Capitolo 3

Imboccammo l'autostrada e seguimmo una grossa Range Rover nera. Il viaggio sembrava così lungo e mi sentivo maledettamente il terzo incomodo. Dawson guidava e manteneva lo sguardo fisso sulla strada senza mai distoglierlo a meno che non dovesse controllare gli specchietti retrovisori. Avevo sempre molta paura di guidare in autostrada in mezzo ai vari bestioni e Dawson invece sembrava così sicuro di sé nel sorpassare parecchie auto davanti a noi che lo guardavo come se fosse lui quello strano. Me ne stavo raggomitolata nei sedili posteriori a fissare la costa pacifica scorrermi sotto gli occhi, era un panorama magnifico. Amavo la California, ci ero nata e quel dettaglio mi rendeva più legata a lei come se non lo fossi già abbastanza; era la mia terra e avrei voluto perfino morirci un giorno. Jasmine teneva gli occhi bassi e la testa china sul cellulare.

«Potete cambiare stazione?» sbottai. Alla radio davano una musica punk che mi faceva sanguinare i timpani, non riuscivo a sopportarla e in più mancavano ancora una decina di minuti prima che arrivassimo alla nostra destinazione. Gli occhi di Dawson si puntarono nei miei attraverso lo specchietto retrovisore. Non seppi il motivo per cui i miei si trovavano in quel punto, ma fu una buona azione poiché in quel modo avevo attirato la sua attenzione e così avrebbe potuto togliere quella robaccia. Allungò il braccio e pensai che stesse per cambiare canzone, ma ciò che fece invece fu il contrario perché Dawson alzò il volume di quattro tacche.

«Davvero?» gli chiesi. «Fai sul serio?» continuai innervosita. Lui non mi degnò di una risposta e riportò entrambe le mani sul volante.

Affondai la schiena nel sedile e alzai gli occhi al cielo. Non ne potevo più di quel ragazzo. Mi stava esaurendo, per quanto mi sforzassi di non far notare quanto non mi piacesse respirare la sua stessa aria, lui faceva di tutto per farmi alterare.

«Jas potresti dire qualcosa al tuo ragazzo?» Come se si fosse risvegliata da un lungo sonno, la bella addormentata della mia migliore amica alzò il capo dal suo smartphone.

«Che ha fatto?» chiese voltando la testa verso i sedili posteriori.

«Non importa, puoi cambiare canzone questa roba mi sta uccidendo» mi lamentai portandomi le mani alle orecchie e alzando la voce. Ad un tratto, ancora con le mani alle orecchie, sentii che la musica era cambiata e aveva lasciato spazio ad una melodia pop. Capii che aveva fatto ciò che le avevo chiesto, così lasciai libero il mio udito e misi le mani sulle gambe.

«Grazie» le dissi rilassandomi.

«Fai sempre così?» mi rivolse la parola Dawson per la prima volta in tutta la serata. La sua voce risultò sfacciata e arrogante.

«Faccio cosa?» ribattei con tono di sfida.

«Ti lamenti sempre?»

«No, alterno. Certe volte mi lamento, altre invece vengo presa da un improvviso mutismo selettivo» spiegai tranquillamente. Quello che dissi era vero, spesso passavo dall'essere logorroica a non spifferare nemmeno una sillaba.

«Tu sei strana» dichiarò. Scosse la testa riportando la sua attenzione alla carreggiata.

«Tu sei strano» borbottai facendo pressione sulla prima parola.

«Smettetela di fare i bambini voi due, avete vent'anni e bisticciate come se ne aveste tre» ci riprese Jasmine leggermente irritata. Le sue parole ci misero a tacere, nemmeno una parola uscì dalle nostre bocche. Jas sembrava nostra madre, aveva il potere di interrompere le nostre liti ed era veramente insolito. Non avevo mai visto la mia amica comportarsi come se volesse prendere il controllo della situazione, ero abituata a vederla scatenarsi e comportarsi come se le cose più importanti al mondo per lei fossero un paio di tacchi dodici, o una borsa di Luis Vitton. La situazione stava degenerando, Jas non doveva fare la madre ed io e Dawson non dovevamo fare i bambini, ma sembrava tutto troppo complicato. Io e Dawson non avremmo mai smesso di punzecchiarci.

