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*Spazio Autrice*: Per favore, leggetemi...Non so quali saranno le vostre reazioni ma ho scritto questo capitolo aiutandomi con queste canzoni: My immortal, Bring me to life, Castle of glass, Somebody to die for, Nothing else matters, So cold, nothing left to say, all the king's horses(non c'entrava molto ma amo quella canzone) e tante altre che non sto qui a elencarvi...Qui su ho messo My immortals( anche se è stato difficile scegliere) Voi potete ascoltare il capitolo con la canzone più triste per voi...se lo fate potete lasciarmi anche il titolo, per condividere:). Questo capitolo non ha nessun pov...è scritto in TERZA persona.Tornando a noi... spero che avrete la stessa sensazione che ho provato io scrivendolo. Il 25 fa riferimento a quel mostro di Dashner e a quella maledetta pagina 250, inoltre...Thomas è il soggetto numero 2 e Newt numero 5. Spero che vi piaccia=)
Era tutto come doveva essere. Doveva andare così.
Non erano mai avvenuti incidenti in Street 45th East fino ad allora.
Un corpo steso sull'asfalto, con le braccia rigide lungo i fianchi e le mani che, secondo dopo secondo diventavano sempre più bianche e fredde, tenevano in una presa ferrea qualcosa di piccolo e importante.
Dopo quell'orribile scoperta, Thomas avrebbe voluto tornare a casa, riposarsi e, una volta che si fosse sentito meglio, avrebbe provato a capire le motivazioni che avevano spinto Newt a tradirlo.
Sarebbe stato difficile, sicuramente l'immagine del suo ragazzo a letto con un altro gli avrebbe fatto rivivere quell'orribile momento avvertendo ulteriori pugnalate al centro del petto, ma non gli sarebbe importato, perché anche se deluso, ubriaco fradicio e morto dentro, lui amava Newt.
Lo amava con tutto se stesso per soccombere quel sentimento profondo e indissolubile da un momento all'altro come se niente fosse.
E anche se era assurdo, anche se aveva capito che era arrivata la sua ora, non voleva lasciare la terra senza ricordare per l'ultima volta quei momenti con Newt, istanti che l'avevano reso felice e vivo. Già, gli stessi aggettivi che aveva utilizzato il "collante" per fargli capire che per lui era davvero importante.
Come un flash pensò a quel capelluto biondo dagli occhi color nocciola che, inspiegabilmente, gli aveva fatto perdere la testa. A tutti i pomeriggi dove, anziché studiare per il test del giorno successivo, come uno stalker lo seguiva per capire i suoi gusti, per vedere che luoghi frequentasse. Ricordò le tante paranoie pensando Newt etero, le pagine di diario dove di tanto in tanto annotava le informazioni che otteneva, origliando le conversazioni nei corridoi scolastici o seguendolo a casa, anche se non davano chi sa quali risultati, non si era mai arreso. Pensò con un sorriso al biglietto che gli aveva lasciato sulla sua scrivania, con su scritto scritto: Rimettiti e per la cronaca: non mi stavo sbattendo nessuna.
"Quanto sono stato stupido" dissero i suoi pensieri. Aveva ancora quel leggero sorriso sulle labbra, un sorriso, felice perché aveva vissuto quegli attimi e triste perché cosciente di non viverli più.
Rammentò il primo incontro, quando Newt l'aveva accompagnato a casa subendosi i suoi deliri, perché strafatto. Inevitabilmente gli si affiorò anche il secondo incontro nella palestra scolastica, quello ufficiale: Tommy, quel soprannome. Il nomignolo che lo aveva fatto sorridere prima di entrare in classe nel bel mezzo della lezione del professor Brown. Pensò anche quando inaspettatamente, aprendo la porta di casa, sulla soglia, s' era trovato Newt fradicio per via del temporale. E con un nuovo sorriso rievocò il primo bacio, la fuga, le risate, le preoccupazioni, il solletico, l'emozione di averlo chiamato improvvisamente"amore" ed essere chiamato così con altrettanta naturalezza. Infine, con una gioia che gli pompava nel cuore, ineguagliabile e impossibile da definire, non poté non ricordare la loro prima volta.
Una lacrima gli bagnò la guancia.
Era inutile dire o pensare il contrario: Thomas c'era sempre stato per Newt, seppure combina guai e scapestrato. Lo aveva sempre guardato da lontano e avrebbe continuato a farlo, anche se appartenenti a mondi diversi.
Il loro era un amore che era nato lentamente ma era cresciuto forte, solido. Anche se in quel momento sembrava essersi polverizzato come cenere. In fondo all'anima però, nonostante fosse la fine, Thomas se ne andava consapevole che Newt non gli aveva mentito riguardo ai sentimenti, che era stato fedele e che non aveva né avrebbe preferito altre labbra o altri tocchi al suo.
Thomas amava Newt e Newt amava Thomas. Incondizionatamente. Indelebilmente.
