1. A volte i miracoli accadono
Ero seduto al tavolo della mensa con gli occhi puntati in direzione della porta come sempre.
Aspettavo che lui arrivasse e che magari e dico magari mi regalasse un sorriso.
E come sempre mi ripetevo quanto fosse impossibile realizzare quel che sognavo da tempo.
Sbuffai, rivolgendo un'occhiata distratta ai libri o più precisamente alla sottospecie di diario segreto aperto a una pagina bianca che presto avrei imbrattato con scritte drammatiche del tipo: " Anche oggi era assente" oppure "È venuto ma come sempre non mi ha guardato" o anche " E se gli fosse accaduto qualcosa?"
Sospirai, cercando di trattenere più a lungo il fiato e magari dimenticare per qualche secondo quella bizzarra situazione che andava avanti da mesi. Abbassai il capo, trovando intrigante il pavimento della mensa, quello meno igienico in tutta la High; solo la mattonella situata sotto il mio sgabello ospitava ben due chiazze di olio che seppure fossero presenti da decenni non si erano ancora sbiadite.
Olio. Un condimento grasso, insignificante, che inevitabilmente mi riportò alla mente un episodio, un suo ricordo. Incredibile, vero? Ogni scusa era buona per fantasticare.
Era l'inverno scorso e sebbene fosse palese un temporale "alla Seattle", pensò bene di venire a scuola in motocicletta. Beh, un po' maluccio per lui, ma io...senz'altro assistetti a una visione paradisiaca: il suo ciuffo biondo cenere innaffiato dalla pioggia gli aveva fatto assumere un'aria più angelica di sempre, anche se in netto contrasto con i suoi occhi color nocciola, che erano un misto tra l'arrabbiato e lo scocciato, per non parlare delle sue labbra che seppure celestiali erano pronte a liberare miliardi di migliaia di imprecazioni pesanti. Il temporale oltre a lavarlo, aveva danneggiato il motore del mezzo e, per quel motivo, in quella giornata rischiai di avere due infarti: il primo per averlo visto fradicio da capo a piedi con il suo giubbino nero di pelle che tanto amavo, e il secondo per aver visto Newt passione meccanico.
Lo guardai da lontano, reprimendo il desiderio di corrergli incontro e aiutarlo. Pensai di scattargli una foto almeno così potevo portarlo ovunque, guardarlo prima di dormire senza far affidamento sulla mia memoria fotografica, così, presi il cellulare mettendo a fuoco l'obiettivo.
Fiero di avere avuto quella brillante idea non esitai a cliccare "scatta" e fu in quel momento che capii quanto la mia esistenza fosse inutile ... solo due parole.
Il flash.
Newt si voltò nella mia direzione ed io indietreggiai rapidamente, le inventai tutte pur di non essere sgamato, alla fine riuscii a nascondermi ma l'ansia dell'istante non mi fece mai capire se lui se ne fosse davvero accorto. E quella fu solo la prima del lungo listone di concime per la terra (cacca per intenderci).
-Cuoricino batto solo per Newtino, ci sei?- scherzoso il mio amico Minho mi richiamò all'attenzione. Ritornai nel mondo degli umani dimenticando la divinità Newt, e per vendicarmi, gli risposi con una gomitata.
- Minho ma ti sembra il caso? Qui a scuola poi ... dove anche i tavoli hanno le orecchie!- borbottai visibilmente infastidito.
-In Corea si dice che sono i muri ad averle.- aggrottò la fronte, visibilmente confuso.
-Probabile che i tavoli abbiano sentito la necessità di evolversi.- continuai ignorando completamente quanto fosse stupida quella conversazione.- Da quanto sei qui?- domandai poi cercando di tornare serio.
-Da appena tre minuti e so già che ... lo stai pensando, non lo vedi arrivare e ti manca terribilmente ... - spiegò esaustivo, accennando un sorriso malizioso e occhiate altrettanto preoccupanti.
