𝟒𝟗. Ci Riusciremo

Leggete l'angolo autrice alla fine del capitolo, per favore💜 Buona lettura!

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"Rido per le cose semplici, ma piango per le cose stupide."

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YEOSANG


La prospettiva con cui si guarda il mondo cambia agli occhi di ciascuna persona. Non esiste alcuna oggettività scientifica in ciò che facciamo, sogniamo o pensiamo. Siamo semplici esseri viventi che si adattano all'ambiente, alla cultura, alle persone e alle consuetudini che ci impregnano e che ci accompagnano giorno dopo giorno.

Ma le abitudini non sono le medesime per tutti noi, pur essendo così simili.

I miei coetanei erano abituati a mangiare le caramelle al parco nel pomeriggio, giocando e condividendo le proprie avventure con i propri amici. Io, durante il pomeriggio, ero abituato a cercare i soldi persi per strada dalle persone, pregando ogni giorno che fosse quello fortunato.

Le famiglie preparavano dei pranzi speciali la domenica, mangiando in compagnia a tavola. Io, ancora, cercavo la possibilità di ricavare qualche spiccio in più nei ristoranti più frequentati nel fine settimana.

Le madri disinfettavano, curavano e ricoprivano con un cerotto le ferite che i loro figli si procuravano inciampando sul terreno arido, mentre giocavano a nascondino. Io aspettavo che la ferita si rimarginasse da sola.

I bambini salivano sulla ruota panoramica gridando di gioia e ammirando con occhi pieni di luce il panorama visibile dal punto più alto, quello più vicino al nostro cielo stellato. Io osservavo dal basso le cabine luminose ruotare con gli occhi speranzosi di riuscire un giorno a salirci anche io, insieme ad Aecha.

«A-Aecha..» la gola mi faceva male, sentivo un liquido denso e caldo percorrerla fino a fuoriuscire dalle mie labbra. La mia faccia era premuta sull'asfalto, i miei occhi semiaperti che vedevano continui e sfocati movimenti di persone e oggetti che non riuscivo a focalizzare. Ogni singola parte del mio corpo non provava più dolore, ogni nervo era paralizzato da una totale assenza di percezione.

Fu come essere trascinati dentro una voragine dai piedi, sentivo qualcosa o qualcuno cercare di trascinarmi a forza dento di essa. E io glielo lasciai fare. I miei pensieri erano confusionari, sbiaditi. La mia coscienza si stava lentamente spegnendo e non avevo energie per forzare l'interruttore, non riuscivo a muovere un solo muscolo, a malapena potei parlare.

Stavo morendo? Oppure stavo semplicemente sognando e presto mi sarei svegliato, aprendo gli occhi e ritrovandomi su quel mio consueto, malandato letto.

I miei polmoni erano in cerca di aria, potei sentire la loro disperata necessità di ossigeno, ma non appena provai a inspirarne una piccola quantità dalle labbra schiuse quasi mi strozzai da solo con il mio stesso sangue. Se stavo sul serio dormendo, doveva trattarsi di un incubo dal quale volevo solamente svegliarmi.

Perché vedevo tutto così sfocato e opaco attorno a me? Perché non riuscivo a muovermi? Non mi piaceva la sensazione di prigionia alla quale il mio corpo era sottoposto, mi terrorizzava la sola idea di essere obbligato a guardare senza la possibilità di agire. Ogni cosa di fronte a me continuava a muoversi, mentre io restavo lì, bloccato e inerme.

Sentivo delle voci in lontananza; erano voci gridate, sofferte, colme di quella che percepii come puro supplizio. Qualcuno stava gridando... ce l'aveva con me?

Volli chiederglielo. Desiderai domandargli perché stesse piangendo, cosa gli fosse successo, ma non riuscii a fare nemmeno questo. Qualcosa di bagnato sfregò la mia guancia dalla palpebra al mento, bruciandomi come fuoco sulla pelle. Il dolore aumentò, la mia vista divenne sempre più nebulosa, mi parve di essere d'un tratto immerso in un'ampolla colma d'acqua, impedendomi di respirare.

