non gli riguardava.

Mia mamma, invece? Lei aveva scelto volontariamente di andarsene via e di non fare niente. Aveva deciso di non prendersi la responsabilità e di fuggire dalla sua stessa ombra.

«Va bene.» Indurii la mascella e mi incamminai verso quella che era la sua stanza d'ospedale, la sua piccola dimora da ormai diversi mesi. «Andiamo a parlare allora.» Sibilai a denti stretti, sorpassando mia mamma con una spallata ed entrando prima di lei nella sua stanza.

La sua figura mi raggiunse poco dopo averla sentita dire a Jungkook di fare con calma per prenderle il ginseng che gli aveva richiesto. Chiuse la porta, così che potessimo rimanere soli e lontani da orecchie ed occhi altrui.

«Mi dispiace di non averti detto di Jungkook.» Feci finta di non ascoltarla, mi avvicinai all'unica finestra presente tra quelle quattro mura dipinte di un azzurro accesso, quasi corallino. Osservai le macchine correre lungo la tangenziale, la stessa che presto avrei dovuto percorrere per poter ritornare a lavoro. Per mia fortuna, Sooyun il lunedì aveva anche le lezioni pomeridiane, ragion per cui avrei avuto tempo per tornare in ufficio, proseguire con le ore lavorative e poi andare a prenderla con calma. L'unica cosa che mi preoccupava a lavoro in quei giorni era la notizia appena giunta di un ragazzo scomparso. Mi era stato affidato proprio in merito a questo un articolo da portare a termine entro il giorno seguente. Jongho voleva fosse perfetto, così mi aveva graziato dandomi un po' di tempo in più, nonostante si trattasse di un qualcosa da dover pubblicare il prima possibile per non permettere alle altre agenzie giornalistiche di anticiparci.

Quel ragazzo andava nella stessa scuola di mia sorella. Sperai con tutto il cuore che non venisse coinvolta in tutto ciò, soprattutto per quando si intrometterà anche la polizia per poter cercare indizi nel caso in cui questo ragazzo, che ricordavo si chiamasse Namjoon, non salterà fuori prima che le indagini abbiano inizio.

«Sai, Taehyung... io- io so che non è il momento di parlare di questo, ma sappi che presto mi dimetteranno.» La voce di mia mamma era incerta, insicura; sembrava avesse quasi paura di parlarmi. Eppure, io, ero un ragazzo di cui si poteva avere tutto tranne che paura. Quando qualcosa riguardava le persone che amo, diventavo inconsciamente protettivo, arrivando persino a dare di matto. Mia sorella, è una di quelle persone. Farei-Darei di tutto per lei.

Mia mamma, questo lo sapeva.

«Cosa stai cercando di dirmi? Che potrai di nuovo avvicinarti a Sooyun una volta uscita da qui? Gli assistenti sociali potranno anche permettertelo questa volta, ma io no.» Fui certo di non avere mai avuto in vita mia l'intenzione di ferire qualcuno, non come lo stavo facendo in questo istante con mia madre. Sono sempre stato un ragazzo che evita di fare del male, di creare casini o far sfociare litigi.

Ma, ora, era diverso. C'era la vita di Sooyun di mezzo, la mia Sooyun. Avevo già potuto assistere alla totale e lenta distruzione della sua anima, avevo potuto vedere come quella luce che tanto caratterizzava i suoi occhi, ogniqualvolta sorrideva, farsi sempre più opaca, fioca, fino a spegnersi del tutto. Avevo visto il suo sorriso trasformarsi in una smorfia di sofferenza apatica.

Ogni giorno mi svegliavo sforzandomi di ricordare il suo sorriso, avevo paura di dimenticarlo. Ed io, non volevo dimenticarlo. Non volevo dimenticare chi fosse realmente Sooyun.

«Taehyung...» L'espressione di dolore stampata sul volto di mia madre fu l'unica cosa che riuscii a vedere, prima di voltarmi ancora una volta verso la finestra. Non riuscivo a sostenere il suo sguardo. Ero arrabbiato, ne ero certo, ma era come se qualcosa dentro di me stesse cercando di contrastare con tutte le sue forze quei sentimenti negativi che mi portavano a detestarla. «Per favore, non dire così. Sai bene quanto io tenga a tua sorella e quanto tenga a te. Non è stata una mia scelta quella di andarmene via, tu-»

«Io l'ho fatto per lei!» Alzai la voce tutt'un tratto, girandomi irato nella sua direzione e facendola sobbalzare dallo spavento. «Non dare la colpa a me per qualcosa di cui l'unica responsabile sei tu! Tu e papà!» la voce graffiò le mie corde vocali, facendomi provare quel bruciore alla gola e agli occhi che non provavo dall'ultima serata che avevo passato in compagnia di Yoongi e Jimin. «Solo perché mi sono occupato delle spese ospedaliere e di assistenza per la tua dipendenza non significa che io non sia più arrabbiato con te e che, quindi, tu possa approfittare di questo mio atto benevolo! Se davvero desideravi tanto stare al fianco di tua figlia, avresti dovuto pensarci prima.»

