Capitolo 2

Eravamo distese sul divano, con il condizionatore acceso che rinfrescava tutta la casa. Faceva troppo caldo. La mia fronte e la mia schiena erano imperlate di sudore, non sapevo più cosa fare per combattere l'afa.
Mi sventolai un giornale davanti alla faccia, in modo che potessi eliminare le goccioline sulla mia pelle. Jasmine non era minimamente toccata dalle temperature alte, era così abituata al caldo che non notava nemmeno il cambio di stagione.

«Come diavolo fai?» le chiesi smettendo di agitare la mano.

«A fare cosa?» si voltò verso di me.

«A startene così tranquilla, come se non ci fossero quaranta gradi all'ombra» aprii le braccia al vento. Non avevo la voglia e la forza di fare nulla, poiché il caldo mi trasmetteva stanchezza. Amavo l'estate, ma il caldo non riuscivo a tollerarlo in nessun modo. Era il mio acerrimo nemico e le mie uniche armi per combatterlo erano il ventilatore e il condizionatore.

«Sto bene così» alzò le spalle.

Restammo a guardare per l'ennesima volta le pagine della nostra vita. Quel film era spettacolare, in più Ryan Gosling pareva fosse nato per recitare; ogni sua parte era carica di espressioni facciali dove entrava perfettamente nella parte. Nel mentre pensavo a quanto fosse dotato, la voce di Jas mi distolse dai miei pensieri.

«El devo parlarti di una cosa» proruppe afferrando il telecomando e premendo il tasto stop. Era stata abituata così in casa sua, quando si aveva la necessità di parlare di argomenti importanti ci doveva essere assoluto silenzio e questo mi diede la possibilità di intuire che quello che stava per dirmi era rilevante.

La sera prima, una volta che aveva fatto ritorno dalla casa del suo ragazzo mi aveva chiesto di raccontarle cosa era successo in sua assenza e così le avevo detto quanto fosse stato antipatico, scorbutico e maleducato nei miei confronti. Avevo volontariamente tralasciato il dettaglio che ci fossimo già incontrati, non volevo si facesse strane idee. La informai del mio dispiacere nel sapere che mi aveva mentito, nascondendomi di avere una relazione, ma lei si giustificò dicendomi di non aver trovato il momento giusto per farmelo presente. Le chiesi da quanto tempo andava avanti quella storia e mi rispose:«Da un paio di settimane.» Voleva dire che quando io e Dawson ci eravamo incontrati, lei era la sua ragazza da un bel po' e me lo aveva nascosto per tutto quel tempo. Ero la sua migliore amica e sapere cosa accadeva nella sua vita mi faceva sentire speciale. Sapevo tutto di lei, della sua famiglia, dei suoi problemi e lei altrettanto. Jasmine era parte integrante della mia vita e ne faceva parte fin da quand'ero piccola. I miei genitori la consideravano come una seconda figlia, le volevano molto bene quasi quanto ne volevano a me.

«Di che si tratta?» le chiesi.

«Abbiamo entrambe constatato che tu e Dawson non siete partiti con il piede giusto» fece una pausa come se stesse riflettendo su cosa dire successivamente.

«E...» la incitai a continuare, non capendo dove voleva andare a parare il suo discorso. Storsi il naso al solo sentire il suo nome, non volevo sentir parlare di lui per almeno dieci anni; almeno finché non sarei diventata vecchia e  mi sarei dimenticata persino il mio nome, figuriamoci se mi sarei ricordata di quel Dawson. Non sopportavo il fatto che desse continuamente l'impressione di aver il petto gonfiato di orgoglio per se stesso.

«Vorrei che diventaste amici.» La guardai scettica. Era come se avesse bestemmiato, non avrei mai e poi mai fatto amicizia con quell'idiota, in più lo odiavo così tanto che stare nella stessa stanza con lui senza avere le mani che formicolavano per la voglia di colpire quel bel faccino sarebbe stato impossibile. Era così sfacciato da alterare il mio umore, rendendomi nervosa e agitata. Non sarei mai stata sua amica.

«Scordatelo» le dissi scandendo bene le lettere della parola. Volevo che il mio disappunto fosse evidente.

«Siete due persone importanti per me e vorrei che andaste d'accordo, sarebbe triste dovermi dividere o addirittura scegliere uno dei due» proseguì guardandomi dritta negli occhi.