-Perché...- domandò arreso a bassa voce come se stesse parlando a se stesso.Si toccò la testa dolorante e, incurante che l'automobile correva all'impazzata nella sua direzione, aprì le braccia come se stesse accogliendo la morte.
Senza paura proprio come gli aveva insegnato il collante: affrontare e non scappare. Forza. Coraggio. - Perché l'ho capito solo adesso...- continuò a dire delirante allargando ancor di più le braccia.
Fu un attimo, la distanza tra l'auto e il corpo di Thomas si azzerò. Quegli ultimi secondi li percepì come la scena di un film: un rallentamento e poi una velocizzazione improvvisa.
Un'altra lacrima gli bagnò la guancia destra, poi una frase...l'ultima prima di essere scaraventato per l'aria -Lui non mi ha tradito. - proferii con la consapevolezza che l'amore che provava per Newt sarebbe rimasto nell'immensità dell'eterno, senza sottostare né al tempo né allo spazio.
Il suo corpo aveva risposto all'urto con un tremolio, sobbalzando sull'asfalto per secondi lunghi come ore di agonia. Qualcosa era scoppiato in lui, all'altezza del capo una chiazza di sangue spaventosa ricopriva l'asfalto colorando le strisce pedonali che, da un bianco puro, erano diventate rosso scarlatto.
Vedendo tale dramma era impossibile riporre speranza in un salvataggio.
E ancora di più constatando che il corpo aveva smesso di muoversi, di sussultare, di respirare.
Il sole, altro testimone di quell'orrore, coi suoi raggi flebili illuminava il pallore della fronte del ragazzo. Le goccioline di sudore che la imperlavano, scendevano lente sulle guance, sembrando un pianto di lacrime d'addio.
Molta gente stava accorrendo in strada, l'urto era stato violento per passare inosservato e inudibile:chi era uscito frettoloso dal bar gridando aiuto, chi dalle case con solo indosso la vestaglia, dopotutto era appena l'alba. C'era tanta gente che nell'arco di pochi minuti si creò un cerchio attorno al corpo immobile di Thomas, nessuno si avvicinava e, scioccati, si chiedevano tra loro come fosse avvenuto.
Altri ancora più in preda all'agitazione ripetevano-Io lo conosco...come è possibile!Non capisco come sia successo, non capitano mai cose del genere...-
Nessuno riusciva a crederci. E quei pochi che avevano tenuto il sangue freddo, non avevano esitato ad avvisare i soccorsi e le forze dell'ordine.
Gally, quello che tutti conosciamo come stupido omofobo gabbiano, per quanto toccato e angosciato non si era lasciato prendere dal momento, correva. Correva più che poteva.
Stava inseguendo l'artefice di quella tragedia, il quale appena fatto ciò che aveva sempre voluto, aveva abbandonato l'auto dandosi alla fuga nella tanta confusione che si stava creando.
C'era tanta gente, troppa.
Tra la folla di adulti c'era solo un bambino:Chuck, che appena visto il paraurti andare a contatto con le gambe di Thomas aveva avvertito tutto come un botto talmente potente, al punto da percepire i rumori in maniera ovattata. Quasi come se fosse sordo. Avrebbe voluto essere cieco piuttosto che assistere a quella scena straziante. Quando Thomas era balzato in aria qualcosa nel petto gli si era spezzato, spaccato. Deglutì cercando di mandare giù la rabbia, il dolore, stringendo con tutto lo sdegno i pugni lungo i fianchi.
Alcune donne avevano posato lo sguardo su di lui e, anche se tra loro a bassa voce si chiedevano chi potesse essere, nessuna s'avvicinò.
Sentiva quei vocii ma li ignorava. Era troppo scosso per perdere tempo con pettegolezzi del tutto inappropriati in tale circostanza.
Si concentrava sul suo amico, a terra, immobile. Non riusciva a capacitarsi di cosa avesse visto, si ostinava a scuotere la testa lentamente da destra verso sinistra e viceversa, come se con quel gesto volesse cancellare l'accaduto. Come se volesse dire "non è reale".
Dopo aver urlato il nome di Thomas si era come paralizzato, non proferendo più alcuna parola.
In un primo momento non pianse, anche le lacrime si erano congelate assieme al suo corpo tremante. Poi, inaspettatamente avanzò, spinto dalla paura che qualcuno fosse arrivato da un momento all'altro portando via il corpo di Thomas. Andava avanti con passi incerti, quasi inciampava nel nulla. Era indebolito e sembrava che a momenti crollasse nelle sue stesse gambe, perdendo i sensi.
-Prima un piede e poi l'altro-diceva a se stesso con voce bassa esortando a non fermarsi per avvicinarsi in più fretta possibile a quel corpo dormiente sull'asfalto, freddo e rugoso.
Una lacrima, due. Stava piangendo. Ma in silenzio. Forse in quei casi era giusto, avrebbe voluto anche urlare ma non riusciva: appena provava ad aprire bocca, le parole nascevano come versi strozzati, incomprensibili.