Cercai di non arrossire né ridere (sì, negli ultimi periodi quando parlavo di lui a Minho, a Teresa o a qualsiasi altro essere vivente, inevitabilmente succedeva che sorridevo come un ebete o nel peggior dei casi ero colpito da risate isteriche) feci spallucce assumendo apparentemente un'aria indifferente.
- Non mi manca.- abbozzai una smorfia a mo' di menefreghismo.
- Sì, invece, altrimenti avresti risposto chi? Hai dato per scontato che mi riferissi a lui. E poi se fossi un'altra persona, potrei crederti ... ma tu sei Thomas ed è scientificamente impossibile. Inoltre, hai un chilometro di bava- fece una pausa- mi dispiace ma sei sgamabile, Tom. - accennò una risata e mi diede una leggera pacca sulla spalla.
In quel momento pensai che Minho avrebbe fatto i baffi a qualsiasi detective che fosse stato Conan o Sherlock Holmes.
-Per caso lo hai visto?- chiesi, abbandonando i piccoli pezzettini di orgoglio che mi rimanevano, mostrandomi come sempre fottutamente attratto da Newt.
- Mmh ... no, ma in compenso uno dei suoi soci, Alby, ci ha invitato a una festa a casa sua . - informò eccitato, non ne ero particolarmente felice ma mi sorprese. -Hai capito quale Alby? Il braccio destro di Gally!-
Gally, un altro capitolo.
Era sin da sempre il bullo della scuola, quello che prendeva in giro per ogni banalissima cosa, e quello che avrebbe fatto a pugni se gli avessi dispregiato le sopracciglia che non solo erano folte ma anche continue tanto da far pensare a delle ali di gabbiano, soprannome che gli attribuimmo io e il mio amico coreano. Il gabbiano aveva giudizio su tutti figuriamoci se avesse scoperto il mio orientamento sessuale, per questo Minho, Teresa ed io, ci vedemmo costretti ad attuare una messa in scena: quando io e Teresa eravamo nei corridoi e Gally nei paraggi, la mia amica ed io camminavamo mano nella mano scambiandoci carezze e baci innocui sulle guance proprio come una coppia o più o meno, ovviamente quei momenti non avevano alcuna importanza per me, non provavo alcuna emozione o come direbbe Minho erezione.
Era tremendo nascondere la mia omosessualità ma d'altro canto ne ero tranquillo. Quando scoprii di essere gay, iniziai a farmene un problema al punto da cadere in depressione per via dei miei genitori, profondi sostenitori della famiglia tradizionale qual erano non l'avrebbero mai accettato; così gli unici a tirarmi fuori da quelle giornate depressive furono Minho e Teresa e furono gli unici a cui lo confessai.
Non pensai mai di rivelare ai miei genitori la mia natura, sarei stato una delusione troppo grande da dover sopportare, quindi ogni volta che mio padre mi chiedeva come procedesse con le ragazze, meccanicamente e con finto entusiasmo gli rispondevo- Una bomba, tutto alla grande. -
I problemi iniziarono a ingigantirsi quando peggiorai in matematica e Teresa, si offrì di darmi una mano per evitarmi la bocciatura sicura, trascorrevamo interi pomeriggi a casa e quando capitava che mio padre non stesse in ufficio non si stancava mai di gesticolare alle spalle della mia amica mandando segnali del tipo " usa le precauzioni, sono troppo giovane perché diventi nonno". Ero sempre più convinto che non l'avrebbe mai scoperto, troppo cieco per vedere la realtà.
-Se vuoi ci vado da solo, basta dirlo!- esclamò Minho leggermente infastidito evidentemente aveva fatto uno dei suoi discorsi chilometrici ai quali come sempre non avevo prestato impegno.
-Alla festa dici?- domandai prestandogli un'attenzione minima, distolsi lo sguardo dalla porta rivolgendolo su lui.
-Ma che festa ... Obama mi ha convocato per delle medaglie che devo ritirare.- rispose con non-chalance addentando una mela verde.
Lo fissai con sguardo indecifrabile.
-Tom non dirmi che ci hai creduto!- più che una domanda, la sua era un'affermazione- Caso chiuso: ti sei rincoglionito.- sentenziò.