«Non ti sto chiedendo di scegliere, per me puoi stare con chi vuoi, solo che non deve venire a casa quando ci sono anch'io. Semplice» le spiegai. Jasmine poteva frequentare chiunque, ma non mi andava giù che quel chiunque iniziasse ad entrare nella mia quotidianità. 

«El, si tratta di uscire qualche volta insieme. Non è così male, come può sembrare» tentò di farmi cambiare idea, ma io avevo i piedi piantati e non avevo intenzione di cedere.

«Forse è anche peggio» borbottai. Incrociai le braccia al petto e spostai gli occhi sullo schermo del televisore in pausa.

«Sono sicura che quando lo conoscerai cambierai idea su di lui» affermò con tono sicuro. Come faceva ad essere così sicura che fosse un bravo ragazzo? Non lo conosceva da anni e non credevo sapesse così tanto di lui dato che non pareva essere un tipo molto socievole e disposto alla conversazione. I suoi occhi verdi erano coperti da un velo che non lasciava trasparire nulla, sembrava intoccabile, in grado di non provare emozioni. Aveva un muro che lo divideva dalla realtà e non sopportavo l'idea di non riuscire a poterlo inquadrare. A momenti era scontroso, sfacciato e menefreghista; altri invece era gentile.

«Mi spieghi che fine hanno fatto i tuoi standard?» alzai entrambe le sopracciglia.

Jas era molto pignola in fatto di ragazzi, se non avevano determinati requisiti non potevano nemmeno avere un appuntamento con lei; in più conoscevo bene quali erano le caratteristiche che pretendeva e Dawson non ne rispettava nemmeno una; bè, forse una la rispettava: era bello e scommetto che Jas apprezzasse seriamente il suo aspetto.

«Dawson è un bravo ragazzo» replicò seria.

«Non ne sono così sicura» ribattei.

«Te lo dimostrerò» incrociò le braccia al petto.

«Va bene, dimostrami che non è uno stronzo e allora a quel punto dirò che avevi ragione» contrattaccai.

«Perfetto» sorrise raggiante.

Credeva di avermi in pugno, era convinta che le avrei detto che mi sbagliavo, ma io sapevo che Dawson non sarebbe mai stato carino, almeno non con me. Si era presentato nel peggiore dei modi ed io non avevo intenzione di farmi prendere in giro da quell'essere.

«Grazie» disse poi.

«Figurati, comunque lo faccio solo perché so di avere ragione e voglio provartelo» farfugliai.

«Spiritosa» mi diede una pacca dietro la testa.

«Ahia!» mi lamentai.

«Te lo sei meritata» constatò.

«Comunque dovremmo andare a fare la spesa, siamo rimaste senza cibo» affermò.

«Già, facciamo un salto e andiamo con la tua macchina» le dissi pero poi alzarmi in piedi. Spensi la TV.

Parcheggiammo da Wallmart ed entrammo. Prendemmo tutto ciò che ci mancava: latte, uova, bacon, succo di frutta e del pane. Un'ondata di freddo ci pervase una volta superate le porte scorrevoli. Il motivo per cui amavo andare a fare la spesa in estate era che una volta entrata nell'edificio il caldo spariva e lasciava spazio al fresco, soprattutto quando si attraversava la corsia dei surgelati e dei frigoriferi. Pagai con la mia carta di credito, poiché la volta prima aveva pagato Jas. Uscimmo dal negozio e i raggi del sole mi colpirono la pelle riscaldandola in meno di cinque minuti. Imboccammo la superstrada e tornammo al nostro appartamento. Fortunatamente non c'era traffico, la carreggiata era libera e in quel modo potemmo arrivare a casa senza metterci molto.

Rimanemmo sorprese nel vedere che c'era un macchina parcheggiata davanti all'ingresso. Jasmine fermò la macchina sul ciglio della strada al lato opposto della Ford e si tolse la cintura. Allungò il busto verso i sedili posteriori per prendere la spesa, me la posizionò sulle gambe e scese dalla macchina dopo aver sfilato le chiavi dal quadro.

Potei vedere dal finestrino chi era il conducente di quell'auto e capii in un lampo di chi si trattava. Alzai gli occhi al cielo, aprii lo sportello, afferrai i sacchetti contenenti la spesa e dopo aver guardato a destra e a sinistra attraversai la strada. Jasmine era davanti a me e teneva le mani in tasca. Camminava con disinvoltura come se fosse al centro dell'universo.