«Taehyung-»

«Una volta uscita da qui, assicurati di vivere il più lontana possibile da noi. Prendi spunto da papà, lui non ci ha messo un attimo a sparire dalla nostra vita-»

«Io non voglio sparire dalla vostra vita! Sono vostra madre, Taehyung!»

«NO, NON LO SEI! NON PIÙ!»

Il mio fu un grido sofferto, stanco, stressato ed uscì diretto dai polmoni, che sentivo andare a fuoco a causa della mancanza di ossigeno. La mia voce, eccessivamente elevata, rimbombò tra le quattro spoglie pareti di quella stanza e, molto probabilmente, raggiunse anche i corridoi esterni, permettendo alle altre persone di sentirla.

«Hai smesso di esserlo nell'esatto istante in cui te ne sei andata.»

La voce questa volta mi uscì rauca, debole e faticai persino a pronunciare quelle forti, devastanti parole. Avevo il fiatone, come se avessi appena corso una maratona, le labbra schiuse e gli occhi apatici puntati sulla figura pietrificata di mia mamma. Lei era spiazzata da me, dalla mia reazione. Mi guardava come se non riuscisse più a riconoscermi, come se non fosse suo figlio quello che le aveva appena urlato contro; come se io non fossi io. E, forse, aveva ragione.

Fu l'apertura frettolosa della porta e l'entrata di un'infermiera ad interrompere quel silenzio che pesava come macigni sopra di noi. Con la coda dell'occhio riuscii a vedere la giovane donna guardarci con incertezza dalla soglia della porta, mentre i miei occhi e quelli di mia mamma parvero farsi una guerra di sguardi.

«Signora, va tutto bene?» L'infermiera tentò di domandarle con la massima cautela e autorità possibile.

«È tutto ok, Chohee. Puoi anche ritornare a fare quello che stavi facendo, io e mio figlio stiamo solo parlando-»

«No, sono stanco di parlare con te.» mi intromisi io, impedendole di finire ciò che stava dicendo. «Questo venerdì ti invierò i soldi necessari per proseguire con l'assistenza dell'ospedale fino a quando non ti dimetteranno. Io, qui, ho finito.» Con te ho finito. 

Mi avviai di fretta verso l'uscita e avrei preceduto l'infermiera se solo la voce di mia mamma non mi avesse nuovamente fermato.

«Io non sto cercando di corrompere te e nemmeno Jungkook.» La mia mano era sulla maniglia della porta, pronta ad essere trascinata e chiusa in seguito al mio passaggio. Avevo un piede appena fuori dalla stanza, lo sguardo basso sul pavimento sotto di me e l'attenzione rivolta completamente sulle parole che presto avrebbero lasciato le sue labbra. «Non posso negare il fatto che, se Jungkook e Sooyun si conoscono, è per causa mia. Sono stata io a parlare di Sooyun a Jungkook.»

Lasciai a fatica andare la maniglia della porta, mi voltai ancora una volta verso la donna che tanto avrei voluto amare come si dovrebbe amare una madre, ma che in quel momento non volevo per niente al mondo vederla accanto a mia sorella, alla mia famiglia. La guardai in silenzio, facendole capire che la stavo ascoltando. 

«Quindi è come dico io-»

«No.» si preoccupò subito fermare le mie parole, negando anche con la testa. «Taehyung, io non ho fatto alcuna richiesta a Jungkook, non mi sarei mai permessa di mandare qualcuno a controllare mia figlia anche se solo con il semplice fine di assicurarmi che stesse bene. Jungkook ha agito di sua spontanea volontà, lui ha scelto di avvicinarsi a Sooyun e stringere amicizia senza che nessuno glielo chiedesse. All'inizio sono certa lo stesse facendo per me, ma ora la situazione sembra essere cambiata.»