Silenziosamente fissava il corpo di Thomas e pian piano spostava lo sguardo glaciale sulle figure che si stavano avvicinando. Aumentavano sempre più.
Quel dolore apparteneva a lui, lo sentiva suo e di nessun altro.
Avrebbe desiderato stare solo con Thomas, ma non aveva alcun diritto di allontanare quelle persone; così, tenendo i pensieri per se stesso, si faceva spazio tra la folla.
Giunto al centro, a pochi centimetri da Thomas, incurante che avesse i pantaloncini che gli arrivavano fin sopra le ginocchia, si lasciò cadere, le ginocchia flaccide strusciarono brutalmente sull'asfalto.
Qualche graffio, sbucciatura.
Ma neanche quello gli importava.
S'inginocchiò e, presa delicatamente la testa dell'amico, si impregnò del suo sangue. Ignorò il tremolio che gli bloccava le mani e continuò. Era così delicato quel gesto che il viso di Thomas parve fatto di cristalli fragili che al solo tocco poteva infrangersi; poggiò con estrema lentezza il capo di Thomas sulle sue gambe, fungendole da poggia-testa.
-Ora sono io il tuo cuscino.- disse accennando un ghigno più per nervosismo che umorismo. Quella frase, semplice e breve, provocò tenerezza nei cuori di tutti. Un singhiozzo poi un altro, avrebbe voluto stringerlo con tutto l'affetto che aveva. Gli sembrò che Thomas stesse affrontando una battaglia e quel gesto aveva il significato di "Se non hai forze, prendi le mie."
Se solo fosse stato possibile.
Lo tenne al suo petto e, mentre la folla aumentava, il dolore appariva sempre più solitario. Si creò come un'ampolla tra i due fratelli. Chuck accarezzava i capelli di Thomas, di tanto in tanto accennava un sorriso ricordando quei brevi ma intensi loro momenti.
-Thomas- ripeté come un sibilo. Voleva svegliarlo, parlare con lui, continuare a credere che avrebbe vissuto altri momenti in sua compagnia e quella di Newt, i ragazzi che lo avevano salvato.-Smettila di stare immobile, lo fai per vendicarti del gelato che ho mangiato io, vero?- parlava, parlava e continuava a parlare. Si sentiva ridicolo ma era quello che poteva fare, voleva infastidirlo, far scattar qualcosa in Thomas per farlo svegliare.
Non avrebbe mollato. Non così.
-Beh...dovresti ringraziarmi, ho evitato di farti ingrassare.-continuò illuso. Le lacrime scorrevano irrefrenabili bagnando anche la maglia di Thomas.
Nessun movimento. Nessuno spiraglio di speranza.
I singhiozzi aumentarono incontrollabilmente, ora Chuck aveva abbandonato tutti i muri "da finto forte bambino" scoppiando in un pianto irreparabile.
"Piangere non era da deboli." era una delle poche frasi che si ricordava di sua madre.
Nell'attimo farfugliò qualcosa che neanche egli stesso capì, forse era una preghiera o stava invocando la madre credendo che lei potesse fare qualcosa.
-Perché...perché tutti quelli a cui voglio bene ...- non continuò, non ci riuscì.
Una folata di vento gli scompigliò i capelli ed ebbe l'impressione che qualcosa si era mosso sulle sue ginocchia.Portò la testa all'indietro, fece un lungo sospiro e chiuse gli occhi, li aprì subito dopo.
Quando vide Thomas schiudere lentamente la bocca, si sentì forte.
In un primo momento credette che fosse un sogno, una realtà parallela che i suoi pensieri avevano creato per non soffrire. Si grattò gli occhi.
-Io sono qui...- soffiò Thomas in un sussurro, tossendo.
Il bambino continuò ad accarezzarlo pregando che le sue gambe fossero un discreto cuscino per l'amico ferito -Lo sapevo, tu sei forte.- enunciò con finto entusiasmo provando a reprimere le lacrime. Quelle parole sembravano dette più per convincere se stesso che il moribondo.
-Chu...ckie- una parola udibile a malapena.Era affannato.
-Thom...mas non...non parlare, okay?- balbettò inizialmente e le mani cominciarono di nuovo a tremare. Il ragazzo fece cenno di sì col capo.-Stanno per arrivare, ti faranno qualche analisi e torniamo a casa.- proferì ingenuo, illuso.
-T...tu hai detto di non credere in babbo natale e altre cose...-replicò calmo, era sorridente. Sembrava felice. Sudava tanto. Tremava al punto da battere i denti. Era infreddolito.
-Non credo a niente, Thomas.- disse serio-ma a te che ce la fai sì.- pronunciò reprimendo un singhiozzo-tu sei forte, sei incredibilmente forte! E poi- abbassò la voce avvicinandosi all'orecchio di Thomas- tu e Newt siete così belli...- sussurrò carezzandogli i capelli umidicci.
Thomas sorrise sentendo il nome "Newt" , dopo tanto tempo sentire quel nome gli faceva sempre lo stesso effetto. Il suo primo, unico, ultimo amore.
