27
Newt's Pov
Erano trascorsi due giorni da quella notizia e, di nuovo, con la stessa ansia dei giorni precedenti, ero lì ad aspettare l'esito.
Erano appena le otto del mattino e già ero al quarto caffè. I ragazzi ancora dovevano arrivare, e io ero circondato dalla confusione che è solita regnare negli ospedali: dottori in camici bianchi, infermieri che vanno avanti e indietro con qualche flebo tra le mani, e quelli che si occupano di portare la colazione ai malati. Poi, quelle due figure sedute passivamente sulle poltrone scomode della sala d'attesa: i genitori di Thomas.
Non ero solo ma era come se lo fossi.
Mi trovavo a spartire quegli attimi di soggezione con loro, attimi che riassunti in due parole potevano essere soltanto: soggezione e orrore.
A differenza di come avevano fatto con Minho e Teresa, non mi avevano rivolto alcuna parola, avrei dovuto farlo io? Insicuro su cosa fosse giusto fare, con gran dose di coraggio avevo provato ad azzerare le distanze, a eliminare quell'aria tesa: mi ero avvicinato alla macchinetta del caffè sperando di azzeccare dei gusti decenti e, con una paura immane, gli avevo porto le due tazzine, che avevano rifiutato con un "No, grazie" senza neanche degnarmi di uno sguardo.
"Alla faccia della gentilezza, potevano mandarmi direttamente a quel paese."
Sfiduciato, ingerii entrambi i caffè con celerità, e stavolta mi guardarono con accenni di disgusto.
Che gli stessi sulle scatole era palese, ma perché? Potevo essere un semplice amico del figlio, non riuscivo a comprendere tale ostilità nei miei confronti.
Certo, se avessi potuto scegliere in che modo conoscerli, non avrei assolutamente optato per l'ospedale, né tanto meno in una situazione orribile come questa, e né con indosso il sangue di Tommy.
Tornai a sedermi, con il capo basso, fissavo il pavimento senza alzare la testa in attesa di un riscontro.
Mio padre da lontano aveva visto la scena, e a passi furtivi si era avvicinato sedendosi al mio fianco. Avrei aggiunto anche lui nella lista "ti guardo da lontano".
Teneva le gambe leggermente divaricate, le mani strette in pugni sulle ginocchia, e un sorriso fiducioso sulle labbra. Detestavo la sua calma. O forse riusciva soltanto a mascherarla.
Lo guardai di sottecchi ma appena se ne accorse, distolsi lo sguardo. Sorrise come se volesse dirmi "ti ho beccato" poi, ritornò serio.
-Qualcuno una volta mi disse: si può salvare tutto quello che vogliamo. - profetizzò, posando lo sguardo su di me.
-Poeta? Scrittore?-domandai a raffica- Sicuramente un idiota...- svalorizzai poi, quella frase poteva essere detta soltanto da uno stupido illuso.
Ci si può salvare dalla morte?
Probabile ma non per sempre.
Mio padre si strinse nelle spalle e avvicinandosi al mio orecchio;
-Semplicemente Thomas.- mi rivelò, e inevitabilmente mi nacque un brivido lungo la schiena. Al primo impatto pensai:"Come poteva essere altrimenti?" Ma riflettendoci su, non potei far altro che sorridere.
Non era da Tommy essere saggio, di rado lanciava frasi profonde, ma quando lo faceva, colpiva al centro del petto.
Abbozzai una risata priva di umorismo, stavo per scoppiare di nuovo a piangere. Non mi sarei mai dato pace, finché non avrei saputo Thomas sveglio che diceva "Newtie".
A dire il vero quel nomignolo non mi piaceva granché, però...lo diceva lui, lo rendeva bello, come aveva fatto con la mia vita.
Mentre cercavo di mettere a tacere, invano, quelle voci che mi accusavano della sua vita in pericolo, mi era difficile non pensare a Thomas avanzare verso la morte, senza essere spaventato, mi faceva sempre più capire che era più forte di quanto pensassi, di me.
Se tutto fosse andato male, non avrei vissuto un'ora in più, la rabbia e le colpe erano troppe, anche solo per sopravvivere.
Mi mancava qualcosa, mi mancava lui fin dentro le ossa. Un vuoto al centro del petto che nessuno avrebbe potuto sanare, se tutto fosse finito, solo la morte mi avrebbe congiunto a lui. Senza Thomas sarebbe tutto cambiato e io non ce l'avrei fatta, senza di lui nulla avrebbe avuto più senso.
Era come se fossi in apnea, sul fondo di un oceano, ad aspettare di raggiungerlo nell'altro mondo.
Non avrei avuto paura di morire, ne avrei provata trascorrendo ogni singolo giorno della mia vita senza di lui.
Sarei esistito, ma non avrei vissuto.
Volsi uno sguardo rattristato in direzione dei suoi genitori.
Ci avevo provato.
E anche se amareggiato e demoralizzato in una situazione tragica come quella, cercavo di farmi forza, ricordando le parole di Chuck e di mio padre:dovevo avere fede e non perdere la speranza.
La domanda era: sarebbe davvero valso? Credere così tanto in qualcosa, la rende reale? Possibile?
Avevo tanta voglia di urlare, di dire: lì dentro non c'è solo vostro figlio, bensì il ragazzo che mi ha fatto battere il cuore, che mi ha dato una speranza per riscattarmi, facendomi capire che non tutto è uno schifo.