-Che posso farci se lo penso continuamente? Non ti è mai piaciuto qualcuno?- domandai astutamente, dovevo colpire Minho sui sentimenti, era impossibile che in diciassette anni di vita non avesse pensato a qualcuno o nel suo caso qualcuna.
-Sì, certo che ho avuto cotte, ma ho preso coraggio e mi sono fatto avanti, ignorando di poter ricevere una porta sbattuta in faccia.- proferì diplomatico.
-E il più delle volte com'è andata?- domandai timoroso temendo il peggio.
-Tre su quattro. - bevve un sorso d'aranciata. -Tre le tipe che hanno accettato e la quarta ... - il suo sguardo si incupì.
"Bene Thomas lo hai ferito."
-Mi dispiace Minho ... - ammisi profondamente amareggiato.
-Ma che!- esclamò accennando un sorriso a trentadue denti- Era una tipa fissata con Collant, il vampiro brillantino. Voleva un ragazzo che fosse il sosia, capisci? Avrei dovuto chiederle il numero del suo spacciatore.- sospirò melodrammatico- Purtroppo non tutte comprendono il mio fascino orientale ... -
-Mi sbaglio o come sempre Minho si sta pavoneggiando?- a parlare fu Teresa che posando la cartella sul tavolo occupò posto al mio fianco.
-E tu come sempre non fai una piega.- risposi stando sempre sullo scherzoso.
Il coreano chiuse gli occhi a due fessure, fingendo di essere arrabbiato.
-Che rottura...tra poco già suona la campanella, Tess come mai hai fatto tardi?- domandò occhi a mandorla versione "fidanzato geloso".
-Non avevo tutti gli appunti di fisica e così, approfittando di una calma rara quanto preziosa, ho recuperato tutto con la professoressa Smith. E a voi ragazzi tutto bene? Thomas?-
Il coreano fece cenno con la testa di sì mentre io ...
-A parte che ho scoperto di essere gay mesi fa, a parte di essere attratto da un ragazzo con il quale condivido solo il corso di letteratura, a parte che aspetto ogni giorno un suo segnale divino ... a parte che manca a scuola da tre giorni e a parte mascherare e fingere di essere chi non sono, sì grazie tutto bene.- risposi come un fiume in piena paragonabile a una macchinetta. Per quanto riguardasse i sentimenti Teresa mi capiva decisamente di più rispetto a Minho, e quindi era ovvio che affrontassi con lei il "problema" .
- Tess lo abbiamo perso ormai ... - realizzò Minho, roteando gli occhi visibilmente annoiato.
- Tom, si risolverà tutto ...- enunciò la ragazza accarezzandomi la mano. Non era la mia fidanzata ma di sicuro era un'amica eccezionale. - Inizia a vivere ... e vedrai che stesso Newt si accorgerà di te. - accennò un sorriso compiaciuto e non potei che fare lo stesso.
-Esatto, inizia a vivere da stasera.- replicò Minho con un suo solito sorriso malizioso. Suonò la campanella segnando la fine dell'intervallo e finalmente l'uscita da scuola.
-Stasera?- nonostante gli oggetti di conversazione fossero stati Newt e la festa strepitosa a casa di Alby, riuscivo a ricordarmi sempre e solo del primo.
- La festa, Thomas, la festa. Io e Teresa ti aspettiamo.- disse Minho apparentemente spazientito. Si alzò e Teresa lo imitò.
-Pensaci bene Thomas, un po' di musica e divertimento ti faranno bene e ... chi ti dice che non ci sia anche lui?- quella ragazza dagli occhi blu, dai capelli lunghi corvini, con un fisico perfetto e proporzionato, mia amica da tempo immemore, sapeva sempre come farmi cambiare idea.
Uscito da scuola, mi diressi subito a casa, l'indomani sarebbe stato Domenica e per fortuna non vi erano compiti da svolgere. Aprii il portoncino e non mi stupii che i miei non fossero in casa, da almeno cinque mesi non pranzavamo più insieme eccezione per la Domenica. Da quando vi era stata la crisi, sia mia madre sia mio padre, entrambi impegnati nel campo marketing, avevano eliminato dal vocabolario la parola "vacanza, rilassarsi" e a volte ho profondamente dubitato che avessero anche cancellato la parola "figlio, problemi, conversazioni".