Guardò Chuck sorridente, il suo sguardo diceva: Newt ed io ci siamo ostinati tanto a non fartelo scoprire ma tu ci hai beccati comunque.
Silenzio. Thomas non poteva e non doveva sforzarsi.
-Av...avrei fatto di tutto per Newt.-disse poi come se si sentisse in colpa. Chiudeva e apriva gli occhi, sembrava sempre più arreso.
-Allora vivi, Thomas!- urlò Chuck con tanto impeto, con una forza che avrebbe scosso chiunque.
Non seppe come ma al posto di vedere il bambino per un attimo vide il suo ragazzo, steso sul letto con gli occhi colmi di passione che gli diceva quella frase
-E allora amami.-
Lo sguardo sembrò accendersi, appariva più determinato.
-Avresti potuto schivare quell'auto, ti credevo come il pirata...combina guai ma scaltro.- Chuck continuò a farneticare, doveva motivare l'amico. Lo sentiva suo compito.
-Ho...fa...fatto quello che non farebbe un pirata.-biascicò, curvando la bocca in un sorriso-ho mantenuto una promessa.- abbassò lo sguardo invitando in silenzio Chuck a fare lo stesso. Thomas schiuse lentamente la mano sinistra mostrando le due statuette di legno. Il bambino aprì e chiuse gli occhi più volte credendo di vedere doppio. Gli tremò il mento, un altro pianto si stava preparando come un temporale.
-È incredibile, vero?- il ragazzo curvò la bocca in un sorriso aperto, aveva un'espressione serena.-Prendile...-esortò alzando ancor di più la mano.
-Thomas...no, servono più a te che a me. Sono una linfa vitale...insieme danno forza ed energia.-profetizzò Chuck, Thomas rimase affascinato, in effetti la loro forma, il modo in cui erano fatte facevano intendere a qualcosa di esoterico .
-Le custodirò come un tesoro...- proferì quello più grande cercando di tranquillizzare il fratello.Sorrise incoraggiante, poi accennò una smorfia di dolore, aveva di sicuro qualcosa di rotto al centro del petto.-Vorrei abbracciarti...ma non mi sento le ossa.- scherzò. Così Chuck lo strinse un pochettino.
-L'ho fatto io per te.- proferì affettuosamente fissando il fratello.
-Ehi...smettila di piangere-canzonò il maggiore, ansimò.-abbiamo ancora tante cose da fare, fratellino.- quell'ultima parola scaturì un vortice di emozioni in Chuck.
-Già fratellone. Come vedere films o mangiare il gelato, scoprire chi secondo Newt tra noi due è il più bambino...forse svelerà questo arcano- rise sperando che Thomas lo imitasse e, anche se indolenzito lo accontentò-Che ne dici se ti parlo un po' di me? Adoro le moto, da grande vorrei guidarne una magari tu e Newt mi aiutate.- alzò la voce per catturare l'attenzione del moribondo, appariva sempre più stanco.Il suo viso era stanco e gli occhi roteavano lentamente.
Thomas aggrottò la fronte, confuso.
-Va bene...se vuoi mi insegnerai solo tu...- scappò naturale a Chuck, anche se sentendo quelle sue parole si rendeva sempre più conto che stava delirando più di Thomas che era vittima di quell'incidente mortale.
-Non ho la patente.- disse Thomas, come se fosse quello il problema.
-C'è tempo per prenderla!- ribatté il ragazzino senza perdersi d'animo.
Silenzio.
Forse quell'attimo di pace, di profonda quiete voleva domandare solo una cosa: c'era davvero tutto quel tempo?
Chuck voltò lo sguardo davanti a sé cominciando a imprecare mentalmente non vedendo arrivare nessuna autoambulanza, nessun aiuto concreto. Non poteva tenere in vita Thomas con delle parole, per quanto volesse che fosse così, sapeva che non era possibile.
Thomas aveva capito, comprendeva ciò che suo "fratello" stava vivendo. E lui aveva tanti dolori, troppi per salvarsi.
-Chuckie...-Thomas lo chiamò, abbassò lo sguardo -comunque andrà ... sappi che mi dispiace, avremo potuto fare tante cose insieme.- sorrise ancora. Era un sorriso angosciato.
Il bambino chiuse gli occhi continuando a far scendere le lacrime infinite. Stringeva i lembi della maglia di Thomas in un pugno. La rabbia gli scorreva nelle vene, la paura faceva lo stesso e cosa peggiore era sentirsi impotente. Non poteva fare niente per evitarlo.-E...dì a Newt- ansimò Thomas sorridendo ancor di più proferendo quel nome- che ha reso la mia vita meravigliosa, non avrei desiderato nient'altro che lui, al mio fianco. Per sempre.- sorrise beato poi chiuse gli occhi, esausto.
L'ultima carezza.
Poi tanta confusione.
Thomas non vide più Chuck. Voleva chiamarlo ma non riuscì.