Ma chi avrebbe capito? Nessuno.
Non avevo mai vissuto di illusioni o sogni, sin da sempre ero stato realista, uno che pensava e si aspettava dagli altri sempre il peggio; era stato anche questo uno dei motivi per cui non avevo tirato un sospiro di sollievo quando, due giorni fa, il medico uscendo dalla sala operatoria, avvisò:
-Thomas è sotto osservazione.- a quell'affermazione tutti avevano sorriso, ringraziavano il dottore perché il loro figlio, migliore amico, era " vivo", ma a tutti era sfuggito un dettaglio particolare: il "come".
Eppure Minho era scoppiato in un urlo di gioia, Teresa si era fiondata tra le braccia della "suocera", Chuck mi stava stritolando un braccio, Gally s'era buttato tra le braccia dell'asiatico, che inizialmente aveva ricambiato la stretta poi, tornati in sé, si erano allontanati entrambi, disgustati.
Io, invece, avevo preferito restare lucido, coi piedi per terra, e soprattutto avevo ritenuto opportuno concentrarmi sul resto del discorso, perché è cosa saputa: c'è sempre un ma, un però. Soprattutto se a parlare sono i medici.
-Per 48 ore non sappiamo come reagirà, durante l'operazione i suoi battiti erano irregolari e sembrava che da un momento all'altro ci abbandonasse.-A quell'avviso il mio cuore perse un battito. Mi sentii schiacciato da un masso che a tutta velocità scendeva dalle pendici di una montagna, travolgendomi e schiacciandomi.-Ma poi sono aumentati e ci hanno permesso di continuare, ora tocca a Thomas dimostrarci la sua forza.-
-Se la caverà?- domandò il padre, abbracciando sua moglie in una stretta di conforto.
Il medico fece spallucce come per ribadire che tutto dipendeva da Thomas.
-Degli organi sono stati compromessi?- proruppi io, inutile dire che appena aprii bocca, tutte le occhiate mi caddero addosso comprese quelle dei miei "suoceri".
Il dottore si toccò le braccia, palesemente in difficoltà.
-Beh...ha un trauma cranico- con un colpo di tosse si schiarì la voce, più che per la gola secca sembrava preoccupato per l'introduzione del discorso.-Abbiamo notato che il fegato è stato compromesso e lo stesso la milza, l'auto l'ha colpito frontale, urtando gli organi d'avanti. Sarà necessario un altro intervento.- liberò poi e tutti sbiancammo. Io un po' di più.
-Un'operazione non basta? Volete stressargli il cuore? Cos'è: una prova a vedere fino a che punto resiste? -sbottai incontrollato guadagnandomi occhiate scrutatrici e per niente amichevoli dai genitori di Thomas. Come gli altri giorni del resto.
-Avete tutte le ragioni per essere nervosi.- proferì il medico provando a placare la mia rabbia.-Abbiamo asportato la milza perché danneggiata ma tranquilli: non è un organo di tale importanza.- restammo in silenzio guardandolo con sguardo accigliato- Cosa preoccupante è un disfunzionamento del fegato, è stato compromesso parecchio e abbiamo ritenuto corretto un coma farmacologico, cosicché Thomas non si svegli e nel frattempo troviamo qualcuno compatibile. - informò diplomaticamente con assoluta calma. C'era in gioco la vita di una persona...come faceva a stare così calmo?
-Non è nulla di spaventoso.- intervenne mio padre con un sorriso incoraggiante in pieno viso, sembrava sollevato che fosse "il fegato l'unico problema". Da dove fosse spuntato il mio genitore proprio non me ne capacitavo;forse era lì da un pezzo ma la mia concentrazione si era fissata su quel dottore facendo sparire ogni cosa.-È un trapianto che avviene con anestesia totale. Prendiamo piccole cellule di fegato compatibile con quello di Thomas e le inseriamo nel suo organismo. Questo è un organo che va sempre a ingrandirsi, quindi non vi sottrarremo nessuna parte, perché crescerà sempre...proprio come a Thomas, che da piccole vostre particelle diventeranno grandi e creeranno il suo nuovo fegato.- i ragazzi sembravano titubanti ma molto più calmi di prima e io... Beh, per quanto a volte detestassi la calma di mio padre, in momenti come quelli mi tranquillizzava.
"Si sapeva che il corpo umano celasse tanti segreti meravigliosi, ma era pur sempre vero che la medicina e la scienza facevano passi da giganti. O quasi."
-Dottore...noi in realtà...- a parlare fu la madre di Tommy, sembrava scossa al punto da balbettare e non completare la frase.-Non credo saremo compatibili. - disse poi tutta d'un fiato. Aveva sospirato, cacciando tutto il peso che aveva sullo stomaco nel celare quel piccolo, grande segreto. Il dottore arricciò la fronte, stranito.
Un' espressione confusa che no n impiegò molto a tramutarsi in amarezza.
Niente compatibilità niente trapianto.
-Nessun problema. - una voce bianca, dolce e inaspettata parlò. Un passo in avanti.
Deglutii.
Tutti si voltarono nella sua direzione compreso io.
-Thomas avrà il mio fegato, come io ho il suo sangue.- disse sorprendendo tutti. I genitori di Tommy strabuzzarono gli occhi e, anche stavolta non risparmiarono le loro occhiate "amichevoli".