Era giunto il momento, pensai. Il mio corpo di colpo si fece leggero, mi sentii come una piuma che libra libera in aria, portata via dal vento. Ogni suono divenne sempre più ovattato, venendo definitivamente soppresso e sormontato da un immenso silenzio. Ogni sensazione sparì insieme alle immagini poco chiare, catapultandomi dentro un abisso profondo, buio.

Forse, finalmente, mi stavo per risvegliare.


Tempo indefinito, Suwon.


Sono sempre stato convinto di essere nato nell'epoca sbagliata.

Tutta questa tecnologia, tutti questi occhi puntati unicamente su uno schermo illuminato da una fonte artificiale, tutte queste teste chine sui messaggi che non facevano altro che aumentare di numero secondo dopo secondo.

Tutto quello che io non potevo avere era ormai diffusa ovunque attorno a me, attorno a mia sorella, attorno al mondo intero. Era diventato ancora più semplice contattare e cercare i propri cari anche a chilometri e chilometri di distanza. Avevo sentito fosse diventato ancora più facile cercare qualcuno di lontano grazie alla tecnologia super avanzata, qualcuno difficile da trovare fisicamente parlando.

Forse, se fossi riuscito ad accumulare abbastanza soldi per comprarmi un telefono, sarei riuscito a trovare i miei genitori?

«Yeosang, guarda!» La voce vivace di Aecha riuscì in un attimo a disconnettermi da tutti quei pensieri, «Possiamo andarci anche noi?»

Sollevai la testa, puntando il mio sguardo nel preciso punto in cui stava indicando mia sorella. Una ruota panoramica. Una ruota illuminata che girava lentamente senza mai fermarsi. Osservai quell'attrazione colorata brillare sotto al cielo blu di Suwon.

Sarebbe stato bello poterci salire sopra. Da lassù sarei riuscito a vedere il cielo da più vicino? Com'era la vista a quell'altezza?

«I soldi ci servono per comprare da mangiare questa settimana» mi limitai a dire, atono come un robot progettato appositamente per ripetere le stesse cose.

Aecha parve delusa dalla mia risposta. Era triste, potei vederlo dai suoi occhi che in un attimo persero tutta la loro luminosità. Per fortuna, non insistette e proseguimmo lungo la nostra strada per tornare a casa.

Casa. Suonava strana come parola, dal momento che noi non avevamo una casa.

Faceva caldo, molto caldo. Così ogni tanto cercavamo i posti più possibilmente freschi per riposare la notte, anche se difficilmente ne trovavamo uno adatto a noi.

«Un giorno riusciremo a salirci anche noi?»

Volsi lo sguardo verso mia sorella, sdraiata a pochi metri di distanza dal mio corpo. Lei aveva il corpo totalmente rivolto verso di me, con la testa poggiata su un braccio e l'altro disteso lungo il fianco.

"Un giorno"... Un lasso di tempo divenuto a me estraneo, privo di senso. Passavamo da una zona all'altra, da una stazione all'altra, da una fermata del bus all'altra, senza trovare un solo giorno un posto che potessimo effettivamente definire casa. Quanti giorni erano passati da quando ne cercavamo una? Tanti, forse troppi, ma nell'effettivo non ne avevo la più pallida idea. A malapena riuscivo a distinguere la mattina dal pomeriggio, non avendo con me un telefono, o quanto meno un orologio. Purtroppo, tutti quelli che avevo trovato nella spazzatura erano rotti e malfunzionanti.

«Non lo so» mormorai sincero, scontrandomi con un'espressione rammaricata di Aecha, «Ma posso dirti che farò di tutto purché tu riesca a salire sulla ruota panoramica»

Come se le mie parole fossero la cosa più bella che Aecha avesse mai sentito, un dolce e luminoso sorriso spuntò sulle sue labbra rosee e disidratate.

«Me lo puoi promettere?» mi chiese.