"Ma alla fine, chi se ne frega. Chi se ne frega di un figlio in una crisi adolescenziale. Non sono femmina, non ho il ciclo e quindi per loro va tutto bene."
Tra cuffie nelle orecchie, popcorn, film sdolcinati, arrivò anche sabato sera.
A mezz'ora dalla festa, Minho mi inviò il messaggio con l'indirizzo della casa di Alby e l'ora.
Non avevo scuse. Dovevo andarci.
Respirai a fondo cercando di liberare la mente che continuava a martellarmi un unico nome: Newt. Chissà forse ci sarebbe stato anche lui.
Andai a lavarmi dopodiché indossai una camicia bianca a maniche lunghe che tirai fino ai gomiti, un jeans abbastanza comodo e delle scarpe nere. La casa di Alby non distava molto dalla mia e quindi ci sarei arrivato a piedi. Lì avrei incontrato Minho e Teresa e saremo entrati insieme.
Fui puntuale come un orologio svizzero, attaccai un post-it al frigo giusto per avvisare i miei genitori che se avessi fatto tardi potevano escludere l'opzione "rapito dagli alieni" e mi lasciai la porta di casa alle spalle. L'aria di fine Aprile aveva qualcosa di magico, stava per arrivare maggio e poi ... l'estate. Sarebbe stato bello trascorrere un'estate con Newt ma erano sogni, fottuti sogni.
Impiegai davvero poco ad arrivare a destinazione, come immaginavo, i miei amici erano già lì.
-Non ci posso credere, ci sei anche tu!- a parlare fu Ashley, la solita bionda collegiale, capo delle cheerleader, la papera, quella senza cervello e che se va in fissa per un ragazzo gli sta attaccata tipo come una cozza. E io la odiavo. Lei era sempre al fianco di Newt e lui lo stesso. Ogni volta che la sentivo parlare, mi chiedevo se lui fosse un santo o uno stupido, ma in entrambi casi continuava a piacermi.
Newt aveva quell'aria da etero, e ciò era visibile perché al suo fianco, vi era sempre una tipa facile che sventolava tette come se fossero volantini pubblicitari. Cercai di eliminare quel ricordo o mi avrebbe guastato la serata.
Minho mi affiancò, sapeva quanto mi fosse simpatica Ashley e con un sorriso sornione e una gomitata mi avvicinò al gruppetto- Tom, Ashley sta parlando ... -
Lo interruppi acido-Lo so. - rivolsi un'occhiata in cagnesco prima al mio amico e poi a quella papera senza cervello- Ciao Ashely.- scandii il suo nome visibilmente disgustato.
Lei ricambiò con un sorriso sornione-Che ne dite di entrare? La festa non è iniziata neanche da cinque minuti che quei maiali già si sono precipitati sul buffet. -
Bel concetto, Ashley.
Loro sarebbero maiali e tu? Sicuramente un cane.
-Sì - rispose pacata Teresa. La mia amica mi lanciò occhiate di intesa che avevano tutte lo stesso messaggio: "controllati, non esplodere." Abbozzai una smorfia per sdrammatizzare, per farle capire che ero calmo e felice. Sì certo come no.
Per quanto la papera avesse esagerato con commenti del tipo "maiali, porci, bisonti", aveva avuto ragione. I maiali fecero fuori in mezz'ora tutto ciò che c'era di commestibile. Teresa mi guardava terrorizzata, mentre Minho tra il caos sapeva starci senza troppi problemi.
-Sembra peggiore di un night club. - disse la mora urlando, la musica era troppo alta perché parlassimo da gente normale.
-Io avrei detto discoteca ... ma giacché le tipe del primo anno mi strusciano come se fossi Brad Pitt ... night club è il termine adatto.-
-Scusami Tom, credevo che ci fosse ... se vuoi, ti riaccompagno a casa. - adoravo la dolcezza di Teresa e il suo essere protettivo da sorella maggiore ma doveva capire che non era una mamma chioccia ed io non ero il suo pulcino.