Prima che potessero aprir bocca per replicare, Chuck parlò:-Io sono la sua vera famiglia, io sono suo fratello. -
Ed eccoci al punto che eravamo, davanti alla sala operatoria, con mio padre seduto di fianco, pregando che tutto andasse bene per entrambi fratelli. Dopo il prelievo di sangue e l'analisi del DNA- che aveva confermato con risultato 99,9 % che Thomas e Chuck fossero fratelli-, i dottori avevano replicato perché Chuck, minorenne e senza famiglia, non poteva sottoporsi a tale intervento ma con grande tenacia il "piccoletto" aveva ribattuto;
-Thomas è l'unico che mi rimane, ora l'ho trovato e non possiamo dividerci. Non potete dividerci.- riflettendo su quelle parole, avevano capito che sarebbe stato meglio non opporsi, chiudendo un occhio. Intato, mio padre mi aveva rassicurato ma la paura era tanta.
Prima che Chuck s'addormentasse per effetto dell'anestesia, aveva schernito la mia preoccupazione uscendosene con -L'ho sempre detto:l'azzurro mi dona!Mi fa risaltare i miei grossi occhi blu, guarda!-puntava le dita per indicare gli occhi e il camice operatorio.
Incredibile, lui stava con un pezzo in meno di fegato e rideva, io, invece, che ero tutto intero, avevo l'ansia fino al midollo.
Era proprio Tommy in miniatura.
Mentre rideva, la voce cominciava a camuffarsi lentamente, gli occhi pian piano a chiudersi fino a concedersi completamente ad Orfeo. Sapeva che Chuck non era in pericolo, ma era stato più forte di me toccargli la guancia, augurandogli buona fortuna.
Come abitudine, stavo girando i pollici l'un l'altro, ero nervoso e non riuscivo a stare seduto, peccato che mio padre mi obbligava a rimanerci dicendo:-Se vai avanti e indietro non ti calmerai, anzi aumenterai la tua e la nostra ansia.- Così, come un cavallo rinchiuso in un recinto, continuavo a star seduto su quella scomoda sedia. Mentre sospiravo ogni due minuti in preda all'ansia, avvertii uno spiffero di vento farsi largo nella stanza, era una giornata prossima a un temporale e tempesta peggiore fu vedere Minho e Teresa, più la seconda, varcare l'entrata.
Il coreano tra le mani aveva qualcosa di simile a un diario, che subito catturò la mia attenzione. A cosa poteva servire? Di certo a non descrivere quanto potesse essere snervante l'attesa di scoprire se il tuo migliore amico sopravvivesse o meno.
A passi di flash salutò cordialmente i genitori di Thomas, lasciò Teresa con loro per dirigersi nella mia direzione.
-Allora, saputo qualcosa? - domandò sedendosi alla sedia accanto alla mia, omettendo "Ciao, salve " o qualsiasi forma di saluto che si scambiano gli esseri umani.
Non solo stavo morendo d'ansia ma ero circondato da persone opposte: mio padre che poteva essere rappresentato da Mr.Calma e Minho il suo opposto, insomma come le vocine di coscienza che abbiamo tutti.
L'apollineo e il dionisiaco.
-A breve si saprà...- risposi con la mano davanti alla bocca, muovendo nervosamente le gambe come se avessi un tic.
-Ammetto che hai un aspetto orrendo, come hai fatto in due giorni a non abbandonare questo posto? Qualunque ospedale è deprimente...-esclamò basito.
-Già, solo che non ho avuto le forze di tornare a casa per farmi una doccia.- ammisi indignato, forse era per quello che i genitori di Thomas mi guardavano con aria disgustata?
Mi ero così concentrato talmente tanto sulle condizioni di Tommy, che avevo dimenticato di esistere.
La paura si stava impossessando di me, prendendo il controllo di me stesso: sentivo un masso sullo stomaco, qualcosa di talmente potente che mi vietava di respirare in modo normale. Avevo l'affanno anche se ero seduto e immobile.
Teresa, invece, se ne stava vicino a sua "suocera", la confortava accarezzandole le spalle. Sembrava star molto meglio: nessuno scempio del mascara colato o altro. Era ben truccata, vestita casual e aveva un senso di leggerezza.
Cominciavo a mettere in dubbio che tenesse a Thomas nel modo in cui avevo immaginato. Ma dopotutto: chi teneva a lui come me? Se avessi ricevuto una brutta notizia, se Thomas...mi sarei ucciso senza troppi indugi.
Lo amo al punto da preferire la sua vita alla mia.
-Ti va se andiamo a prenderci un caffè? -propose Minho cordiale, destandomi da quelle domande accusatorie dettate dai demoni della mia anima. -ho una cosa da darti...- sussurrò avvicinandosi di poco al mio orecchio. Sgranai le orbite, cosa Minho ed io avevamo in comune se non Tommy?
Feci cenno di sì col capo, seguendolo titubante.
Giungemmo davanti al distributore, l'unica cosa che conoscevo di più in quell'ospedale, potevo giurarci che ricordassi tutte le schifezze che contenesse. Peccato che gli unici cibi che il mio stomaco accettasse fossero caffè, caffè e ancora caffè.
Mi morsi il labbro, preoccupato. Non conoscevo molto Minho, di lui si parlava perché agile corridore in tutta la High, ma non ne sapevo più di tanto.