Potevo prometterglielo? No, certo che no, non potevo farle questo.

Non risposi, riportando i miei occhi sulla distesa bluastra sopra di noi. Le stelle erano poche quella notte e ciò mi portò dispiacere. A me erano sempre piaciute tanto le stelle, erano l'unica cosa di tanto luminoso che la mia vita mi permetteva di vedere, oltre al sorriso di mia sorella.

«Ti chiedo scusa se anche quest'anno non sono riuscito a farti salire sulla ruota»

«Perché chiedi scusa? Non è colpa tua» Aecha sorrise nel parlare tanto sinceramente e ciò non mi sorprese affatto. Era sempre stata così gentile, così dolce.

«Vorrei tanto prometterti di riuscirci un giorno, ma ho paura nel farlo» La mia voce rauca, bassa e calma fu l'unico suono che si udì in quel piccolo spazio di terra, erba e grilli.

«Perché hai paura?»

«Se non riuscissi a mantenere la mia promessa, mi sentirei responsabile fino alla fine dei miei giorni»

«Ti ho già detto che tu non hai alcuna colpa, quindi non dovresti sentirtene responsabile»

Socchiusi gli occhi, lasciandomi inebriare dal venticello caldo e godendone appieno la freschezza che ne suscitava contro la mia fronte sudata.

«Dovremmo dormire, si è fatto tardi» dissi evitando così di ribattere. Non sapevo neanche che ora fosse, ma fu la prima scusa che mi venne in mente per porre fine al discorso.

«Buonanotte, Yeosang»

«Buonanotte, Aecha»


[...]


«Ehi ragazzino, guarda dove vai!»

Inciampai sui miei stessi piedi, rischiando di cadere insieme alle poche cose che ero riuscito a comprare.

«Mi scusi...» Feci un timido inchino rivolto al signore contro cui ero andato a sbattere, guardandolo allontanarsi da me con aria scocciata, non prima di avermi lanciato un' ultima occhiataccia.

Uno sbuffo d'aria fuoriuscì dalle mie labbra, rimarcando la stanchezza che andavo a risentire sempre di più ogni giorno che passava. L'aria era fredda, anzi gelida, e ciò permise che il mio sospiro prendesse forma nell'aria come una piccola, sofferente nuvoletta.

Camminai per alcuni chilometri, sentii i miei piedi dolere ma non aveva alcuna importanza, l'importante era fare ritorno da lei. I miei piedi erano abituati a tanto stress.

«Sei tornato!»

Inevitabilmente, gli angoli della mia bocca si sollevarono verso l'alto nell'udire la voce di Aecha. Erano passati diversi mesi da quando mi aveva chiesto di prometterle di portarla sulla ruota panoramica in futuro, anche se precisamente non sapevo quanto tempo effettivo fosse trascorso da quella sera.

«Ho comprato qualcosa da mangiare, dovrebbe bastare per questa settimana»

«Perché ci hai messo tanto?» borbottò teneramente mentre frugava nella busta di plastica tra le poche cose che ero riuscito ad acquistare a basso prezzo.

«Da qui il primo market disponibile è molto lontano» risposi, «Forse alla prossima riusciremo ad appartarci in un luogo un po' più vicino, anche perché non mi fido a lasciarti sola per così tanto tempo»

Aecha sorrise, ma non mi guardò. I suoi occhi puntavano sul cibo.

«Oggi ho visto dei ragazzi passare qui vicino sulla strada» Disse dal nulla, facendomi allarmare appena.

«Ti hanno fatto qualcosa?» chiesi ansioso.

«Cosa?» Aecha mi lanciò un'occhiata confusa con un sopracciglio alzato, «No no, neanche mi hanno vista! Avevano tutti uno zaino sulla spalla, credo che stessero facendo la strada insieme per andare a scuola»

«Non ti avvicinare mai alle persone che non conosci»

«Un giorno potrò andare anche io a scuola?» Mi pietrificai, spiazzato dalla sua domanda. A primo impatto non seppi cosa risponderle. Dovetti attendere qualche secondo per metabolizzare il significato delle sue parole per permettermi di formare una frase di senso compiuto.

