Inferno
« E ci fu una battaglia nel Cielo: Michele e i suoi angeli combatterono contro il dragone. Il dragone e i suoi angeli combatterono ma non vinsero, e per loro non ci fu più posto nel Cielo. Il gran dragone, il serpente antico, che è chiamato diavolo e Satana, il seduttore di tutto il mondo, fu gettato giù: fu gettato sulla terra, e con lui furono gettati anche i suoi angeli. » (Apocalisse 12, 7-9)
Ve lo assicuro, è stata una cosa ridicola. Voglio dire, erano millenni che si aspettava quel giorno ed erano millenni che tutti sapevano che alla fine avrebbe vinto il Bene sul Male, la Giustizia sull’Iniquità e le solite tragiche opposizioni esistenziali. Cioè, io lo sapevo che sarei stato sconfitto, ma a dirla tutta non mi interessava neanche vincere, soprattutto perché non mi era molto chiaro quale sarebbe stato il premio. Anche adesso, non mi è molto chiaro. So solo che ho uno squarcio sulla schiena probabilmente molto profondo e probabilmente molto brutto da vedere e disgustoso da medicare, se a qualcuno venisse l’assurda idea di volermi medicare. Ho la bocca piena di sabbia, sento i granelli stridere tra i denti e per quanto sputi, la lingua resta vittima di una stoppacciosa melma salata.
Ho sempre odiato il mare, la salsedine che si sente libera di invaderti il respiro e trasforma i tuoi capelli in grovigli di liane anche se non li bagni, l’odore viscido delle alghe e di tutta la robaccia che vive dentro l’acqua. Ma d’altronde la mia sconfitta doveva almeno apparire umiliante, credo. E credo anche che il mio odio per l’acqua sia banalmente metaforico tanto quanto basta per dare soddisfazione alle schiere di santarellini che adesso festeggiano con nettare e ambrosia la fine di non so cosa e l’inizio di non so cos’altro. Sono fissati con il dare valore agli eventi, anche quando questi non ce l’hanno.
Era davvero un’eternità che io e Michele ci esercitavamo per questo teatrino. Ad essere sinceri, è stato anche piuttosto divertente, avremmo anche potuto metterci qualche pezzo cantato, non so, fare un musical, con tutte quelle ali di quei stupidi pennuti sarebbe venuta fuori una cosetta carina, forse un po' anni ’80, ma almeno sarebbe stato sbalorditivo. Non pensate che non l’abbia proposto, l’ho fatto. Ho ricevuto in risposta un’occhiataccia e a seguire una scrollata di spalle. L’occhiataccia mi era anche piaciuta, colma di rabbia e rimprovero e tutti i sentimenti più nobili facilmente dirottabili. Ma la scrollata di spalle era stata un colpo al cuore, un gesto così premuroso e squisitamente affettuoso. Michele è fatto così, con me non si arrende mai. Si, per la maggior parte del tempo vorrebbe spaccarmi la testa o tirarmi appresso qualsiasi cosa gli capiti a tiro, ma deve darsi un tono, è un Arcangelo, dopotutto. Un Arcangelo con una spada lungo il fianco che comanda una schiera di aureole animata da uno sbattere d’ali eccessivo, per i miei gusti. E anche troppo bianco, per i miei gusti. E anche troppa luce, quasi dovessero accecarti con la loro insulsa bellezza. Una bellezza pallida e piatta, così identica a se stessa che alla fine non riluce più.
Così, dicevo, io e Michele ci siamo allenati un bel po', abbiamo provato. Non voleva farmi troppo male, è proprio un angioletto. Io ti colpisco così, tu pari così, poi ti butto giù, eccetera. Ma dato che il suo piano non sarebbe stato condiviso dal suo esercito di buoni buonissimi, il tutto era una specie di segreto tra me e lui. Come se io potessi mantenere un segreto. Ovviamente no. Ovviamente i miei sapevano che era tutta una finta, un bello spettacolo, un show per uscire dalle scene con un bel botto. Michele voleva persino che io mi trasformassi in un dragone, ma per chi mi ha preso, per Mago Merlino? Prima cosa, le squame mi stanno malissimo. E poi non avevo intenzione di dargliela troppo vinta, a tutta quella maestosa bontà. Volevano sconfiggere le Tenebre? Beh, dovevano fare i conti con la bellezza delle Tenebre, volevo che lo ammettessero che infondo la Tentazione ce l’avevano tutti, nessuno escluso. A Michele non andava a genio la cosa, era entrato in fissa con quella profezia cretina dell’Apocalisse che parlava di un dragone, perciò mi dovevo trasformare in un dragone. L’ho mandato al Diavolo. Lui ha inarcato le sopracciglia bionde, praticamente bianche, su un volto eterno e perlaceo. Io sono scoppiato a ridere.