Sollevai un sopracciglio confuso, quasi seccato dalla palese contraddizione presente nelle sue parole. Non capii se però fosse seria o se mi stesse prendendo in giro. «Ti rendi conto, vero, dell'evidente contraddizione di ciò che mi stai dicendo?» Non fu una domanda arrogante la mia, neanche tanto acida da come potesse invece sembrare. Ero sinceramente spaesato, confuso, ma soprattutto ero stanco. Ero stanco di ascoltare qualsiasi cosa volesse dirmi per cercare di convincere me e, soprattutto, se stessa di non avere alcuna colpa, di non essere la responsabile delle conseguenze disastrose che la nostra famiglia ha dovuto subire in seguito all'abbandono di nostro padre.

«Taehyung, come posso spiegartelo?» Sollevò le braccia per poi farle ricadere subito dopo lungo i suoi fianchi. «Io- Ti giuro, è complicato-»

Mi avvicinai con uno scatto al corpo tremante, magro e gracilino di mia madre. La mia sovrastante altezza la costrinse a mutarsi e sollevare la testa per potermi guardare negli occhi.

«Tu non hai idea di cosa significhi la parola complicato.» sibilai ad un palmo dal suo viso, il mio naso sfiorava il suo, il mio respiro pesante e leggermente irregolare si scontrava sulla sua pelle pallida, bianca come un cencio. Qualcosa nel suo sguardo si ruppe in mille pezzi, lo vidi tramutare dall'essere semplicemente triste ad essere contorto nel totale pentimento. Era vera e propria sofferenza quella che vidi dipinta sul suo volto, per niente paragonabile però a quella che avevo provato io.

Complicato era stato abbandonare ogni desiderio, principio o obiettivo per cercare il prima possibile un posto di lavoro. Complicato era stato provvedere alle spese quotidiane, nonostante l'aiuto costante dei miei amici, per poter permettere miglior agevolezza a Sooyun. Complicato era stato stampare una costante e falsa maschera sorridente, ottimista e fiduciosa di fronte a mia sorella, venendo ricambiato da nientemeno che la sua ovvia e progressiva distruzione.

Questo era complicato.

«Tae... t-ti prego, dammi una seconda possibilità-» Le sue parole tremanti e spezzate vennero interrotte dall'arrivo di Jungkook con in mano un bicchiere di carta contenente del liquido fumante. Il corvino cercò di attirare l'attenzione su di sé bussando sullo stipite della porta, come se volesse spezzare quell'aria carica di tensione e rabbia.

«Signora Yunhee... le ho portato il ginseng.» parlò titubante per aver interrotto un'accesa e seria discussione tra me e mia madre. I suoi occhi passarono da una figura all'altra, dando l'impressione di essere insicuro se entrare o meno, non tanto per mia madre quanto per la mia presenza. Facevo davvero così tanta paura quando mi arrabbiavo?

«Io me ne vado, devo tornare a lavoro.» Mi voltai ben intenzionato ad andarmene sul serio, sia per l'imminente crisi di nervi che avrei avuto se avessi continuato a discutere con lei, sia per la consapevolezza di dover affrontare di nuovo quei non pochi chilometri di strada. Non potevo permettermi di tardare, non dopo la notizia giunta la mattina precedente per telefono tramite Jongho... Avevo tante, troppe cose da fare. Sorpassai Jungkook senza guardarlo in faccia, mentre lui rimaneva imbambolato alla porta con quel dannato bicchiere in mano.

Non avevo niente contro Jungkook, anzi, gli ero grato. Gli ero grato per aver avuto la premura, vera o falsa che fosse, di aiutare Sooyun, di starle accanto. Se c'era una cosa che avevo capito e su cui ero pienamente certo era quanto quel sorriso fosse stato vero. Era durato forse millesimi di secondi, ma mi era bastato. 

«Sooyun, sei pronta? Sbrigati, che sennò fai tardi a scuola!» Gridai dalla cucina per farmi sentire da mia sorella, consapevole si trovasse ancora al piano di sopra a perdere tempo. Era sempre la solita storia, i giorni in cui l'avevo vista pronta in tempo per non rischiare di trovarci immersi nel traffico mattiniero potevo contarli sulle dita della mano.

Sbuffai dopo diversi secondi passati in silenzio ad attendere una risposta che non arrivò mai. «Sooyun!»

«Un attimo, arrivo!»