Che volesse farmi uno schifo come aveva fatto la sua gemella siamese? Beh, non credevo che mi sarei trattenuto, avevo rispettato Teresa in quanto donna, ma se Minho avesse provato a istigarmi, avrei perso le staffe dandogli un pugno in pieno viso. Sempre se ne avessi avuto il tempo, in quanto atleta poteva scaraventarmi anche contro al muro prima che me ne accorgessi.
-Hm...non so come iniziare-si grattò dietro l'orecchio, imbarazzato.- so tutto di te e Thomas- sbottò. Certo, come poteva essere altrimenti? Ricordavo che avevano parlato al telefono quando eravamo ancora in Bronx, prima che il cellulare di Tommy morisse.-E per tutto...-ingoiò- intendo tutto.-
-Tutto?- ripetei corrugando la fronte. Quella parola poteva avere tanti significati e mi fu difficile interpretarla.
-Sì, nel senso che forse so anche più cose di te.- si avvicinò, poggiando amichevolmente la mano sulla mia spalla. Arrossii.
-Intendi di me e Tommy?- arrossii nuovamente, perché mi imbarazzava così tanto parlare di noi con gli altri?
-Sì e non fare quella faccia spaventata, mica mi dispiace che state insieme! Anzi, mi piacete, dico sul serio, amico! Quello che intendevo dire è...-allungò il diario su cui avevo fatto cadere lo sguardo dal primo momento che era entrato in ospedale-non credo tu sappia che Thomas giorno dopo giorno scriveva delle cose su di te.- alzò ancora di più il diario, incoraggiandomi silenziosamente a prenderlo.
Lo afferrai e d'un tratto gli occhi cominciarono a bruciare. La vista s'era offuscata e sì, stavo di nuovo per piangere. Portai la mano davanti alla bocca provando a contenere la mia angoscia, i singhiozzi, i versi strozzati del dolore.
-Non è il caso di piangere, sì...ci sono dei cuori e delle frasette dolci ma credo anche cose erotiche.- annunciò impacciato, d'un tratto divenni un peperone.-L'ho preso l'altro giorno a casa sua, la mamma si era distratta, e mi sono addentrato nella camera di Thomas alla ricerca disperata di questo diario. Ho sentito che molta gente dopo importanti interventi si è svegliata sentendo delle persone a loro care leggergli qualcosa, o perché gli parlavano...- sorrise incoraggiante, io non potevo fare altro che ammirare e ringraziare il famoso atleta della mia scuola. Riceveva complimenti di continuo, me lo immaginavo un tipo da piedistallo, qualcuno che si credeva importante e, invece, era tutto il contrario: umile e simpatico.
Abbassò lo sguardo sul diario e alzò le mani, con tono scherzoso informò- Giuro solennemente di non averlo aperto,- fece una smorfia con l'intento di farmi sorridere, ci riuscì.- anche perché non voglio essere spettatore dei suoi sogni erotici.- enunciò le ultime parole a voce bassa temendo che qualcuno passasse e potesse sentirci.- Inizia a leggerlo, ti aiuterà a sentirlo vicino...- disse più serio e, con un ultimo sorriso incoraggiante, si allontanò, lasciandomi da solo con quel diario dei segreti.
"Caro diario...se così posso chiamarti" era così che iniziava una delle prime pagine del diario di Thomas, io mi ero seduto in disparte, lontano da tutti, assorto nella mia lettura. "Devi ringraziare Newt per la tua esistenza, non lo conosci ma...sentirai spesso parlare di lui." sorrisi meccanicamente, anche leggere qualcosa scritto da lui mi dava gioia. " A dire la verità neanche io lo conosco, so solo che appena i miei occhi sono caduti su di lui, il mio cuore ha cominciato a battere all'impazzata, andava così veloce che... ho creduto che fino a quel momento fosse sempre stato fermo. Dicono che sia amore, ma in fondo...come posso dire di essermi innamorato? Solo da qualche giorno provo queste emozioni. Si vedrà più in là."
"Ciao diario, oggi l'ho visto e Dio, non ti scrivo da tanto...la verità è che non ci sono molte novità. Continuo a guardarlo da lontano temendo di essere sgamato, oggi ad esempio...volevo scattargli una foto, c'ero quasi riuscito ma quando ho cliccato sullo scatto, mi sono ricordato di non aver disattivato il flash. Troppo tardi, credo che mi abbia visto. Ricordati che il ragazzo che ti scrive è un perfetto idiota, il resto nulla più...qualche volta ti porterò a scuola così ti aggiornerò in diretta sulle sue mosse...Cavoli, sembro uno stalker!"
Un altro giorno, un'altra pagina.
"Sono passati mesi ormai e questa cosa non passa. Devo iniziare a preoccuparmi?"
Aprii la pagina con su scritto a caratteri cubitali "STO IMPAZZENDO."
"Non riesco a stargli lontano, ho cominciato a nascondermi dietro oggetti inimmaginabili pur di vederlo e sentire cosa dice! Quanto vorrei toccargli quei bei capelli color miele, quegli occhi nocciola in grado di ipnotizzarmi e quelle labbra...beh, non sarò bugiardo: io desidero toccarlo dalla testa ai piedi. Inizialmente lo immaginavo in circostanze dolci, ora sto peggiorando con pensieri impuri..."