Si sentì sollevare.
Erano gli angeli che lo stavano portando in cielo?
Newt se ne stava seduto a terra: le sue spalle minute erano poggiate in modo malconcio alla parete, teneva le gambe strette vicino al petto e la faccia era tra le ginocchia. Aveva gli occhi arrossati. Sentiva sempre meno aria entrare nei polmoni come se fosse in apnea. Cercò di tirare su i muchi e con essi le lacrime. Cosa avrebbe fatto con Thomas? Avrebbe provato a telefonargli, ma per dirgli cosa? Forse era giusto così...ora era lo stronzo, traditore, bastardo e...doveva andare così. Avevano litigato, Thomas lo odiava, ma lui l'aveva protetto o almeno così credeva.
"Dopo tutto quello che abbiamo vissuto, perché finirla con l'odio?" a parlare erano i suoi pensieri che più di ogni altra cosa erano confusi.
"Anzi :perché finirla?"
-Non ho mai amato qualcuno...se non lui.-disse e, mentre credeva di averlo pensato, si rese conto di averlo detto ad alta voce.
Più passavano i secondi più si accorgeva di avere la gola bloccata, chiusa come se non vi entrasse aria.
Alzò la testa provando a inspirare ed espirare. Chiuse gli occhi e quando li spalancò, trovò suo padre accanto alla porta della sua camera.
Da quanto era lì?
Teneva la schiena rilassata contro lo stipite, le braccia incrociate al petto e lo sguardo era un misto tra il sorpreso e il preoccupato. Newt si voltò nella direzione opposta, non voleva mostrarsi debole né voleva rispondere a stupide domande, che sicuramente il genitore gli avrebbe posto.
-Posso?- domandò gentile l'uomo. Di risposta il ragazzo fece spallucce facendo intendere che non gli importava se ci fosse o meno.
Il padre si accasciò a terra di fianco a lui, gli scappò un verso dolorante. Newt alzò un sopracciglio e di sottecchi si assicurò che il quarantenne non fosse rimasto bloccato con quel...come lo chiamano? Ah...colpo della strega.
-Non riesco neanche più a sedermi per terra...- rise falsamente, voleva che Newt lo imitasse ma non fu così. Eccolo, il silenzio imbarazzante che li aveva sempre caratterizzati. Si schiarì la voce-Come stai?- era una domanda azzardata ma quello che aveva davanti era suo figlio, doveva cominciare a capirlo e a comportarsi da padre.
Il ragazzo ne rimase sorpreso, suo padre non gli aveva mai chiesto come si sentisse e ciò lo colpì in maniera quasi rilevante.
-Hm...-balbettò, si grattò il capo impacciato in attesa di una risposta. Si reputava impacciato come un quindicenne timido faccia a faccia con la ragazza per la quale provava qualcosa.
"Bene, non mi considera." Pensò sfiduciato.
-Respiro...il mio cuore batte, quindi sono vivo, no?- passò la lingua tra le labbra, inumidendole.
-E felice?- la conversazione, anche se un po' forzata stava continuando, Mike sorrise di nascosto. Poteva ancora farcela.
Newt non rispose. Non poteva rispondere, avrebbe straripato come un fiume, avrebbe cominciato a parlare di tutto e non poteva. Non con suo padre.
-Prossima domanda...hai visto Thomas? Un ragazzo alto come te, moro...-
A quella domanda l'adolescente serrò la bocca, strinse i pugni attorno alle gambe. Mike notò quei strani movimenti. Una domanda peggio dell'altra, quando ne avrebbe indovinata una?
-So com'è!- troncò acido alzando entrambe le sopracciglia.Mike quasi sussultò, era così rabbioso suo figlio?
-È lui che ha visto me...- disse poi premendo con il pollice al centro della fronte. Gli faceva male la testa, gli stava scoppiando.
-Beh...lo hai spaventato.- enunciò Mike insicuro se fossero le parole giuste-era...-
-Shockato? Deluso? Ferito?- interruppe Newt elencando tutto a denti stretti. Sembrava una vipera, un serpente velenoso.Da un momento all'altro gli occhi gli sarebbero diventati rossi per tutta la rabbia repressa.
Mike scosse la testa all'indietro e guardò suo figlio, basito. Non avevano mai avuto chissà quale conversazione ma gli sembrava decisamente che Newt avesse qualcosa che non andava, lui era un medico, lo capiva più di chiunque altro.
-Non eri da solo, Isaac.- disse prendendo coraggio, provando a fare il pugno duro. Non doveva spaventarsi di suo figlio-Ho visto un ragazzo scendere le scale dopo Thomas- s'alzò, a differenza di come si era seduto fu agile e si piazzò davanti al figlio, gli alzò il mento con perseveranza.-Un tizio che non mi piaceva per niente.- marcò fissando il figlio. Erano occhi negli occhi. Newt sbuffò, applaudendo falsamente.
-Bravo...hai istinto materno.- enfatizzò l'ultima parola, scostò il contatto, si drizzò in piedi rivolgendo le spalle al genitore.