Non avevo mai tenuto in considerazione la curiosità che Aecha avrebbe nutrito per la scuola, non ci avevo mai pensato perché davo per scontato che sapesse bene che mai saremmo riusciti a essere persone normali. A mala pena riuscivamo a procurarci il cibo, figurarsi se avremmo trovato i soldi per la scuola.

Sarebbe stato altamente improbabile, se non impossibile.

«Aecha...» la chiamai senza proseguire, non seppi come esprimere i miei pensieri evitando il rischio di ferirla in qualche modo. Mia sorella puntò i suoi occhi celesti nei miei, incitandomi a continuare. «Noi non possiamo andare a scuola, non abbiamo i soldi per permettercelo»

Aecha storse la bocca in una smorfia contrariata, delusa, ma non disse comunque niente.

Lei era fatta così: silenziosa, eloquente... Non aveva necessità di parlare per esprimere ciò che pensava e, più spesso del dovuto, quando ne aveva naturale bisogno tratteneva ogni cosa dentro di sé.

Mi faceva male vederla così.

«Ora sei piccola ma un giorno, quando compierai l'età giusta per lavorare, magari potrai comprarti qualche libro da leggere e da studiare con i soldi che guadagnerai»

Aecha non rispose. Rimase in silenzio, guardandomi con un'espressione neutra. I suoi occhi chiari si incastonarono con i miei per decine e decine di secondi che parvero infiniti, ci osservammo a vicenda cercando entrambi di leggere i nostri pensieri più intimi, nascosti. Era insolito vedere tanta serietà dipinta sul volto di mia sorella, parve quasi irreale.

Fui il primo a cedere al suo sguardo vitreo. Abbassai la testa e puntai i miei occhi sul terreno secco e arido, percependo la mia pelle per la prima volta bruciare sotto la sua attenzione.

«Perché loro si e noi no?»

Non fui sicuro di aver sentito per davvero quelle parole, pensai persino di essermele immaginate. Ma non era così.

Aecha aveva appena parlato, sussurrando nel rivolgermi tale domanda, alla quale io non avevo risposta. Era la stessa identica domanda che mi ponevo a ripetizione ogni giorno della mia vita, dall'istante in cui aprivo gli occhi al mattino fino a quello in cui faticavo a chiuderli la notte.

«Ho comprato quei dolcetti strani che tanto ti piacciono, per una volta ho pensato che non succederebbe niente fare uno strappo alle regole» sviai il discorso senza riuscire a guardarla negli occhi, fingendo di frugare nella busta delle spese alla ricerca del dolce di cui parlavo. «Eccoli, avevi detto che ti sarebbe piaciuto mangiare dei mochi» Le porsi la scatola di plastica sigillata con al suo interno mochi di diversi gusti. Era la più economica che avevo trovato e, pur di prenderla, avevo sacrificato la mia porzione di pasti per qualche giorno. Avremmo condiviso i mochi insieme, almeno.

Aecha non rispose, io tenni gli occhi fissi sul coperchio trasparente della scatola che continuavo a porgere nella sua direzione. Non ebbi il coraggio di sollevare lo sguardo, fino a quando non fu proprio mia sorella a spezzare il ghiaccio.

«C'è qualcosa che non so?»

Non capii la domanda. Aggrottai la fronte, le sopracciglia si abbassarono e gli occhi fintamente apatici finirono inevitabilmente nei suoi. Erano lucidi, colmi di interrogativi, di una speranza ancora accesa e che io mai avevo posseduto.

«C'è un motivo se io sono così? Se noi siamo così?»

«Aecha...» abbassai il braccio e con esso anche la confezione di mochi colorati, «Noi non..»

«Ci meritiamo di essere soli?»