-Tranquilla, in fondo devo iniziare a vivere, non è vero?- urlai, mentre quindicenni scalmanate si buttavano alla rinfusa nella mia direzione, Minho trascinò Teresa per un ballo di coppia e in quel momento pensai che fossero stati davvero bene insieme.
Una volta rimasto da solo, cercai di staccarmi da tutte quelle piccole cagne e una volta riuscito nell'ardua missione, mi diressi in direzione del tavolo dei drink.
A ogni passo, tra quel rumore assordante e quelle urla scalmanate pensavo a Newt, a dove potesse essere e cosa stesse facendo. C'era Alby, Ashley, Gally e lui no. Mancava a scuola da tre giorni e a me mancava da tutta la vita.
Arrivato al tavolo, notai la vastità di bibite che offriva la casa di Alby McDonnell: dall'acqua ai peggiori drink, quelli che sicuramente ti avrebbero fatto vomitare l'anima. Scelsi una cosa semplice, una birra, che poi ne diventarono due, tre e poi neanche ricordo.
Sapevo soltanto che faceva troppo caldo per starmene in quella casa che, anche se enorme, riempita da tutti quegli scalmanati, era diventata un buco occupato e maleodorante.
Uscii, subito ad accogliermi fu un'ondata di vento che mi pizzicò la faccia, vento primaverile, notte senza nuvole, una serata da goduria.
Peccato che ad aver avuto la mia stessa idea era Gally che, agitato, si aggirava per il cortile di casa McDonnell. Agitato e poco lucido. Combinazione perfetta per una rissa.
Cercai di allontanarmi prima che potessi rientrare nella sua visuale ed essere vittima di qualche atto spiacevole. Peccato che le troppe birre peggioravano il mio senso dell'orientamento.
-Sei proprio un idiota.- Affermò ali di gabbiano e un lungo brivido percorse lungo la mia schiena. Mi guardai intorno, sperando che si riferisse a qualcuno alle mie spalle, ma sfortunatamente ero l'unico presente.
-E perché?- risposi balbettando. Non lo temevo, più per l'effetto della sbornia che per coraggio, lo ammetto.
-Lasci che la tua tipa balli con il tuo miglior amico, dimmi tu se non è da idioti.- La sua era un'istigazione ma giacché Teresa non fosse la mia ragazza e Gally momentaneamente non l'aveva ricoperta di insulti, decisi di ignorare. MI lanciò un'occhiata scadente e prese il telefono dalla tasca. Compose un numero, non avevo idea di chi stesse chiamando fin quando non pronunciò- Newt, quando finisci di sbatterti la tua tipa, potresti venire a casa di Alby che mi sto facendo due palle pesanti?- Non aspettò neanche la risposta che riagganciò per poi buttare il cellulare nell'erba.
Il mondo si fermò. O meglio il mio mondo.
Non esisteva più niente e nessuno. Il sangue salì velocemente alla testa, aprivo e chiudevo gli occhi, tutto era offuscato. Le parole e i rumori rimbombavano nella mia testa, ogni parte di me gridava "Arrenditi, sei un fallito. Hai sentito cosa sta facendo l'etero Newt?". L'avevo sempre saputo, in fondo.
Toccai la testa come se il gesto potesse ridurre il dolore, come se potesse eliminare quelle voci, il caldo aumentava e il cuore ... il cuore era distrutto.
-Che c'è, non reggi l'alcol? Chiamo la tua mammina? - domandò il bullo, schernendo. Non l'avevo sentito ma era più vicino di quanto pensassi, quando si era avvicinato?
In un altro momento avrei ignorato Gally, ma anche se era da stolti, dovevo sfogare con qualcuno la mia rabbia, anche con uno che mi avrebbe messo k.o.