-Cosa ha visto Thomas?- scandì Mike, non suonava come una domanda, bensì un ordine al quale Newt doveva rispondere completamente e sinceramente.-Isaac?- chiamò non avendo risposte.
Il ragazzo teneva le dita attorcigliate ai lembi della maglia, le stringeva sempre più, in segno di difficoltà.
Gli infastidiva essere chiamato con quel nome, non gli era mai piaciuto, gli dava l'impressione di un debole, mentre quello con cui si faceva chiamare dagli amici, da Thomas, gli dava più forza.-Va bene...non insisto.-proferì inaspettatamente.Non era da Mike arrendersi e Isaac lo sapeva bene, ricordava che quando era piccolo, suo padre faceva di tutto pur di fargli ammettere gli sbagli o qualunque cosa.
Si dirisse verso la porta, poi s'arrestò voltandosi di lato-Comunque per quanto possa importarti il mio parere...voglio che tu sia felice- Newt alzò di poco lo sguardo pronto a una solita "stronzata" di suo padre, dopotutto era quelle che diceva da una vita.-E io...senza ombra di dubbio sceglierei Thomas, è molto più carino.- sottolineò l'ultima parola e a Newt sembrò congelarsi il sangue nelle vene, non circolando più.
-Co...come?- ripeté esterrefatto spalancando gli occhi.
"Carino? Non è l'aggettivo detto e ridetto da genitori etero quando vedono la ragazza del figlio?" pensò il ragazzo spaventato da suo padre, sembrava non riconoscerlo. O forse non lo aveva mai conosciuto.
Mike sorrise facendo un occhiolino-Newt...- Ora lo stava chiamando anche con il nome che preferiva. - non fare finta di niente...- sorrise malizioso-avevo i miei dubbi ma quando ho visto lo sguardo di Thomas illuminarsi parlando di te, ho capito tutto.- fece una pausa, era calmo. Niente pugni, schiaffi, commenti omofobi alla padre da "mio figlio è gay quindi è malato e deve essere curato"- L'unica cosa che non capisco è perché sei ancora qui...- disse infine spiazzando Newt. Lo lasciò nella sua stanza, in piedi, con un'espressione da pesce lesso che regnava sul volto.
-Papà...- enunciò Newt con tono strozzato. Voleva chiamarlo Mike ma non c'era riuscito, le parole che il padre gli aveva detto poco prima nella sua stanza erano state troppo belle per creare ulteriori distanze.
Mike si stava infilando la giacca, si voltò in direzione di Newt, sorpreso. Era ai piedi delle scale, accanto all'appendi abito. Sorrideva grato.
-Devo correre in ospedale.- disse con tono alterato-A quanto pare c'è un'emergenza, grave, urgente.- spiegò sistemandosi il colletto del cappotto.
-Non vuol dire la stessa cosa? - chiese Newt scendendo a poco a poco gli scalini.
-Ti ho riportato le parole che ha usato il paramedico. A quanto pare un incidente stradale, hanno chiamato l'autoambulanza ma sembra che non serva...- abbassò il capo,dispiaciuto e Newt fece lo stesso.
-Fa di tutto per salvarlo...-biascicò Newt ignaro, vedendo suo padre salutarlo e uscire di casa.
Lui restò lì, a metá, sulle scale di casa sua.
Una morsa dolorosa gli strinse il cuore al centro del petto.
Aveva litigato con Thomas ma si sentiva malissimo, più di prima.
Come se qualcosa stesse peggiorando.
Avevano scelto l'ospedale più vicino, non c'era tempo e, il rischio che il suo cuore smettesse di battere nel tragitto era sempre più lampante. Un'infermiera gli aveva infilato una flebo nelle braccia per evitare la disidratazione, aveva perso molto sangue e il fatto che sudasse e continuasse a tremare non faceva pensare a niente di buono.
-Stai lottando...si vede. -rassicurò incitandolo-Hai qualcosa che ti tiene qui, vero?- sorrise fiduciosa. -Resisti, ragazzo.- la voce dell'infermiera non arrivò neanche alle orecchie di Thomas, che in preda a sogni e incubi, cominciava a delirare.
Newt stava guidando il camioncino, con il quale era tornato a Manhattan assieme al suo ragazzo e al trovatello del Bronx. Stava andando a casa di Thomas. Sentiva di proteggerlo, ma questo non significava buttare all'aria il loro bellissimo rapporto. A contrario di come credeva sin da sempre, parlare con Mike si era rivelato istruttivo e piacevole e sì, gli aveva anche schiarito le idee.
Era incredulo di come suo padre avesse capito tutto e, cosa più strana che lo supportasse.
Doveva solo dirlo al suo Tommy.
Parlargli sarebbe stato difficile ma non impossibile. Poteva farlo ragionare, spiegargli tutto e se Thomas non avrebbe capito, allora doveva andare così, ci aveva provato e non avrebbe avuto alcun rimpianto. O almeno è quello che voleva credere.