Arrivammo al bowling e parcheggiamo. Finalmente ero libera, stare nell'abitacolo mi aveva fatta sentire come se fossi stata rinchiusa in una gabbia. Scesi dal lato sinistro insieme a Dawson, fui presa di sorpresa quando avvicinò il suo viso al mio. La mia mano era pronta ad alzarsi e aderire perfettamente con la sua guancia. Se stava per baciarmi ne avrebbe subito le conseguenze ed io avevo così tanta voglia di colpirlo, anche se il cuore prese a battere ad una velocità incontrollabile. Stava per uscirmi dal petto, pulsava forte nella mia gabbia toracica che faceva addirittura male. Eravamo troppo vicini e questo aveva un brutto effetto su di me, ma non ebbi il coraggio di allontanarmi.

«Questa volta mi sa che siamo stati presi entrambi dal mutismo» mi disse a bassa voce e potei sentire il suo respiro sul collo. La sua altezza mi sovrastava e mi faceva sentire terribilmente piccola e indifesa. Nascosi un sorriso e strinsi le labbra in un'unica linea, non gli avrei mai dato la soddisfazione di aver detto qualcosa di divertente. Il mio cuore riprese a battere ad una velocità normale, non aveva intenzione di baciarmi.

«Levati di torno» lo schernii allontanandomi a grandi falcate da lui.

Raggiunsi Jas che si stava sistemando la gonna, probabilmente le si era girata durante il tragitto. Mi sentii profondamente tranquilla ad essere vicino alla mia amica, in questo modo non avrei potuto intrattenere un'altra stupida conversazione con il suo ragazzo. Dawson restò dietro di noi e fui grata a qualsiasi corpo celeste che lo abbia tenuto a debita distanza. Non ero credente al cento per cento e non andavo a messa tutte le domeniche, ma credevo in qualcosa, anche se non sapevo bene di che si trattasse. Entrammo nell'edificio, la moquette era marrone e copriva tutto il pavimento, le pareti erano avorio. C'erano parecchi videogiochi qua e là, molti bambini correvano da una sala all'altra urlando e ridendo.

Ritirammo le scarpe dopo esserci messi in fila e ci dirigemmo verso una pista. Dawson registrò i nostri nomi sulla tastiera e successivamente prese una palla di circa sei chili incastrandoci le dita. Si avvicinò alla corsia e la lanciò; sfortunatamente la palla colpì un solo birillo mentre tutti gli altri rimasero in piedi. Trattenni una risata, vederlo perdere era troppo divertente. Fece il secondo tentativo dove la palla non colpì nulla e scivolò a lato. Arrivò il mio turno. Non avevo mai giocato a bowling in tutta la mia vita, però sapevo qual'erano le regole del gioco. Mi avvicinai alla guida e presi una delle palle, la più leggera, e di conseguenza avanzai per tirarla. Non mi interessava molto fare una buona partita e giocare bene, quella sera l'unico mio obbiettivo era che la serata passasse in fretta in modo che sarei potuta tornare al più presto al mio grazioso appartamento. Senza Dawson.

Dopo aver tirato mi voltai dando le spalle alla pista e tornai indietro. Quando notai l'espressione che aveva in viso la mia amica e il suo ragazzo inarcai un sopracciglio.

«Perché quelle facce?» li indicai col dito.

«El hai appena fatto strike!» urlò entusiasta Jas. Girai la testa, avevo buttato giù ogni birillo. Giuro che non ci avevo mai giocato.