Le mani mi si irrigidirono, il sangue pulsava a ritmo irregolare salendo vertiginosamente in testa, fissai il bullo negli occhi e approfittando della sua distrazione, scandii;
-Ali di gabbiano, fottiti- Dissi quelle quattro parole una ad una, con una scarica di adrenalina che mi percorreva per tutto il corpo, e con quel pizzico di lucidità, lo colpii in pieno viso. Quando si rese conto di che avevo fatto mi rivolse un'occhiata simile a quella di un toro pronto a catturare il foulard rosso, iniziai ad agitarmi e senza pensarci due volte me la diedi a gambe.
Sebbene fossi pigro, la mia corsa era invidiata da molti. Ero capace di lasciare indietro chiunque anche Minho, il miglior alunno in atletica di tutta la High.
Cercando di non inciampare in qualcosa di inesistente, giravo per strade e vicoli, sperando di trovarmi in posti conosciuti, ma la sbronza si faceva sentire e non solo per il giramento di testa ma anche per il conato di vomito.
Volevo essere forte ma non ce la facevo.
Newt, la mia forza, era diventato la mia debolezza.
Mi ritrovai in un vicolo e Gally era dietro di me. Avanzai sperando in una via di uscita, ma no ... un muro mi impediva di raggiungere la salvezza.
Un pugno sarebbe stato d'obbligo, ma sapevo che Gally non si sarebbe fermato a quello. Avrei voluto scusarmi ma l'alcol non mi permetteva di ragionare né di fare altre cose sensate. Così, spalle al muro, lo guardavo avanzare.
Era sempre più vicino, la mano destra stretta in un pugno e l'aria da bullo.
-Come ti sei permesso ora non farlo mai più.-
BOOM.
VUOTO.
BUIO.
Sicuro di essere morto, tentai di aprire gli occhi con scarsi risultati.
Per essere in quello stato da codice rosso, il mio rivale non si era limitato a un pugno. No, non mi avrebbe fatto perdere i sensi. Evidentemente anche lui era incazzato con il mondo e si era dato alla pazza gioia con me fracassandomi quanto più costole possibili.
Tra la nausea che non era svanita e un liquido amarognolo in bocca, cercai di aprire gli occhi. Di nuovo. Intravedevo una luce bianca che illuminava a intermittenza, e le mie narici erano infastidite da qualcosa. Nicotina. Qualcuno stava fumando.
-È impossibile ... in paradiso dovrebbero pagare le bollette.- blaterai cercando di mettere a fuoco il luogo in cui fossi. Le narici erano indatidite da qualcosa. Impiegai qualche secondo per riconoscere che si trattasse di nicotina.Qualcuno stava fumando.
-Forse sei all'inferno.- Visto l'odore di fumo, poteva essere, ma quella voce era in netto contrasto con tutto il resto. Era scherzosa, diversa, particolare, speciale, singolare singolare dalle altre mi aveva risposto. Era troppa angelica e celestiale per farmi credere ciò che aveva detto. E poi era così fottutamente familiare.
- All'inferno non ci sono luci ... - proferii mostrandomi lucido o almeno ci provavo.
-Che ne sai? Tutti possono evolversi. Qui ad esempio hanno un lampione,-
Un lampione.
Grazie a quell'informazione lo sconosciuto mi aveva fatto capire che mi trovavo allo stesso punto in cui ero collassato. Niente pronto soccorso e niente morte.
-Non so se ti piaccia più l'inferno o il paradiso, ma di sicuro, chi ti ha conciato così era un diavolo.- informò e la sua voce era abbastanza angosciata.
Non era Minho, né Alby, né qualcun altro che conoscessi bene, ma sembrava qualcuno dal buon cuore, gentile. Un motivo in più per scoprire la sua identità. Cercavo di mostrarmi calmo nonostante il cuore mi battesse a mille,
-Era solo uno incazzato con la vita. - lo informai, anche se non fui del tutto sincero. Mi toccai la testa dolorante, ancora non riuscivo ad aprire le palpebre.
-Già ed io sono Caronte, il traghettatore della tua anima.- pronunciò serio.
- Non ti credo per niente, dovresti avere una voce posseduta mentre la tua è così ... - mi leccai il labbro e il sapore mi fece capire che stessi perdendo gocce di sangue.