Non ero sicuro di continuare a leggere. Stavo per scoppiare a ridere e non potevo, non in quella circostanza.
"Anche oggi era con Ashley, sono sicuro che tra i due ci sia qualcosa di serio, anche se lei è una cagna e i suoi ragazzi sono diventati tutti tori. Te lo immagini Newt con delle corna, sì... ma da diavolo. Sai che sensualità!"
Ancora un altro giorno.
"Newt è etero! Ci scommetterei le palle..." dopo quella frase shockante, la pagina era in bianco, scorsi lo sguardo verso il basso.
"Anzi no, non si può mai sapere."
Mi morsi il labbro, sorridendo. Quella lettura mi aveva così coinvolto che mi aveva fatto dimenticare dove fossi, cancellando anche la drammatica situazione. Finalmente mi sentivo bene, dopo due giorni di lunga agonia, anche stavolta, se stavo meglio era per merito del mio Tommy.
Scorsi le dita sulle parole scritte, chiusi gli occhi. Toccare quelle pagine, era come se stessi sfiorando la sua pelle. Ricordai quando, dopo aver consumato il nostro amore, eravamo avvinghiati l'uno all'altro nel grande letto di zia Linda, privi di vestiti e di maschere, ci amavamo e coccolavamo senza limiti.
Ero stato così felice da desiderare l'immortalità per entrambi, una vita senza fine con lui, felici e insieme. Liberai un sospiro affranto quando tornai alla realtà.
Fui felice nel notare che nessuno si era accorto di quell'attimo magico, sembrava quasi che tutto fosse scomparso e che, la mia anima avesse incontrato quella di Thomas, la quale aveva trasmesso alla mia calma e al tempo stesso la giusta forza, per continuare a combattere e a sperare. Chiusi il diario stringendolo al petto e, nello stesso momento che feci questo gesto, la porta si aprì e una dottoressa vi uscì.
Ci guardò uno ad uno, i suoi occhi si posarono su Minho, su Gally(che non mi ero accorto quando fosse arrivato) e su me, sembrava uno sguardo perso, come se stava cercando qualcuno in particolare. Non potevo immaginare.
Di nuovo l'ansia, la paura, la stretta allo stomaco.
Poi rilassò la fronte, le rughe centrali vi scomparvero e togliendo la mascherina, mostrò un ampio sorriso.
-Chi è Newt?- domandò bendisposta.
Sollevai le sopracciglia, sbigottito.
Mi sentii chiamato in causa, le mani avevano cominciato a sudare e l'agitazione mi stava facendo torturare quel povero diario.
-S...so...no io.- balbettai scostando un capello dalla fronte, facendo un passo in avanti.
Lei sorrise ma non mi spiegò il motivo di quella domanda.
Continuò ad avere quell'espressione di grazia sul volto, mentre guardava i genitori di Thomas dicendo:-Tutto è andato bene, vostro figlio si sta svegliando.- i due si strinsero in un forte abbraccio.
Io avevo voglia di ridere e piangere nello stesso momento, era indescrivibile la felicità che stessi provando. I miei occhi, a contrario di pochi attimi prima che erano velati dalla tristezza, ora erano divenuti due gemme brillanti. Mi sentivo di nuovo pieno, forte e indistruttibile.
I genitori si diressero verso la porta, intenzionati a vedere il figlio.
La dottoressa alzò la mano in segno di alt, fermandoli.
-Thomas e Chuck hanno bisogno di estremo riposo, li porteremo nella loro stanza e quando potranno ricevere visita, entrerete.- i tutori si mostrarono restii ma capirono che i ragazzi necessitavano di riposo. La donna con il camice bianco si voltò per andarsene ma io la fermai, ero curioso del perché avesse chiesto di me.
-Scusami, avevo dimenticato- sorrise gentile-mentre svegliavamo Thomas, ha detto il tuo nome tante volte...- quella notizia mi resesereno, ma avrei dovuto provare paura? Senz'altro era bello che il mio Tommy dicesse il mio nome, ma se fosse per odio? Perché ricordasse quegli orribili istanti prima del buio?
Rabbrividii, intanto, tutti stavano ascoltando quella conversazione e ciò mi faceva sentire sempre più sottoterra sovrastato dall'imbarazzo e dalla paura.-Nei pochi secondi in cui ha preso conoscenza, ha espresso chiaramente la sua volontà- fece una pausa guardandomi con sguardo grato- Vuole che sia tu ad entrare per primo. - Restai immobile per qualche istante, era ovvio che tutti si sentivano una nullità, Thomas dopo un incidente mortale di quel genere si ricordava me, voleva me al suo fianco, aveva preferito me ai suoi genitori e ai suoi amici. Dovevo esserne preoccupato?
Sorrisi, scuotendo il capo in cenno affermativo; girando le mani l'una attorno all'altra mi incamminai verso la sedia, ignorando quegli sguardi indagatori e colpevolizzanti; mi sedetti aspettando ansioso il loro permesso.
Come ogni cosa che si attende, arrivò anche il permesso tanto bramato. L'ansia aveva il pieno controllo di me, il processo di sudorazione era aumentato a dismisura, sebbene mio padre avesse continuato a incoraggiarmi dicendomi che tutto sarebbe andato bene. Ero sollevato, Thomas ce l'aveva fatta, era vivo ma...la verità era la paura che provavo nel vedere una sua brutta reazione. Un litigio mi avrebbe ucciso, anche se il 50% di me già era morto.