«Bravissima Shelley» esaltò allacciando le braccia intorno al mio collo. Io però ero ancora sconvolta, avevo fatto strike. Una strana sensazione si fece largo in me: mi stavo divertendo e la cosa più strabiliante era che lo stavo facendo in compagnia di Dawson e Jas. Mi sentii improvvisamente orgogliosa del mio favoloso tiro e iniziai a ricredermi sulle mie doti nel bowling.

Toccò alla mia amica, che stese otto birilli. Le diedi il cinque e il giro ricominciò. Dawson prese una boccia e mi lanciò uno sguardo di fuoco colpendomi dritta al petto e alla mente.

«Guarda e impara» asserì. Si incamminò con il petto in fuori, sicuro di sé pronto a lanciare. Incrociai le braccia al petto godendomi lo spettacolo, i miei occhi bramavano di vederlo fallire. Piegò le gambe e mosse il braccio, dove teneva la palla, avanti e indietro. Ammirai ogni centimetro del suo corpo, i jeans aderivano perfettamente alle sue gambe e i suoi bicipiti erano così muscoli... era sexy e ormai era impossibile non ammetterlo. Il suo carattere era orrendo, ma almeno compensava in alto.

«Oh mio Dio!» strillai agitandomi. Per lo spavento Dawson tirò la boccia che non colpì nessun birillo.

La mia fu una specie di vendetta per il dispetto che mi aveva fatto quando eravamo in macchina. Gli avevo fatto luce su quanto non sopportassi quella musica, ma lui aveva alzato il volume ignorandomi. Il minimo che potessi fare era vendicarmi.

«Che problemi hai El?» posizionò le mani lungo i fianchi la mia amica.

«Mi è sembrato di aver visto qualcosa dal lucernario» mentii.

Passai una mano tra i capelli, dovevo risultare intimorita ed entrare nella parte. Avevo fatto una cazzata ad urlare solo per farlo sbagliare, ma ormai era fatta e non potevo tornare indietro. In più non c'era nessun lucernario e Dawson se ne era accorto.

«Non è vero, non c'è nemmeno un lucernario qui» aprì le braccia al vento Dawson.

«Si è inventata tutto per farmi sbagliare» proseguì rivolgendosi alla sua ragazza. Jasmine era così stanca che restò in silenzio ad ascoltarci.

«È brutto da parte tua pensare che sia in grado di fare una cosa simile» mi appoggiai una mano sul petto fingendo di essere ferita dalle sue parole.

«Sono sicuro sai fare di peggio» sputò con tono acre.

«Tu soffri di manie di protagonismo» gli puntai un dito contro mentre la collera scorreva nelle mie vene. Non mi conosceva, non sapeva se sarei stata in grado di fare di peggio e invece era così certo di sapere chi aveva davanti.

«Piantatela» intervenne Jasmine.

«Non è colpa mia se è una rompi palle» si passò una mano sotto al mento sfregando il leggero strato di barba.

«Dawson chiudi il becco» gli ordinò.

«Com'è bella questa frase» dissi.

«El taci.» «Sapevo che non avrebbe portato niente di buono quest'uscita» borbottò ed io le diedi il cinque mentalmente. La pensavo esattamente al suo stesso modo. Non ero minimamente emozionata ad uscire insieme a loro, in più avrebbero potuto fare la coppietta felice ed io mi sarei rilassata a casa a guardare Netflix. Dopotutto avevo stretto un patto e l'avrei rispettato. Avrei dimostrato a Jas quanto fosse idiota il suo nuovo ragazzo.

«Vado in bagno, non uccidetevi nel frattempo» ci avvertì. Spostò gli occhi da me al suo ragazzo per assicurarsi che al suo ritorno ci trovassimo nella stessa posizione. Ci lasciò soli.

«Questo è giocare sporco, non vale» mi fulminò Dawson ancora a qualche metro da me.