Mentre guidava pensando e ripensando ai momenti condivisi, notò un gran trambusto, alquanto strano. Un uomo con la divisa da vigile urbano gli fece cenno di fermare il veicolo.
-Mi dispiace ragazzo ma non si può transitare per qualche ora. C'è stato un incidente...- avvisò imperturbabile.
-Incidente...qui?- a Newt scappò una risata di nervosismo. Sapeva che era vero eppure desiderava che fosse una finzione. Non sapeva come ma avvertiva qualcosa di spiacevole. Forse la vittima era la stessa per la quale il padre era dovuto correre in ospedale. Rimase in silenzio, confuso.
-Non vedi tutta questa gente?- il milite alzò un sopracciglio, infastidito.
-Non accadono mai incidenti qui...- ripeté Newt come se volesse mettere in dubbio la parola dell'uomo.
-Ma oggi sì, vedi di sgomberare il passaggio e prendi un'altra strada.- liquidò l'uomo in divisa con tono ormai alterato e scocciato.
-Non posso...- disse in un soffio-io sono diretto qui, in questa strada.- spense il motore, aprì lo sportello e saltò giù. Non lasciò alla guardia il tempo di replicare che incurante avanzò verso la folla, sperando di confondersi tra la calca.
Il carabiniere chiamò ad alta voce i suoi colleghi ma si bloccarono quando videro Newt fermarsi. Si era come bloccato, mentre il suo sguardo scorreva in lungo e in largo in cerca di Thomas.
C'era un incidente nella sua strada e non osava neanche affacciarsi?
Poi i suoi occhi si fermarono su quella figura. Un bambino, un bambino che conosceva troppo bene, era inginocchiato sull'asfalto, piangeva e gridava divincolandosi dalla presa di due donne. Si rifutava di alzarsi da terra.
Spontaneamente Newt drizzò la schiena, chiuse le mani in un pugno lungo i fianchi. Deglutì, immobilizzato.
Aprì un po' la bocca, il tanto che bastava per chiamare il suo "piccoletto".
-Chuck...- chiese con voce tremante.Era ovvio che fosse lui ma sperò fino all'ultimo di sbagliarsi.
"Fa che non sia lui, fa che non sia lui" ripeteva in mente a se stesso scongiurando un Dio.
Il ragazzino si girò, il viso era irriconoscibile segnato dalle troppe lacrime, gli occhi erano rossi e scavati, un abisso di sofferenza e dolore. Le donne vestite di bianco che dovevano essere le infermiere si allontanarono osservando inerme la scena.
-Dov'è?- disse tremando e le prime lacrime cominciavano a scendere.
Incominciava a capire, tutto gli era più chiaro. Incidente nella strada di Thomas, Chuck piangeva senza fine e il suo ragazzo non c'era. L'emergenza, grave e urgente era Thomas, duo padre era stato contattato per soccorrere Thomas che...
Newt avanzò. Avanzò contro la sua volontà.Chuck a stento riuscì ad alzarsi in piedi e, una volta rivolto il petto a Newt, mostrò la maglia tinta di rosso e con essa le mani. Era stato forte e coraggioso con Thomas ma non riusciva più a fingere. Lo sguardo di Chuck fu chiaro. Non servirono parole.
Newt si sentì sprofondare, come la terra si fosse spaccata sotto ai suoi piedi crollando in un baratro senza fine. Si sentì morto, come se qualcuno gli avesse strappato dal petto il cuore, uccidendolo.
-No...non è possibile. - scosse la testa a destra e sinistra -Non può essere vero!-urlò, liberando un grido.
Un giramento di testa, stava per cadere all'indietro ma Chuck lo afferrò, sporcandolo.
Il collante fissò il suo braccio, ora anche lui come Chuck era impregnato di quel sangue.
-Il suo sangue...- disse shockato, sfiorando il braccio con le dita. Era angosciato perché era il sangue della persona che amava e, al tempo stesso, anche se strano, avendo il sangue di Thomas era un modo per sentirlo vicino.
Avrebbe affrontato eserciti ma l'avrebbe salvato.
Il bambino abbassò il capo contro al petto di Newt-Abbracciami, ti prego.- esortò con voce strozzata, e Newt non poté che farlo.-questo è anche il mio sangue.- borbottó Chuck traumatizzato tra un singhiozzo e l'altro, inzuppando di lacrime amare la camicia del biondo.
Newt non capì. Quello non era il momento per capire. Avrebbe voluto ma non ci riusciva.
Mentre carezzava la chioma folta di Chuck, guardava sconvolto la chiazza di sangue fresco che bagnava l'asfalto, non riusciva a distogliere lo sguardo da essa. Immaginava il corpo di Thomas morente lì, a terra, e lui...lui dov'era? Lui non c'era.
E, invece, Thomas c'era sempre stato.Nei momenti belli e quelli più orribili.
Voleva sparire, partire, dissolversi.