-Così come?- gli scappò un sogghigno e Dio, era la risata più bella e sincera che avessi sentito in diciassette anni di vita.
Caro Newt credo di averti dimenticato.
Deciso ad aprire gli occhi, pronto per abbattere i mattoni che avevo al posto delle palpebre, inspirai per l'ennesima volta e aprii i miei sfavillanti occhi, sicuro che fossero circondati da chiazze di livido violaceo.
-La tua voce è così ... - Quando le immagini che i miei occhi vedevano iniziarono a prendere forma e senso il mio cuore smise di battere.
Tutto divenne nitido e tutto sembrò bloccarsi, come se qualcuno avesse avuto il telecomando per ibernarci.
-Così...- cercavo un aggettivo ma ciò che riuscii a proferii fu soltanto- Newt. - spalancai la bocca tenendola aperta per interminabili minuti, aprivo e chiudevo gli occhi e dandomi schiaffi sul viso dolorante cercavo di capire se fosse reale. Mi alzai di scatto ignorando il dolore lancinante delle ossa del bacino. Nel frattempo il biondo mi guardava con aria shockata.
-Non solo sei stato pestato a sangue, ti meni anche ... caspio che masochista.- aggrottò le sopracciglia ed io non facevo altro che sorridergli come un demente.-Sei serio? Il pive quasi morto sa il mio nome?- mi domandò scettico.
Il tuo nome? Beh saprei anche le tue abitudini, un po' i tuoi gusti, il tuo scrittore preferito, ma non è la circostanza adatta per rilevare queste piccole indagini durate tre mesi.
Deglutii, pregavo il Cielo che quel momento non finisse mai, che restassimo insieme fermi in quella sera di Aprile, su quel marciapiede sconosciuto e che continuassi a contemplarlo in tutta la sua magnificenza.
Mi scappò un lamento.
-Che è successo?- avvicinò la sua testa alla mia, palesemente impensierito.
-Avrò qualche costola rotta ... di sicuro.- volevo ridere, la situazione era anormale e Newt era la cosa più strana di tutte in quel sabato sera.
Mi scappò una risata che evidenziò i miei dolori intercostali.
-Sei un pive strano, sai? Conosci il mio nome, mi guardi come se fossi un panino, sei stato pestato a sangue e ti meni da solo, e ora ... ridi?Beh ... forse è tutto normale, hai l'alito di uno che si è scolato litri e litri di birra.- mentre elaborava la sua tesi, lo fissavo come si guarda un tramonto, un qualcosa di speciale che arriva improvvisamente nella propria vita e sin dal primo momento si capisce la rilevanza che avrà. Qualcuno che non riesci a eliminare né dalla mente né dal corpo. Come un tatuaggio indelebile.
I dolori sebbene accentuati, con lui al mio fianco, parevano diminuire. La mia vita schifosa cinque volte su quattro, con lui al mio fianco, sembrava meno penosa.
-Riesci ad aggrapparti a me o ci vuole una barella?- domandò cauto mettendosi in piedi.
Continuavo a fissarlo come se volessi spogliarlo con gli occhi. Solo in quel momento, quando fu in piedi, notai i suoi pantaloni neri aderenti, le scarpe dello stesso colore, una maglia bianca e un giubbino nero simile a quello invernale che amavo tanto. I capelli erano scompigliati e il suo sguardo dolce era fisso nei miei occhi. Avrei voluto rispondergli "Ci vuoi tu per tutta la vita" ma restai in silenzio, ero già abbastanza stupido e impacciato.
Quella felicità che mi riempiva il cuore di gioia non era scaturita dall'alcol ma era l'effetto che Newt aveva su me.
Eh sì, perché io soffrivo di Newtonite. Una malattia che non avrei mai curato.
Spazio Autrice: Carissimi lettori, amo profondamente i Newtmas e credo si sia capito. Ho pensato diverse volte di scrivere una ff ero sempre indecisa ma alla fine sapete meglio di me come è andata. Beh...questo è solo l'inizio spero che non vi siano molti orrori e che la troviate simpatica. Un bacio e spero di sentirvi!
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