«Dipende cosa intendi tu per giocare sporco» gli diedi corda. In fondo mi piaceva dargli fastidio e stava quasi diventando il mio passatempo preferito negli ultimi giorni. Dawson aveva spezzato la monotonia nella mia vita, non mi capitava spesso di fermarmi a discutere con la gente e da quando l'avevo incontrato lanciargli continuamente frecciatine mi entusiasmava.

«Stupida ragazzina» scosse la testa e mi sentii malissimo quando lessi nel suo viso l'opinione che aveva di me. Per lui ero una semplice ragazzina che non faceva altro che rompergli le scatole, ma io non ero nulla di tutto quello e gli avrei dimostrato con chi aveva a che fare. Presi un respiro profondo e mi avvicinai minacciosamente a lui accorciando la distanza tra noi. Nonostante la differenza di altezza riuscii a guardarlo dritto negli occhi, da questi non riuscivo a captare niente, erano un semplice paio di occhi verdi e potevano essere di chiunque, perché non c'era niente nel suo sguardo che mi facesse ricordare che fossero i suoi.

«Io non sono stupida e non sono nemmeno una ragazzina» scandii bene le parole.

Doveva capire che non aveva il diritto di prendersi gioco di me, non ero una bambola di pezza, ero una persona e volevo essere trattata da tale. Lui era solo il ragazzo della mia coinquilina, non era mio amico, per me era nessuno. Il nulla.

«Tienilo a mente.» I suoi occhi erano ancora nei miei ed era come se ciò che avevo detto non aveva avuto nessuna ripercussione su di lui. Mi dava la sensazione di aver parlato al vento, ma era per il suo bene portarmi rispetto perché se solo avesse dichiarato guerra avrei utilizzato le mie armi migliori per farlo fuori. Sperai che i suoi neuroni stessero lavorando, così mi sarei sentita meno idiota a parlare con qualcuno che non voleva intendere.

«Ora se non ti dispiace vorrei finire la partita» mi inumidii le labbra, «O per meglio dire vincerla.»

Feci qualche passo indietro lasciando un largo margine di distanza tra i nostri corpi. Mi guardava sorpreso, quasi come se apprezzasse la mia audacia nel sbattergli in faccia ciò che pensavo.

«Bel tentativo Mitchell, ma il vincitore di questa partita è già stato scritto» rise. Il suono della sua risata sembrava così vero e genuino che non potei trattenermi dal sorridere. Mi appagava sentirlo ridere, mi appagava come nessun altra cosa al mondo.

«Da chi sentiamo?» mossi la mano destra incitandolo a continuare.

«Da me» rispose ovvio mettendo in mostra i denti.

«Solo i fatti diranno chi è il più bravo» inclinai il viso verso destra.

«Non mi sembri molto convinta di quello che dici» disse.

«Giuro che ti faccio il culo Hale.» I miei obbiettivi erano cambiati, volevo stracciarlo e vincere quello stupido match. Sapevo quanto fossi scarsa, ma la voglia di vederlo perdere era più forte e ormai, su di me, aveva la meglio.

Mi accorsi dell'arrivo di Jasmine e smisi di parlare con Dawson. Non volevo ci beccasse a parlare.

«Com'è possibile che siete sempre a discutere? Non potete comportarvi da persone adulte e parlarvi senza sbranarvi o quant'altro?» gemette.

«No» rispondemmo all'unisono io e Dawson.

«Smettila di dire quello che dico io» dichiarai e lui non replicò.

La partita proseguì senza interruzioni. Tra i tre aveva vinto Jasmine, io e Dawson avevamo continuato a farci dispetti e a svantaggiarci a vicenda, mentre la mia amica guadagnava punti e ci invitava a smetterla. L'attenzione di tutti era su di noi, i giocatori della corsia vicino alla nostra ci guardavano come se fossimo dei pagliacci. Dopotutto non stavamo facendo niente di male, eravamo semplicemente in competizione. La gente non riusciva mai a farsi gli affari suoi e proprio per questo una volta finita la partita ce ne andammo. Non avevamo più voglia di giocare e iniziare altre partite non aveva minimamente senso.