«Jas potresti darmi una mano?» sbottai infastidita.

Mi ignorò completamente e si concentrò su Dawson, quest'ultimo uscì dall'abitacolo e ci raggiunse. Avrei voluto mollare tutto e correre via lasciandoli soli, ma sarebbe stato un comportamento da fuori di testa e ancora non lo ero.

«No, ecco Dawson» disse a me, poi si rivolse a lui:«Potresti dare una mano a El?»

«Dipende se El vuole che io le dia una mano» rispose facendo pressione sul mio nome. Mi piaceva il modo in cui lo diceva, il modo in cui usciva dalle sue labbra, solo che non doveva affatto piacermi perché lui era Dawson: uno stronzo che pensava solo a se stesso.

Lo squadrai bene. Indossava un paio di jeans cargo color cachi e una semplice t-shirt bianca. Una qualità, che di certo non gli mancava, era lo stile. Non portava abbiti troppo eleganti o eccessivi, restava sempre nel casual e questo gli fece guadagnare un punto. Per Jasmine, ovviamente.

«Ce la faccio anche da sola» sibilai sorreggendole con forza. Li sorpassai. Il portiere aprì le lastre in vetro permettendomi di passare. Lo ringraziai con un cenno del capo. 

Oltrepassai la hall e mi fermai davanti a un ascensore. Premetti il pulsante chiamandolo. Sentii la presenza della coppia alle mie spalle, ma finsi di non averli attorno. Passarono alcuni minuti e l'ascensore non arrivò.

«Sei sicura di aver premuto il bottone?» mi chiese Dawson.

«Sì» borbottai stringendo tra le braccia le borse piene. Non avevo bisogno dell'aiuto di nessuno, ce l'avrei fatta da sola a portare al mio appartamento due semplici sacchetti di spesa. L'ascensore arrivò e mi ci fiondai all'interno, Dawson mi seguì e quando mi voltai mi accorsi che la mia amica era ancora fuori.

«Voi andate intanto, io devo sbrigare una faccenda alla reception» disse per poi premere il pulsante e chiudere le porte. Non feci in tempo ad esprimere il mio disappunto perché era troppo tardi per poterlo fare. Allungai il braccio e schiacciai il tasto numero dieci.
Il profumo di Dawson di dopobarba mi arrivò dritto alle narici inebriandomi. Trattenni il respiro, non potevo sopportare di ammettere che avesse un buon profumo, sarebbe stato troppo per me. 

Sostenni le borsette il più possibile, quando purtroppo quest'ultime cedettero e si spaccarono alla base creando un grosso foro e così facendo, tutta la spesa cadde per terra sul pavimento dell'ascensore. Spalancai bocca e occhi. Tra le braccia avevo solo la plastica che qualche secondo prima raccoglieva le mie compere.

«Cazzo» imprecai a bassa voce abbassandomi all'altezza delle gambe lunghe di Dawson. Aprii la borsa tracolla tentando di infilarci qualcosa, solo che la piccolezza di essa non rendeva possibile l'ingresso a una semplice bottiglia di latte, figuriamoci tutta la spesa. La richiusi e afferrai con le mani più cose possibili.

«Serve aiuto là sotto?»

«No, grazie» sbottai afferrando il sacchetto di pane, solo che una volta preso mi scivolò la confezione di bacon dal braccio sinistro. Tirai un forte sospiro esasperato. Necessitavo il suo aiuto, ma non lo avrei mai ammesso. Troppo orgogliosa provai vari tentativi nell'afferrare ogni cosa senza farla cadere, ma fallii miseramente tornando al punto di partenza. Ad un certo punto con la coda dell'occhio vidi le gambe di Dawson piegarsi e capii cosa stava per fare, ma non lo fermai. Iniziò ad afferrare un po' di prodotti e sentii i suoi occhi su di me. Impugnai più roba possibile e mi sollevai in piedi. Lui mi seguii a ruota e non smise per un secondo di guardarmi. Tenni lo sguardo fisso davanti a me.

«Smettila di fissarmi» gli ordinai.

«Altrimenti?» mi sfidò.

Non risposi subito, preferii fargli pensare di aver vinto e di avermi messo a tacere.