Ma non poteva cancellare tutto, perché anche se non sapeva ancora niente di come fosse avvenuta quella tragedia, una cosa gli era ben chiara:era tutta colpa sua.
Con lo sguardo passivo vide gente allontanarsi, i carabinieri erano fermi a ispezionare un'auto rossa, l'auto.
Le guardie avevano capito che era meglio lasciarli da soli nel loro dolore.
"Nulla più è e sarà come prima" era la frase che la mente di Newt ripeteva in continuazione peggio di un disco rotto.
Chuck si era leggermente staccato dalla stretta, prendendo fiato. Sembrava che avesse finito le lacrime. Provò a scrollare Newt dai pensieri, erano ormai circa trenta minuti che non parlava né muoveva gli occhi. Fissava e fissava quella chiazza di sangue. Il sangue della persona che amava era sparso su un asfalto comune, di una strada qualunque visto da gente comune. Chuck tirò Newt per la maglia sperando di distoglierlo dai pensieri, era scosso ma non poteva mollare anche lui. Dovevano trovare coraggio e fare il tifo per Thomas.
Quando Newt abbassò il suo sguardo glaciale e apatico, non poté che provare qualcosa vedendo quelli di un blu intenso arresi ma con ancora una piccola fiammella di speranza.
Il piccolo gli chiese di andare, di raggiungere Thomas e, senza esitazione, anche se molto toccato, Newt mosse il capo in cenno di sì.
Corsero verso il mezzo e vi salirono, non risposero alla polizia e alle due infermiere che temevano per la loro incolumità mentale.
-Sono entrambi scossi, non provochiamo una tragedia nella tragedia.- dicevano.
Avevano ragione, Newt lo sapeva. Anche il suo istruttore di scuola guida gli aveva raccomandato di non mettersi mai alla guida se fosse stato agitato. Ma lì non entrava in gioco solo l'agitazione, c'era la paura. Troppa paura. Paura di non vedere più il ragazzo che gli aveva fatto battere forte il cuore e che, più di ogni altro, lo avesse riportato in vita.
Thomas lo aveva riportato in vita, mentre Newt si sentiva la causa della sua morte.
Girò la chiave avviando il motore. Teneva lo sguardo fisso sulla strada, con una mano guidava e l'altra cercava quella di Chuck. Erano sommersi dal sangue di Thomas: maglie, mani, ovunque.
Newt si sentiva meno solo con il sangue di Thomas.
In un sibilo, stringendo il volante, disse una frase quasi come se Thomas potesse sentirlo.
-Tommy, tu non puoi mollare...non te lo lascerò fare.-
"Thomas era in un bosco o forse era una foresta...che poi c'era una differenza tra le due parole o erano sinonimi? Non l'aveva mai capito. Di fianco a lui passeggiava un ragazzo, si tenevano mano nella mano. Era uno alto, fisico esile, capelli biondo miele e gli occhi color nocciola risaltavano il suo viso da bambino, dimostrando molto meno gli anni che avesse.
-Vediamo se mi prendi, muoviti, Tommy!- il ragazzo improvvisamente gli lasciò la mano e Thomas avvertì un ulteriore scossa di freddo.
-Non andare.- urlò spaventato, cominciando a correre nella direzione del biondo.
-Prendimi, dai... fagiolino!- rispose l'altro sorridendo. C'era sole, tanta e tanta luce.
-Non ce la faccio, Newt.- proferì con un filo di voce. Provò a seguirlo ma non aveva le forze. Si curvò in avanti, ansimando. Si sentiva debole, stava cedendo. Crollò sull'erba del prato, sdraiato. Non sentiva la forza nei muscoli, la testa era leggera e il cuore...il cuore stava rallentando i battiti.
Poi si sentì toccare la spalla,si girò e affianco a lui, disteso sull erba c'era Newt. Il ragazzo gli teneva la mano, o meglio, gliela stringeva affettuosamente. Sotto quel sole cocente si fissavano l'un l'altro, Newt schiuse le labbra e con sguardo acceso di volontà proferì
-Tommy, tu non puoi mollare...non te lo lascerò fare.-"
*Spazio Autrice*: Io mi sono commossa...credo sia normale ma sarei felice di leggere che vi ho trasmesso qualcosa, un'emozione: rabbia, tristezza...L'ultima parte non so se l'avete capita, in pratica è come se Newt e Thomas avessero un legame e quindi Tommy riesce a sentire quello che Newt gli dice, anche se da lontano. Thomas in un certo senso è in coma e beh...è un momento tra la vita e la morte. Tenevo a dirvi che i capitoli sono aumentati, giacché scrivo capitoli molto lunghi e la storia deve concludersi con senso logico. Arriveremo a 30 più o meno...Spero che vi abbia lasciato qualcosa dentro, nel prossimo si scopriranno le cose, Chuck dirà a Newt ciò che Thomas gli ha detto... Vi voglio bene e come sempre perdonate gli orrori! Fatevi sentire ci ho messa tutta me stessa! :')
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