«Alla fine ho vinto io e troppo impegnati a infastidirvi vi siete persi il divertimento.»

«Beh, diciamo che abbiamo tentato di divertirci» sorrisi lanciando uno sguardo a Dawson. Teneva lo sguardo basso, aveva le mani in tasca e si muoveva il silenzio come se stesse pensando a qualcosa. Era completamente assorto nei suoi pensieri. Lo guardai per pochi secondi e poi riportai i miei occhi su Jasmine.

«Vi va un hot dog?» chiesi mentre uscivamo dall'edificio.

«Sì» annuì Jas.

«Dawson tu che ne dici?» Lui alzò lo sguardo da terra ed entrò nella conversazione –iniziata da tempo-, si passò una mano fra i capelli e portò attenzione alla sua ragazza.

«Va bene» rispose lui facendo guizzare gli occhi verdi su di me. Continuai a guardare davanti a me, come se non sentissi il suo sguardo bruciarmi addosso.

Lasciammo l'auto nel parcheggio e ci incamminammo alla ricerca di qualcuno che vendesse hot dog per la strada, e come se lassù qualcuno mi avesse ascoltata, una volta girato l'angolo i miei incontrarono un camion costeggiato sulla strada che vendeva churros, tacos e altre prelibatezze simili. Accelerai il passo e mi avvicinai. Non riuscii a vedere il bancone così feci due passi indietro.

«Vorrei tre hot dog» dissi al signore con il grembiule bianco.

«Certo signorina» mi sorrise l'uomo che più o meno poteva avere trent'anni.

«Offre la tua coinquilina?» sentii la voce di Dawson alle mie spalle.

«Non lo so, non credo» enunciò Jasmine rispondendo alla sua domanda.

«Si da il caso che la sua coinquilina non ha la minima intenzione di offrire la cena al primo che passa» mi voltai.

«Quindi io sarei il primo che passa?» domandò ridendo.

«Forse» mormorai.

«È assurdo» dichiarò.

«No, è assurdo che io sia a qui a sprecare fiato con te» gli diedi le spalle tornai ad aspettare il mio hot dog.

Aspettammo qualche minuto quando ci venne servita la nostra ordinazione.

«Ecco a voi» sorrise gentilmente.

Alzai le punte dei piedi per riuscire ad afferrare ciò che mi stava porgendo, ma non riuscii a raggiungere un'altezza sufficiente. Sentii due mani posarsi sulle mie spalle, facendomi abbassare e toccare i piedi al suolo. La mia pelle coperta da una semplice maglia in cotone bruciò sotto al suo tocco, mi sentivo come se fossi stata al sole per troppo tempo e mi fossi scottata, solo che era dieci volte più forte di una semplice scottatura. Alzai la testa e incontrai i suoi occhi verdi, quelli che non avrei mai riconosciuto, ma che in quel momento sapevo a chi appartenessero. Le mie gambe erano leggermente tremolanti, ma riuscii a trovare un briciolo di autocontrollo. Dawson prese gli hot dog e me ne porse uno, poi ne diede un altro a Jas. Tirò fuori il portafoglio e diede una banconota di venti dollari all'uomo. Fui ancora scossa per poter dire qualcosa di sensato e l'unica cosa che fuoriuscì dalle mie labbra fu brusca.

«Potevo farcela anche da sola» strinsi gli occhi in due fessure e feci una smorfia.

«Non ne ho alcun dubbio» esalò serio, senza alcun accenno a una presa in giro.

Piegai le gambe e mi sedetti sul marciapiede beccandomi gli sguardi confusi dei miei pseudo amici. Li ignorai e strinsi fra le mani il mio hot dog, gli diedi un morso e chiusi gli occhi. Amavo il cibo da strada, quello chiamato anche cibo spazzatura; ma per me era molto di più che spazzatura: amavo il ketchup unito ad un wrustel grigliato e a due fette di pane tostato. Il cibo era il mio unico vero amico, non mi tradiva mai ed era sempre lì quando ne avevo bisogno.