«Altrimenti giuro che ti faccio castrare» mi voltai. I miei occhi marroni incontrarono il verde dei suoi.

«Da una ragazzina?» rise di gusto. Fui infastidita dall'appellativo che mi diede per la seconda volta. Ero consapevole di avere una statura che mi facesse sembrare una ragazzina di dodici anni, ma le mie forme potevano dire il contrario.

«No, da un veterinario» spostai gli occhi sulla porta che si aprì e ringraziai Dio mentalmente.

Mi avviai svelta alla porta del mio appartamento lasciandomelo alle spalle, infilai la chiave magnetica e la tenni aperta sapendo di averlo alle calcagna. 

«Dove metto la spesa?» domandò.

«Seguimi» mormorai e suonava seriamente male. Tossicchiai tentando di rompere l'imbarazzo creatosi. Fece come gli dissi, giungemmo in cucina e appoggiai tutto sul bancone. Dawson mi imitò e si sedette su uno sgabello davanti a me.

«Vuoi un caffè?» gli chiesi con un sorriso falso.

«Sì» il suo viso mutò in espressione compiaciuta, piacevole.

«Era una battuta, se vuoi te lo fai» dichiarai impassibile.

«Stronza» mi apostrofò.

«Questa è la seconda volta che me lo dici e devo dire che mi fa lo stesso effetto» adagiai la schiena al lavello.

«E quale sarebbe l'effetto?»

«Continua a non fregarmene un cazzo di quello che pensi di me» lo zittii e non aprì bocca per un bel pezzo.

Aprii gli stipetti e sistemai la spesa. Sentii i suoi occhi bruciarmi sulla pelle, provocandomi mille brividi. Non dovevo e non volevo provare quelle sensazioni. Dawson era il ragazzo della mia migliore amica e in più non era nemmeno un granché come persona. Non dovevo e non volevo provare una simile attrazione nei suoi confronti. Gli diedi le spalle mentre mi alzai sulle punte per raggiungere una mensola alta, ma non riuscii in ogni caso ad arrivarci; perciò presi uno sgabello e ci salii sopra facendo attenzione a non cadere.

«Ora se più alta di me» disse.

Risi alle sue parole. Iniziai a ridere di gusto mentre gli davo le spalle, dovetti appoggiare entrambi le mani su una mensola in modo da sostenermi. Stavo ridendo forse troppo, ma non mi interessava perché mi stavo divertendo come non mai. Era passato un po' di tempo da quando non ridevo in quel modo, è vero anche che non ne avevo avuto il motivo.

«Di cosa ridete?» fece il suo ingresso nella stanza Jasmine. Serrai le labbra smettendo di ridere. Avrei voluto dirgliene tante per avermi lasciata sola in ascensore con il suo -antipatico- ragazzo, invece me ne restai zitta. La situazione era abbastanza complicata, Jas mi aveva beccata a scherzare con il suo ragazzo e quella era la prova che non mi stava poi così antipatico; ma io non volevo provare simpatia nei suoi confronti, perché sapevo quanto fosse odioso e solo perché mi aveva fatta ridere non voleva dire che fossimo amici.

«Nulla» risposi prontamente scendendo dallo sgabello e riposizionandolo nei pressi del bancone.

«A me non sembra nulla» insistette restando sulla soglia della porta senza fare passi avanti.

«Invece non è niente» continuai decisa.

«Okay, non ha importanza. Volevo dirvi che stasera noi tre usciamo» sorrise entusiasta nel darci quella notizia.

«Noi tre» ripetei fingendo di essere contenta, come se fossi sorpresa dal fatto che la mia migliore amica volesse obbligarmi a uscire con Dawson.

«Esatto, noi tre.» Stavo iniziando ad odiare quel numero, non lo sopportavo più. Il due era molto più bello, il numero perfetto, simbolo della coppia.

«Che bella notizia!» esclamai beccandomi delle occhiate strane da entrambi.

«Come si soleva dire, ora mi ritiro nelle mie stanze e vado a prepararmi» mi pentii amaramente di aver detto quelle stupide parole, Jas mi guardò confusa non capendo perché mi stessi comportando in quel modo e Dawson a differenza sua sembrava non provare nulla, era totalmente apatico e non capii se giovava o meno a mio favore.

Mi allontanai da loro lasciandoli in cucina, per poi fuggire nella mia stanza ed essere finalmente libera.

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