"Puoi concentrarti un attimo, almeno mentre organizziamo la fine del mondo, per favore?", mi ha detto con il tono più severo che gli è venuto.
Tanto per farvelo presente, Michele è veramente penoso con le finte. Non è colpa sua, ce l’ha dentro la sincerità, la bontà e tutte quelle cose che finiscono con l’accento sulla a. Per farla breve, abbiamo organizzato l’Apocalisse come si organizza un party in piscina. Ed è andato tutto abbastanza bene, in fin dei conti, se non consideriamo il fatto che adesso io sia steso moribondo con la faccia in mezzo alla sabbia su un lido sperduto di qualche parte del mondo. Oh, e il fatto che il mondo adesso sia l’Inferno, ma quello dal mio punto di vista è segno che le cose non solo sono andate abbastanza bene, ma aldilà di ogni mia più rosea aspettativa. Il fuoco, le fiamme e tutta quella cenere mi piacevano da matti, intendiamoci. Ma il cielo infondo mi mancava, e anche l’aria cominciava ad essere irrespirabile laggiù sottoterra.
Adesso voi dovreste essere disperati, perché la storia non è neanche cominciata e io già sto per morire. Ma vi prego, lasciate che io vi dia un consiglio spassionato. Auguratevi la mia morte. Invocatela. Pregate i vostri santi. Aizzateli contro di me. Chiedete al sangue di accelerare e di abbandonare il corpo che giace su questa spiaggia abbandonata da Dio e da tutti. Non temete di essere crudeli. La crudeltà è questione di punti di vista, ve lo assicuro. Volete una storia? Beh, ci sono milioni di storie nel mondo, perché sentire la mia? Infondo il mondo è finito, la Terra è stata trasformata in un covo di pirati della peggior specie, possiamo mettere il punto e far scendere il sipario. Certo, un sipario di fiamme. Ma che importa? Vi importa? Non c’è più niente a cui valga la pena dare importanza. È finita, rassegnatevi. I buoni hanno vinto e i cattivi hanno perso. Che altro volete? Cos’è, non vi fidate? Non voglio il Paradiso. Si, ho detto che il cielo mi mancava, ma intendevo dire che mi mancava guardarlo. Non ci starei mai lassù. Ci ho provato, ve lo giuro, ma è veramente una noia mortale. E considerate quanto sia praticamente impossibile che il nido dell’immortalità sia di una noia mortale. Mi va bene così, ho finto di essere stato sconfitto ma mi sono diplomaticamente arreso. Lo squarcio che ho sulla schiena non è molto diplomatico, ma Michele non è mai stato un granché a domare gli spiriti esaltati delle sue acquasantiere.
"Mi dispiace."
Ecco, ve lo presento di persona. Voce letteralmente angelica, biondi capelli al limite del bianco, tanta luce intorno alla testa, quasi ce l’avesse dentro, ali sempre in tensione, una tenuta bianca da soldato un tantino contraddittoria e la sua spada fosforescente che fa un po' troppo souvenir da night club.
"Si, lo vedo. Sei proprio addolorato", dico cercando di sollevarmi sui gomiti.
Dato che siete con il fiato sospeso per le mie condizioni vitali, voglio rassicurarvi: non morirò, sono immortale. Adesso potete accomodarvi in poltrona e dormire sonni tranquilli - e vi sto strizzando l’occhio ironicamente, per la cronaca. Michele conficca la punta della sua spada nella mia spalla sinistra e mi ributta giù. Urlo, anche se non vorrei, ma è un dolore che non ha niente a che vedere con la normale concezione del dolore.
"Se ti dico che mi dispiace è perché mi dispiace."
Tossisco nella sabbia mentre mi manca il respiro e il dolore aumenta. L’icore comincia a uscirmi dalla spalla, lo sento, denso e grumoso.