A chiamarmi fu un giovane ragazzo, indossava un camice diverso, probabilmente era un tirocinante. Freddo e professionale mi invitò a seguirlo e, mentre mi allontanavo da quella stanza, dove avevo vissuto per quei lunghi e faticosi due giorni, sentivo gli sguardi addossarsi pesantemente su di me. Se prima ero antipatico ai genitori di Thomas, ora mi odiavano nel profondo. Provai a non curarmene, concentrandomi sulla persona che avrei visto a breve.
Arrivammo prima del previsto, il ragazzo mi pregò di non far sforzare Thomas e mi avvisò anche di un probabile vomito, spiegandomi che fosse normale dopo un trapianto del genere. Lo ringraziai e, timoroso, strinsi la maniglia. Stavo per entrare, pochi secondi e avrei visto Thomas.
Le mani si muovevano per conto loro, il cervello era fuso e io ero ancora fisso sulla porta.
Entrare o no?
Poi un nome, il mio, proferito da lui.
-Newt...-un mugolio, un piccolo lamento di dolore. Avanzai senza pensarci.Thomas mi stava chiamando, aveva bisogno di me e non potevo stare come lo stupido sulla soglia della porta insicuro se avanzare o meno.
Avevo atteso fin troppo.
La stanza in cui mi trovai aveva lo stesso mobilio delle altre, anche in questa parati color azzurro vestivano le pareti, l'unica differenza erano quei pochi centimetri in più.
Anche in questa c'era il bagno in camera e i due letti al centro della stanza erano divisi da due mobiletti appartenenti ai due pazienti. Chuck continuava a dormire beatamente nel suo letto posizionato alla mia destra, mentre Thomas alla mia sinistra, era ancora in stato semi-cosciente. Parlottava, ma non era facile capire cosa dicesse. Mi avvicinai a passi di piombo, vederlo così abbattuto mi faceva stare male suscitando in me ancora di più la voglia di piangere. Ingoiai, reprimendo ogni emozione simile alla tristezza, per concentrarmi su di lui: il ragazzo che amavo e che desideravo più di chiunque altro nella mia vita.
Poggiai il diario sul mobiletto di fianco al letto e, istintivamente, gli toccai la mano. Mi mancò il fiato, quando la sentii stringere, come se fosse una cosa preziosa. Schiusi la bocca, meravigliato.
Lui aprì gli occhi, non disse nulla, mi guardò e sorrise.
-T...Thomas...- fu l'unica cosa che riuscii a dire. Una lacrima mi bagnò la guancia ed ero consapevole che non sarebbe stata la sola.-Non so se ricordi, quanto non vorrei trovarmi in questa situazione. Quanto avrei voluto che nulla del genere ti fosse accaduto...-blateravo tra i singhiozzi e, mentre con una mano gli carezzavo le pallide braccia, con l'altra mi asciugavo le gocce di pianto, salate più che mai.
Irrigidì la mascella, quel gesto mi preoccupò.
-Ricordo...- proferì fissando un punto invisibile davanti a sé-ricordo tutto- ripeté insistente-e non sono Thomas.- biascicò compunto.
Qualcosa di estremamente pesante mi cadde sulle spalle. Avevo capito che avesse avuto un trauma cranico, ma nessuno ci aveva parlato di una temporanea perdita di memoria.
Mi guardai attorno, frastornato.
-Non può...essere.- farfugliai sbiancando, cominciava a mancarmi l'aria. Aprii e chiusi gli occhi, sperando di aver immaginato la scena.
-Io sono Tommy.- esclamò sorridente. -Il tuo Tommy, Newtie.-
Avrei voluto mandarlo a quel paese, come riusciva a scherzare anche in quella circostanza?E per quanto riguardava la rabbia o l'odio, non sembrava provarli.
-Mi dispiace Tommy, per tutto...- le ginocchia toccarono il pavimento e abbassai il capo, sperando che i miei sussulti non avrebbero svegliato Chuck. Thomas mi toccò i capelli, confortandomi.
-Sh...- bisbigliò alzandomi il mento.-Siamo insieme, è questo che conta.- ammonì, mi sorrideva come se fossi la cosa più bella che avesse visto, i suoi occhi mi guardavano come se non l'avessi mai ferito, mai indotto a quel brutale incidente.
Mi rimisi in piedi, cercando di sdrammatizzare.
-Anche per me, sei essenziale per la mia vita.- ammisi sdolcinato. Non avevo mai esternato così i miei sentimenri, né credevo ne fossi capace, ma si riescono a fare cose impossibili quando stai sul punto di perdere qualcuno.-Se non stavi in questo letto, ti avrei già massacrato col solletico.- trastullai, avvicinandomi per lasciargli un bacio in piena fronte.
-Non ci saresti riuscito.- replicò più cosciente tirandosi a sedere.- Hai provato a farlo, ma come hai il potere di mettermi k.o, hai anche quello di farmi stare meglio.- sussurrò con un filo di voce, quelle parole erano emozionanti -Sapevo che saresti stato al mio fianco. - sorrise ancora, felice- Dì a chiunque che è lì fuori di tornare a casa e riposare, io voglio solo te qui, in questo letto a coccolarmi, a dirmi che non mi lascerai. Newt...io ho resistito per te.- ci fissammo, occhi di sofferenza si scontravano con quelli pieni di sopravvivenza.