Almeno non si è riaddormentata, questo è già un grande passo. Sospirai pesantemente dalle narici, ritornando a mettere sulla tavola il necessario per la cena di questa sera che Sooyun, molto probabilmente, avrebbe dovuto prepararsi da sola. Mi sentii un po' in colpa nel ringraziare ogni santo che quel giorno avrebbe tenuto occupata Sooyun a scuola fino al pomeriggio, non volevo si ritrovasse da sola anche a pranzo.

Una volta finito tutto lanciai un'occhiata al mio orologio da polso, constatando che fossero passati almeno altri dieci minuti da quando avevo richiamato mia sorella. Scocciato di continuare a chiamarla gridando dal piano inferiore, decisi di incamminarmi verso le scale con passo svelto per raggiungerla in camera sua. La trovai per l'appunto seduta in modo scomposto sul suo letto, fortunatamente non disfatto, con il cellulare tra le mani e un sorriso trattenuto da quei denti bianchi che non smettevano di mordicchiare il suo labbro inferiore. 

Ma cosa..?

«Ma si può sapere cosa stai facendo?» capii non si fosse neanche accorta della mia presenza, dato che la sua prima reazione fu quella di sobbalzare spaventata guardandomi con un'espressione a dir poco irriconoscibile. Sembrava spaesata, con la testa totalmente tra le nuvole... Era come se fosse finita in un altro mondo, un po' più bello di quello reale, un mondo in cui qualcosa, o qualcuno, la faceva sorridere.

Non era passato poi così tanto tempo da quel giorno, lo stesso in cui qualcuno aveva spedito delle fragole e delle tavolette di cioccolata a mia sorella. Eppure, erano successe così tante cose che era strano rendersi conto di come, effettivamente, non eravamo nemmeno giunti alla fine del mese.

Quel qualcuno, ovviamente, era Jungkook. Avevo capito dovesse trattarsi di lui. Inoltre, collegando Jungkook ad ogni situazione passata, tutto sembrava avere più senso. Ripensai a quando mi ero arrabbiato non appena scoprii di quante bugie Sooyun mi avesse riversato contro e mi accorsi ci fosse qualcosa, dentro di me, che lentamente mi stava facendo passare quel senso di rabbia e frustrazione nei suoi confronti. Ciò che ora stavo provando non aveva niente a che fare con la delusione o l'irritazione per la presenza di Jungkook. Sooyun era sotto la mia responsabilità, la sua vita era una mia priorità, e vedere come avesse cercato più volte di impedirmi di starle vicino, di proteggerla e, soprattutto, di superare quell'armatura di vetro invalicabile, che aveva permesso soltanto a Jungkook di oltrepassare, non mi faceva arrabbiare. Mi faceva male, il suo comportamento mi aveva fatto male. Sooyun aveva cominciato per qualche strano motivo ad odiarmi e non ricordavo da quando fosse cominciato questo immotivato ciclo di odio e risentimento nei miei confronti, ma sapevo che fosse da tanto. Ancora, però, non avevo capito se fosse tutto legato ai nostri genitori e che il loro abbandono avesse conseguito tutto il resto, oppure se si trattasse esclusivamente di me. Forse il problema ero io, dovevo aver sbagliato in qualcosa, perché sennò non riuscivo a spiegarmelo.

Ero talmente immerso nei miei pensieri che nemmeno mi resi conto di aver già raggiunto l'agenzia e di essere entrato nel mio ufficio. Con uno sguardo totalmente perso nel vuoto e la mente annebbiata da continue domande, mi sedetti alla mia scrivania, accesi il computer e attesi in silenzio che questo si avviasse. Gli occhi mi caddero in automatico sulla fotografia contornata dalla cornice rossa, la nostra fotografia.

Era incredibile come non mi stancassi mai di guardare quel sorriso tanto vero, puro. E ogniqualvolta vedevo quelle labbra carnose, rosee, illuminate da un sorriso che mai avrei potuto dimenticare, lo stesso peso che premeva sul mio cuore ritornava a schiacciarlo con maggiore forza, facendomi ricordare quanto mi mancasse. Quanto mi mancassero quei momenti e quei giorni. Sooyun mi mancava ogni secondo della mia vita, mi chiedevo però se anche io mancassi a lei.

Io, le mancavo? Le mancava la costante presenza di suo fratello al suo fianco? Le mancavano le dormite passate a rifugiarsi nel mio letto, troppo spaventata dal passare la notte da sola dopo aver fatto uno dei suoi incubi?

Era forse per questo che aveva cominciato ad odiarmi? Era arrabbiata con me perché le mancavo?