Feci cadere la confezione a terra senza rendermene conto, schiusi le labbra e con un movimento automatico portai le mani sulle spalle di mia sorella. Allineai il mio volto al suo, poco più in basso, e feci in modo di trasmetterle ogni singola goccia di sicurezza che a breve avrei tirato fuori con le successive parole, sperando che ci credesse più di quanto potessi fare io.

«Noi non meritiamo niente di tutto questo, tu non meriti di essere sola.» parlai scandendo ogni singola parola, dalla prima all'ultima, «Aecha, posso assicurarti che mai niente e nessuno sarà in grado di rubarti i sogni e che qualsiasi ostacolo si porrà davanti a noi lo supereremo insieme. Io e te, contro tutti gli altri, riusciremo a fare tutto ciò che desideriamo.»

Seguii con gli occhi una lacrima scivolarle dall'occhio destro. Poi ne scese una seconda, una terza e una quarta.

«Io e te.» ripetei con tono basso, quasi minaccioso. «Adesso non sono in grado di permetterti la frequenza scolastica, ma posso prometterti..» afferrai il suo viso, tenendolo tra le mie mani con una delicatezza inaudita. «Posso prometterti che un giorno ci riuscirai.» Affermai con fermezza, «Riuscirai a studiare, a lavorare, ad avere una famiglia e a fare tutto quello che vorrai fare. Io ti aiuterò a realizzare i tuoi sogni.» Annuii come se cercassi di convincere più lei che me stesso.

Avrei fatto di tutto per mantenere la promessa, a costo di rimetterci io stesso. Aecha era la mia priorità e, di conseguenza, anche i suoi sogni lo erano.

«Ci riuscirò?» Mi chiese tra le lacrime, la voce era incrinata, fragile. Era alla ricerca di sicurezze, aiuto e sostegno. Tutti elementi che cercava disperatamente in me, e io glieli avrei dati tutti e tre.

«Ci riuscirai»

Ci riusciremo.


𝐀𝐧𝐠𝐨𝐥𝐨 𝐀𝐮𝐭𝐫𝐢𝐜𝐞

Ciao! Come state?

Era da un po' che non scrivevo angoli autrice, credendo che non ce ne fosse bisogno. Preannuncio che nel prossimo capitolo ritorneremo al presente, quindi con questo concludiamo i vari flashback e approfondimenti dei personaggi principali.

Per chi non l'avesse capito, Yeosang a inizio capitolo sta passando gli ultimi istanti della sua vita e, prima di spegnersi completamente, l'ultima persona a cui pensa è sua sorella Aecha💔

Voglio che sia chiaro: eventi del passato non giustificano in alcun modo ciò che Yeosang ha fatto a Sooyun e agli altri, assolutamente no. Ci tengo inoltre a ricordare che ogni persona soffre nella vita, chi è cattivo oggi non significa che lo sia stato anche in passato e ci tengo anche che venga portato rispetto al piccolo Yeosang e, soprattutto, a sua sorella, la quale non ce l'ha fatta come già sapete.

Entrambi avevano dei sogni ed entrambi erano innocenti, ma la loro innocenza è stata spenta con la crudeltà, la violenza e l'ingiustizia. Hanno spento la vita di Aecha, ferendola fisicamente e psicologicamente davanti agli occhi di suo fratello, per poi rendere Yeosang un vero mostro, qualcuno di irriconoscibile, qualcuno di troppo debole per sopportare tanto dolore, fino a divenire a sua volta un criminale che non ci pensa due volte a far soffrire gli altri. Yeosang soffre di un disturbo mentale, che lo porta a non riuscire a distinguere la realtà dai fatti, arrivando persino a scambiare Sooyun per sua sorella, vedendo in lei la dolce ragazzina che non è riuscito a proteggere. Ripeto, è malato ma non per questo deve essere giustificato, così come non deve essere insultato pesantemente. In verità, non voglio vedere insulti pesanti per nessuno dei personaggi, cattivi o buoni che siano.

Spero di essere stata chiara e che il capitolo vi sia piaciuto❤ Fatemelo sapere con un voto nel caso!

Alla prossima,

Carly

Instagram: _carlyarmy_


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