Alcune lacrime continuavano a bagnarmi le guance, erano inarrestabili, ma stavolta scendevano per un motivo diverso dai precedenti. Ora erano spinte dalla felicità, dalla gioia di essere di nuovo insieme.
-Combatterò anch'io Tommy, per te.- promisi, e non capii perché scelsi proprio quelle parole, forse perché le sentivo vere e mie.
Thomas mi aveva fatto spazio nel suo letto, aveva sete, ma tra i tanti avvertimenti i dottori avevano precisato che non né doveva bere né tanto meno mangiare, Chuck continuava a dormire e per fortuna nessuno ci aveva disturbato.
Teneva la testa poggiata al mio petto, gli accarezzavo dolcemente quei capelli soffici che mi erano tanto mancati. Non avevamo parlato molto, il silenzio aveva fatto molto di più. Eravamo vicini e questo ci sarebbero bastato per sempre, non chiedevamo molto se non il fatto di essere felici insieme.
-Quando è successo...- disse tremante e io smisi di accarezzarlo-quando stavo per essere investito, ho capito che non mi avevi tradito.-
-Non avrei mai potuto, Tommy.- quelle parole mi uscirono in automatico, senza pensare, ma erano vere.
Lui sollevò il capo, guardandomi con la sua aria da tenerone.
Gli sorrisi e fui felice vedendogli fare lo stesso.
Allungai il braccio verso il comodino afferrai il suo diario e, con tono allegro enunciai:-Ti dice qualcosa?- lo sventolai sotto al suo naso, istigandolo scherzosamente.
Divenne paonazzo, finalmente quelle guance cadaveriche peggio delle mie avevano preso colore!
-Non l'hai letto, vero?- domandò rivolgendo un'occhiata fugace in direzione di Chuck, che continuava a ronfare come un'orchestra delle tribù indiane.
-Qualcosina...- non stavo mentendo, avevo letto le prime pagine ma a breve avrei continuato, dopotutto era una lettura piacevole.
-Non ti chiedo neanche come lo hai trovato...- rise calorosamente, grattandosi gli occhi.
-E perché? - domandai stando al gioco, ammiccando di tanto in tanto un'occhiata provocatoria.
-Perché sto morendo dalla voglia di baciarti...- disse schietto, con i suoi occhi liquidi, e il suo sguardo fisso sulle mie labbra.
-Ai...ai cambia verbo!- canzonai. Non avrei mai voluto più sentire cose come "morire, morto o morte".
-Beh...- si leccò le labbra tirandosi leggermente su- sto vivendo dalla voglia di baciarti e...non mi fermerò fin quando non avrò esaurito l'aria nei polmoni.-
-Speriamo che quest'aria non finisca mai, allora.- sorrisi malizioso.
Attento a non fargli fare degli sforzi, mi sistemai meglio al suo fianco. Avvicinammo i nostri visi, a unirsi per prime furono le labbra che, subito si schiusero per lasciare spazio alle lingue. Il bacio iniziò lento, amorevole, puro, ma non impiegò molto a trasformarsi in qualcosa di passionale, bagnato, bramoso, pieno di vita.
Restammo per quelle che parvero delle ore, in quel letto d'ospedale, a baciarci e a coccolarci vicini l'uno all'altro, le mie mani erano cinte al suo collo, mentre le sue erano lungo ai miei fianchi. Eravamo l'uno attaccato all'altro, al punto da sentire il respiro dell'altro addosso. Non c'era sensazione più bella ed eccitante di quella.
Dopo quel focoso bacio, il mio Tommy sembrava essersi ripreso e, per il momento non aveva neanche vomitato. Era seriamente preoccupato per la mia alimentazione, aveva iniziato a dire e a ribadire che ero più magro del solito, spaventoso, e tante altre cose carine che si dicono i fidanzati. Ora, su suo ordine, ero diretto a quel famoso distributore, dove avrei comprato qualche schifezza e l'avrei dovuta obbligatoriamente mangiare davanti a lui.
"Perché quando vai di fretta queste macchinette si inceppano sempre?" pensai, incacchiandomi.
Ero sdraiato sul pavimento, intento a scorgere se vi fosse qualche anomalia sotto la macchinetta, che la ostacolava nello svolgimento della sua mansione.
-E vai, sbloccati!-gli diedi un colpo, solitamente erano sempre le "brutte maniere" a far funzionare le cose, insomma, era il metodo che utilizzavo a scuola per chiudere bene l'armadietto. E fino a prova contraria, aveva sempre funzionato.
Mi bloccai vedendo avvicinarsi due scarpe ben lustrate, che si fermarono proprio dinnanzi a me; alzai la testa di sbotto. Quella figura che mi aveva guardato sempre passiva e con sdegno, era lì, con occhi sfidanti. Mi alzai agilmente, spolverando le ginocchia per togliere via tracce di polvere.
-Newt, giusto?- con le sopracciglia aggrottate, gli occhiali da vista, il naso all'insù, la barba folta, il padre di Thomas mi aveva fatto quella domanda.
Abbassai lo sguardo, per un attimo fui intimorito ma pensandoci bene non avevo nulla di cui aver paura. Alzai la testa, guardandolo con aria beffarda.