Riflettendoci bene, non riuscivo neanche a ricordare quanto tempo fosse passato dall'ultima volta che eravamo usciti insieme, per passare un pomeriggio o una serata in compagnia, lontani dalle preoccupazioni, impegnati solo a ridere, divertirci e svagarci. Fece ancora più male realizzare che, d'altronde, non fossi poi tanto diverso dai nostri genitori. Alla fine, cosa avevo fatto di diverso per lei, se non lasciarla quasi tutti i giorni a mangiare e dormire da sola, in compagnia di Yeontan? Cosa mi rendeva diverso da quelle due uniche persone, delle quali l'unico compito sarebbe dovuto essere quello di crescerla e prendersi cura di lei, di noi.

Non esisteva cosa più terribile di un genitore che si rifiutava di comportarsi come tale. Ma io, invece? Cosa avevo fatto di concreto per lei?

Non avevo fatto niente. Niente.

E fu proprio in quel momento che capii, io la capii.

«Perché non lo hai preso anche tu?» La sua voce... La sua sottile, dolce voce bambinesca mi stava tornando alla mente in automatico. Mi bastò quella foto, quel sorriso e quegli occhi splendenti di luce propria per rimembrare qualcosa che mi ero permesso di accantonare per un po'. Il tempo necessario per non starci male al solo pensiero. «Guarda che è davvero buono! Dovresti mangiarlo, io divento ancora più felice quando lo faccio.»

«Ne sono certo, ma l'importante è che sia tu a mangiarlo. Mi basta rendere te felice, Sooyun. È questo che conta per me.»

Era così che le avevo risposto, quella lontana sera. Una delle ultime serate più belle passate insieme alla fiera del cioccolato.

«Ma tu mi rendi già felice»

Come avevo potuto dimenticare..? 

«Non hai bisogno di comprarmi i miei dolci preferiti per farlo.»

Io la rendevo felice.

«A me invece basta vederti sorridere per essere felice»

«Dici davvero?»

La sua domanda era tipica di una bambina della sua età: curiosa, genuina e non esisteva cosa più pura di una domanda posta da un bambino. Cosa disse dopo?

«Allora vorrà dire che sorriderò sempre» Mi prese le mani, a quel punto, stringendole tra le sue notevolmente più piccole delle mie. «Te lo prometto-»

«Se smettere di sorridere significa renderti triste, farò in modo che questo non accada mai.»

Ma cosa stavo facendo? Mi venne automatico chiedermelo e continuare a domandarmelo ancora e ancora: Cosa cavolo stavo facendo?

Mi alzai dalla sedia con uno scatto, raccattai tutti i miei oggetti personali e, dopo essermi infilato disordinatamente il cappotto, uscii spedito dall'ufficio. Lasciai un messaggio alla segretaria del piano terra per Jongho, per riferirgli una bugia che mi inventai lì sul momento: Sooyun era stata male ed ero l'unico che poteva andare a prenderla da scuola.

Lasciai con altrettanta velocità il parcheggio privato dell'agenzia, per poi dirigermi spedito verso una meta che, in realtà, non poteva definirsi tale. Non sapevo dove avrei potuto trovarlo, ma ci sarei riuscito. Tirai distrattamente il cellulare fuori dalla tasca, digitai nel registro telefonico il numero di mia madre per poterle chiedere dove avessi potuto trovare Jungkook a quell'ora della mattina. L'orario di pranzo si stava avvicinando, non sapevo se e dove lavorasse, oppure se frequentasse una qualche specie di università, tantomeno dove abitasse e, nel caso, con chi. Non sapevo nulla di quel ragazzo se non il fatto che fosse amico di mia sorella.

Mia mamma ci mise pochi minuti a rispondere alla chiamata e, senza darle neanche il tempo di salutare o fare domande, le chiesi frettolosamente se sapesse in quale luogo potesse trovarsi il corvino in questo momento. Dopo alcuni secondi di incertezza mi disse che di solito a quest'ora andava al DragonFly. Il locale dove lavora Jimin e, momentaneamente, anche Yoongi. Lo stesso dove aveva portato Sooyun durante la sua scorsa fuga da scuola. La ringraziai senza farci tanto caso e riattaccai, andando poi a premere sul pedale dell'acceleratore. Da quanto avevo potuto capire andava frequentemente al locale di mattina e, solitamente, di sera. Sperai solo che avesse rispettato questa sua abitudine anche questa volta.

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