«È così buono» mugugnai dopo aver deglutito un gran morso. Aprii gli occhi e notai che né Jasmine, né Dawson avevano ancora iniziato a mangiare il loro hot dog.

«Alzati da terra» mi ordinò senza battere ciglio. La luce di un lampione rifletteva sul suo viso e lo rendeva ancora più bello di quanto non lo fosse già.

«Non mi dire cosa devo fare» contestai.

«Nessuno è seduto su un cazzo di marciapiede a mangiarsi il suo fottuto hot dog» alzò la voce.

«Allora io voglio essere nessuno» obbiettai infastidita dai suoi toni.

«El per favore, non è igienico» intervenne Jas. Mi sentii messa con le spalle al muro.

«Sai quanti batteri ci sono nel tuo PC? Bè molti, però continui a premere ogni singolo tasto fregandotene. Ora lasciatemi stare e fatevi un giro» diedi un altro morso.

«Avanti Mitchell smettila, alzati e poi andiamo a casa» Dawson tentò di farmi issare.

«Per chi mi avete presa, non sono mica il vostro cagnolino da portare a spasso.»

Calò il silenzio, pensai che si fossero stancati di provare a farmi cambiare idea. Continuai a mangiare il mio panino in tutta tranquillità fin quando la voce di Dawson mi interruppe.

«Alzati cazzo!» sbottò.

Mi sentii violata e forzata. Contro la mia volontà mi alzai in piedi non volendo attirare l'attenzione, diedi un ultimo morso al mio panino e mi incamminai verso la macchina. Ero furiosa per come la mia migliore amica gli aveva permesso di parlarmi in quel modo, ero furiosa per come io gli avevo permesso di farlo. Io volevo stare seduta su quel marciapiede, ma a loro in quel momento non interessava quello che volevo. Non mi piaceva la sua compagnia, mi stava influenzando e in più tutte le mie sicurezze sembravano sgretolarsi. Tirava fuori la parte più brutta di me e non mi andava bene.

«Aprite la macchina e portatemi subito a casa» ordinai. Dawson tirò fuori dalla tasca dei pantaloni le chiavi, premette il pulsante e sbloccò l'auto. Percepii i suoi occhi su di me, mi stava scavando l'anima e non capii come diavolo aveva fatto a farmi cedere.

Feci un respiro profondo, spalancai lo sportello e mi infilai nell'abitacolo.

Odiavo non essere uscita con la mia macchina, me ne sarei potuta andare da chissà quanto tempo e invece ero ancora là a sopportare le loro stronzate. Mise in moto, rilasciò la frizione e schiacciò sull'acceleratore. Il tragitto verso casa fu più silenzio del primo. La sera era calata e le stelle brillavano in cielo insieme alla luna, non vedevo l'ora di rientrare nel mio appartamento. La macchina si fermò. Eravamo arrivati. Afferrai il portafogli dalla borsa, ne estrassi cinque dollari e li allungai a Dawson.

«Non voglio i tuoi soldi» disse leggermente afflitto. Tenni lo sguardo basso, non riuscii a guardarlo in faccia. Volevo solo che sparisse.

«Prendili, è la mia parte.» Non mi ascoltò, dopotutto non faceva mai quello che gli chiedevo, così li lasciai cadere.

«Mi dispiace, non volevo essere stronzo» confessò.

«Ficcati le tue schifose scuse su per il culo» scesi dalla macchina e sbattei lo sportello con tutta la forza che avevo. Riuscii a sentire Jas dire lui:«Non ti preoccupare, le parlerò io.»

Qualche secondo dopo scese anche Jasmine e capii che se ne era andato quando udii le ruote della sua auto sgommare sull'asfalto e lasciare solo il ricordo di una serata finita male. Sentivo adrenalina e rabbia crescere in me. Dawson Hale aveva dichiarato guerra e guerra sarebbe stata.

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