-Credo che lei già lo sappia...-
-So il tuo nome e qualche supposizione, non ho bisogno di altro. Mi basta sapere che ti chiami Newt.-
Ero confuso, a quale supposizione si stava riferendo? Aprii la bocca per affrontare quella discussione, volevo provare a salvare qualcosa ma mi stoppò puntandomi il dito contro.
-Prima che entrassi nella vita di mio figlio, lui era un ragazzo normale. Aveva una ragazza, degli amici e non si allontanava da casa come un criminale, lo avrai pure potuto portare sulla cattiva strada, ma non ti permetterò di riuscirci ancora. Non so cosa avete fatto né voglio immaginarlo, ma qualcosa l'ho capito. Io curerò Thomas da questa malattia, ma mi servirà anche il tuo aiuto. Sei stato qui giorni interi, non ti sei allontanato un attimo, quindi deduco che in fondo gli vuoi bene, beh...se è così, sparisci dalla sua vita...-
Come può un genitore non desiderare la felicità di suo figlio? Come può parlare dell'omosessualità come se fosse una malattia?
Ascoltando quelle parole, dette con quel tono prepotente, mi faceva capire ancor di più di quanto fossero disgustose certe persone. Non avevo il coraggio di replicare, di proferire alcuna parola.
-Se non ti farai da parte, non impiegherò molto a prenotare un viaggio di solo andata per Chicago, Thomas amerà quella città.- fece una pausa poi si stirò la camicia, lisciando la falsa piega del petto-Fa' la cosa giusta, Newton.- abbassò la testa e senza provare un minimo di vergogna mi sorpassò, andandosene.
Aveva ucciso la mia anima senza pietà. Quel 50% di me che era sopravvissuto, aveva raggiunto l'altro, negli inferi.
Ebbi una vera e propria crisi di nervi, era il minimo dopo una discussione del genere. Mi ero rinchiuso in un bagno e, senza controllo, avevo preso la porta a pugni e calci, uscendone sconfitto. Provavo dolore, sì...ma mai come quelle parole, affilate peggio di coltelli. Dopo numerose botte, mi ero finalmente arreso. Con la fronte sudata contro il muro, gli occhi chiusi e stanchi, pregavo di avere un'idea, una soluzione. Cosa avrei dovuto fare? Di certo restare in bagno non mi avrebbe portato a nulla, ma andare sa Thomas?
Non lo sapevo, trascorsi circa quaranta minuti in quella toilette, senza giungere a nessuna conclusione. Quando mi resi conto che Tommy mi stava aspettando, mi avvicinai al lavandino, sciacquandomi il viso. Cercai di darmi una sistemata, ma fu inutile. Ero peggio di prima.
Arrivato, ansioso, strinsi la maniglia, aprii lentamente la porta; quasi sobbalzai vedendo una figura in piedi: era Chuck.
Scampato pericolo. Liberai un sospiro.
Sventolò la mano a mo' di saluto con un lieve sorriso sulle labbra.-Si è addormentato.- mormorò indicando Thomas.
"Meglio" pensai, "Non sarei riuscito a mascherare quell'orrore."
-Quando mi sono svegliato, ha detto di avere la nausea, così sono uscito alla ricerca di un secchio ma...- esibì l'oggetto, facendomi vedere la chiarezza.-quando sono tornato, l'ho trovato addormentato, meglio non destarlo.- rifletté, io di risposta mi limitai ad accennare un sorriso flebile.
Sbadigliò, si avvicinò a letto arrampicandosi goffamente per salirvi. Mi avvicinai per aiutarlo.
-Grazie, Newt...ti voglio bene.- disse, lasciandomi un tenero bacio sulla guancia.
-Anch'io te ne voglio...fa' bei sogni.- augurai rimboccandogli le coperte.
Lo stesso feci a Thomas, lasciandogli un altro bacio sulla fronte.
Poi, mi avvicinai alla finestra socchiusa. Estrassi il cellulare dalla tasca, e composi un numero.
Rivolsi prima uno sguardo a Chuck e poi al mio Tommy.
Non sapevo perché lo stavo facendo, ma forse era la scelta giusta. Stavo esaudendo il desiderio di suo padre.
Deglutii.
Uno squillo, una lacrima.
Due squilli, un'altra lacrima.
Un altro "tu" e poi la risposta.
Schiarii la voce e con un filo di voce pronunciai.
-Ciao mamma, sono io...Precisamente, in che zona di Parigi ti trovi?-
Spazio Autrice: Bellissimi lettori, questo capitolo è stato un parto! Tengo a precisare che il 28 sarà un capitolo, il 29 l'epilogo e il 30 avrà i ringraziamenti. Come possono mancare? A voi devo tutto, mi avete fatto sorridere con i vostri commenti, idee, che davvero non so! Avete dato più voi a me che viceversa! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, come sempre spero di sentirvi e spero che perdoniate gli errori!
Cosa pensate che accadrà nel prossimo? Sfornate le vostre idee!
Tengo a mostrarvi il trailer della mia prossima Newtmas, è un miscuglio tra The Maze Runner, Percy Jackson, Divergent e anche Atlantis! Non so cosa ne uscirà ma l'idea mi piace, ho già iniziato a scriverla, sarà pubblica dopo che avrò concluso Indelible. Spero di sentirvi per questo capitolo e gustatevi il trailer! Tanti baci! ♥
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