"Non so come mi sia venuto in mente di dubitare della cosa."
Lo dico ridendo. È una cosa che manda in bestia Michele, il modo in cui trovo ironicamente divertente la morte che non può prendermi.
"Sai che Gabriele non ti sopporta", dice estraendo la spada dalla mia carne sfrigolante. "Ho fatto del mio meglio per evitarti ferite peggiori."
Appoggio una guancia sulla sabbia e alzo gli occhi verso di lui. La sua fronte è solcata da una ruga profonda, e non è vecchiaia, nonostante i millenni che ha sulle spalle. Sorrido alla sua costernazione.
"E così è stato lui."
Mi guarda per un istante dritto negli occhi, poi distoglie lo sguardo. "Togliti quel ghigno dalla faccia, Mister Cattivo. Devi rimboccarti le maniche, c’è un Inferno da governare"
"Non credo di essere intenzionato a prendere ordini da te", ribatto con il sorriso che si spegne tra i granelli di sabbia che nel mio palato sanno di fango. Stavolta è lui a sorridere.
"Tu prendi ordini solo da te stesso, non è così?", domanda con un’aria un po' troppo sfrontata per i miei gusti.
"Già", replico seccamente. "Ma puoi scommetterci che governerò quest’Inferno, sai bene che nessun altro oltre me ne sarebbe in grado."
"Eccoti! Per un attimo ho temuto che la sconfitta ti avesse reso meno presuntuoso."
Si accuccia su di me, scompare dalla mia visuale, mi studia la ferita, sento le sue mani premere contro la mia carne, fa un male micidiale.
"Ti rimetterai", proclama solennemente tornando in piedi. Sulle sue dita c’è il mio icore, il mio sangue, dorato come il suo, nonostante tutto, e per un attimo la cosa sembra metterlo a disagio.
"Cos’è, il comandante delle schiere angeliche sviene alla vista di un po' di poltiglia divina?"
Mi serve uno dei suoi migliori sguardi colmi di compassione, perché lo sa che io la sua compassione la odio. Vorrei alzarmi, ma sento il corpo incollato alla sabbia, imprigionato nella fanghiglia schifosa che si è formata con il mio icore e la spiaggia bianca.
"Bene, mi sembri abbastanza in forma", dice con gli occhi dorati piantati su di me. "Mi chiedo perché mi sia mai preso la briga di venire a controllare di persona."
"Perché mi ami, fratello mio", rispondo socchiudendo gli occhi un attimo appena, per il dolore che si fa stranamente acuto lungo tutta la schiena. Michele distoglie lo sguardo e sorride guardando altrove. Ovunque, ma non verso di me.
"Avrei dovuto ammazzarti sul serio", dice senza essere molto credibile. Gli strizzo un occhio.
"Wow, sei veramente un ragazzo cattivo."
Torna a guardarmi ma non ride più. Anzi, è terribilmente serio. Ha una delle espressioni più solenni che gli abbia mai visto in faccia. Quasi fa diventare serio anche me, per un attimo.
"Non pensare che sia finita", dice con un tono un po' troppo saccente.
"Mi prendi in giro?"
Non mi risponde e distoglie nuovamente lo sguardo. Come se i miei occhi neri non gli fossero ancora abbastanza familiari, come se non riuscisse ancora a reggere il mio sguardo, dopo tutto questo tempo.
"Abbiamo fatto finire tutto, come voleva la tua idiota profezia! Mi hai fatto trasferire al piano di sopra e ti sei portato mezza umanità tra le nuvolette e i cherubini..."
"Le nuvolette non sono così affollate come pensi."
Sento il mio sguardo accendersi, lo sento bruciare, quasi ce le avessi dentro le fiamme che per millenni hanno bruciato intorno a me. Gli angoli della mia bocca si increspano, si sollevano fino a scoprire tutti i denti, fino a trattenere il più possibile una risata che alla fine esplode, proverei a soffocarla contro la sabbia se non mi desse tanto gusto sbattergliela in faccia. Michele mi fissa indispettito, ma ha una pazienza letteralmente infinita, mi lascia ridere. E rido per parecchio tempo.
"Mi stai dicendo che... ", inizio provando a riprendere fiato. "Mi stai dicendo che ho vinto io?"
Il suo sguardo vale più di mille risposte. Scoppio a ridere di nuovo. Faccio appello a tutte le forze che mi restano e riesco in qualche modo a stendermi su un fianco. Il movimento permette a qualche granello di immettersi nella mia ferita e di farla bruciare quasi fosse il male peggiore al mondo, ma non posso smettere di ridere. Ho vinto. Nonostante mi sia volutamente impegnato per perdere, ho vinto. Michele ha la faccia più buia che una creatura celeste possa mai avere.
"Ah, ci sei rimasto male?"
Non gli costerebbe niente darmi soddisfazione e ammettere la cosa. Ma lui invece tenta un sorriso cordiale, cordiale!, e scuote appena la testa.
"Le cose sono un po' più complicate di così", dice come un cane bastonato. Gli rido di nuovo in faccia.
"Lo so, l’umiliazione eterna brucia, eh?"
"Sei steso a terra in una pozza di icore, ti senti davvero vincente?", domanda alzando un sopracciglio aureo. Rido ancora.
"Oh, non sai quanto."
"E il tuo premio quale sarebbe? L’Inferno?"
"Non me ne importa niente del premio. Ho vinto, Michele. Ti rendi conto? Abbiamo preparato la mia sconfitta per anni, secoli, millenni, mi hai convinto a perdere, io volevo perdere. Invece ho vinto. Sai cosa significa?"
Il sorriso mi resta su ed io lo leggo nei suoi occhi: è un sorriso irresistibile.
"Si, so bene cosa significa. Tu lo sai?"
Il suo labbro si increspa, come quando sa che sta per darmi una lezione che io ancora non ho imparato, nonostante i millenni.
"Vai, elenca pure tutte le fregature che vuoi. Non mi interessano. Ormai è finita, tutto è finito! E ho vinto io."
"Non è finita", ripete di nuovo. Stavolta il suo tono è parecchio convincente, devo ammetterlo.
"Ma davvero? Sono tutti morti o tutti immortali, ormai non c’è più differenza. La vita e la morte non hanno più senso, non c’è più il tempo, né lo spazio. Non c’è più niente. O il tuo Dio ha in mente un’Umanità II la vendetta?"
"È anche il tuo Dio."
"Già, dicono così."
Michele si inginocchia di fronte alla mia faccia, le dita ancora macchiate del mio icore dorato.
"Forse hai ragione. Forse ormai non c’è più niente, ma a volte persino al niente va dato un senso. Quest’eternità che è appena cominciata è la pena che i tuoi dovranno scontare. E lo so che odi essere una pedina in un progetto più grande di te che neanche riesci a comprendere, ma so che farai quello che bisogna fare. Perché c’è qualcosa dentro di te che parla e ti guida, e tu non puoi fare niente per farlo tacere."
"Parli della coscienza, Michele? Perché la mia coscienza è andata in vacanza da un bel pezzo..."
"Parlo della tua luce."
La sola parola mi fa rabbrividire e provo a nascondere la cosa con un ghigno improvvisato.
"Ah si, dimentico sempre che dalle tue parti mi considerano un’adorabile piccola lucciola."
Mi aspetto un rimprovero per il modo irriverente con cui ho fatto riferimento ai piani alti, ma Michele è in vena di perle esistenziali al momento, non di rimproveri. La sua voce si fa bassa e profonda.
"Non scordarti chi sei."
Il ghigno mi muore sulle labbra. Tra la sabbia, l’icore e il dolore e una nuova eternità, a lui sembra fondamentale dirmi una stronzata colossale come questa. Si alza, mi guarda letteralmente dall’alto in basso per una lunga frazione di secondo prima di voltarsi e incamminarsi verso non so dove. Suppongo sia ora per lui di tornare alla tavola rotonda dei crociati di Dio. Nel tempo che impiega a fare pochi passi io riesco a tirarmi su, quasi a mettermi seduto, facendo forza sulle braccia. La salsedine mi ha incrostato la faccia e mi sento tirare la pelle dappertutto quasi dentro fossi cento volte più grande e non c’entrassi.
"Lucifero", mi chiama voltandosi di nuovo. I suoi occhi di un oro impossibile nei miei neri e profondi. "Fai il bravo."
Scommetto che può vedere il mio sorriso anche data la distanza che c'è tra di noi. Ma per sicurezza alzo il pollice. "Sicuro. Sarò un angioletto."
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