Parte seconda - Sofferenza
- Noo!
L'urlo di Severus lacerò la notte.
Si ritrovò a sedere rigido nel letto, nella sua casa a Spinner's End, il volto e le mani sudate, l'orrore negli occhi neri spalancati.
E il Marchio che, come in un tempo lontano, quasi dimenticato, sembrava di nuovo bruciare sulla sua pelle.
Gli sembrava impossibile: l'aveva quasi scordato, quel bruciore intenso dentro la carne, e, con esso, aveva disperatamente cercato di dimenticare tutto l'agghiacciante disgusto che vi era strettamente legato.
Il suo avido desiderio bestiale e il suo umano, disperato ed angosciato ribrezzo.
Eppure, era innegabile che da mesi il Marchio si fosse fatto progressivamente più evidente, quell'orrido simbolo di morte, sempre più nero e nitido sulla sua pelle pallida.
Ed ora quel sogno tremendo, con tutto quel sangue, quella montante marea di sangue che cercava di travolgerlo e poi sommergerlo.
Odiava il sangue.
Il sangue sulle sue mani bianche e sottili.
E la colpa e il rimorso a lacerargli l'anima.
Il sangue lo disgustava.
Non ne sopportava l'odore.
Ora gli dava il voltastomaco.
Ma c'era stato un tempo in cui l'aveva bramato, con folle determinazione ed avida, inappagabile e disumana sete.
Solo una goccia di sangue.
Di sangue dannato.
Una piccola, minuscola, antica e dimenticata goccia di sangue vampiro, ben nascosta nel suo DNA.
Ma l'Oscuro Signore, chissà come, l'aveva scovata, l'aveva richiamata in superficie e le aveva dato una nuova, macabra e famelica vita.
Era successo tanti anni prima, quando la sua giovane ed ambiziosa follia l'aveva portato a ingrossare le fila dei Mangiamorte. Quando per la prima volta le sue mani si erano macchiate di sangue.
Severus sospirò a quei tremendi ricordi, a quella maledetta scelta che aveva per sempre marchiato il suo braccio e condannato la sua anima, arrivando quasi a distruggere del tutto la sua vita. Quella fatale scelta che aveva permesso a Voldemort di fare di lui lo schiavo più abietto tra tutti i Mangiamorte.
Ancora non sapeva come l'Oscuro Signore avesse scoperto il segreto dormiente che si annidava come un morbo immondo nel suo sangue, tramandandosi di generazione in generazione e che neppure lui stesso conosceva, né sapeva con quale oscuro sortilegio l'avesse risvegliato, amplificato e reso potente al punto di piegarlo e sottometterlo totalmente.
Ma ricordava bene, dolorosamente troppo bene, la macabra sete di sangue che scorreva nelle sue vene fino a farlo tremare di desiderio davanti alle sue vittime, la tremenda necessità di ucciderle per poter soddisfare quella smodata smania e appagare infine l'insopportabile arsura della sua gola.
Sapeva bene di non essere un vero vampiro: poteva tranquillamente stare alla luce del sole, gli specchi riflettevano normalmente la sua spigolosa immagine e, certo, non era immortale dato che il sangue scorreva, apparentemente normale e caldo, nel suo corpo.
Ma, pur se era quel poco cibo che mangiava che lo manteneva in vita, solo il sangue riusciva a soddisfare l'atavica brama che sentiva crescere irresistibile dentro di sé, quel suo istinto raccapricciante di cui Voldemort aveva il pieno dominio grazie ad un'oscura malia e che ogni volta esplodeva sempre più violento e incontrollabile quando l'Oscuro lo avocava a sé tramite il richiamo del Marchio.
Era allora che la sua disgustosa sete, smaniosa come non mai, erompeva di colpo, inarrestabile e incontenibile, e lo trasformava in un orribile mostro. Uccidere era diventato necessario, se voleva saziare quel famelico bisogno che gli bruciava la testa e la gola, se voleva raggiunge il prezioso premio che ogni volta Voldemort gli prometteva allettandolo con ripugnanti immagini.
E lui tremava, di desiderio e di disgusto
Sì, c'era stato un tempo agghiacciante in cui si era trovato al di là del bene e del male, oltre il regno dell'umana natura, affogato solo in un irrazionale ed orrido istinto, che sentiva radicato in sé, eppure era altro da sé, falso, staccato, lontano, relegato in quello che sembrava un incubo infernale.
Un incubo di sangue.
Eppure, in quel tempo lontano, a prezzo d'indicibili sofferenze, infliggendosi inauditi tormenti, con uno strenuo ed ostinato sforzo di volontà era riuscito ad andare al di là di quell'istinto bestiale, era nuovamente riuscito a fare emergere la sua umana natura, a rientrare da quella finestra che Voldemort aveva infranto cercando di farlo irrimediabilmente sprofondare in quell'orrida smania di sangue.
Non sapeva come era riuscito a farlo, forse era stato anche il sostegno che Silente gli aveva fornito o l'aiuto di quella pozione che, almeno in minima parte, sembrava alleviare la sua tremenda sete, ma infine era riuscito a sottrarsi a quella oscura dannazione e a rinnegare Voldemort, a richiamare a sé, con angosciata disperazione, tutta la sua forza di volontà e, a costo d'uno straziante supplizio, che si ripeteva ogni volta che il Marchio bruciava sulla sua pelle, aveva saputo respingere l'istinto e resistere a quell'immondo bisogno, negandolo e ricacciandolo indietro, lontano, nell'Inferno da cui Voldemort l'aveva riesumato.
Il sangue era stato come una droga per lui, l'unica cosa che poteva spegnare la sua tremenda arsura: gli sembrava di non poter vivere senza, eppure voleva, doveva dominarsi e fuggire da quel disumano bisogno. Non poteva più uccidere per soddisfare quella bestiale pulsione, non voleva più spezzare altre vite per rubare loro quel caldo fluido vitale.
La totale astinenza che si era imposto, implacabile, era stata tremendamente dolorosa: c'erano state delle volte che gli sembrava di non riuscire neppure più a respirare tanto la gola, riarsa e secca per quella sete da troppo tempo non più soddisfatta, non permetteva all'aria di raggiungere i suoi polmoni.
Neppure la pozione che aveva distillato poteva aiutarlo, in qui casi: non poteva far altro che fuggire lontano da qualsiasi essere umano, allontanarsi dall'inebriante odore del sangue, così rivoltante per la sua ferrea volontà, ma allo stesso tempo deliziosamente squisito per tutti i suoi sensi, e rinchiudersi nel suo sotterraneo, da solo, stringendo i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi, fino a lacerare in profondità la pelle, guardandosi allo specchio, fissandosi in profondità negli occhi, cercandovi ostinatamente l'umanità che Voldemort cercava di sottrargli.
Quando il bisogno di sangue diventava una tortura insopportabile, scivolava lentamente in ginocchio, e poi a terra. Si raggomitolava su se stesso, mordendosi le labbra per non urlare e graffiandosi il Marchio con le unghie, cercando di strapparlo via: era da lì che nasceva quell'insopprimibile desiderio che lo torturava, era tramite il Marchio che Voldemort cercava di soggiogare la sua residua umanità.
Ma lui non avrebbe ceduto. Mai.
Non cedeva neppure in quelle notti terribili, quando la brama di sangue sembrava farsi del tutto indomabile, là, nel macabro Cerchio di morte, fianco a fianco con le altre bestie che Voldemort dominava con il suo oscuro potere.
Ma Severus voleva essere un uomo, non una bestia, per quanto straziante tormento quella scelta potesse costargli per tutto il resto della vita.
Così riusciva a resistere anche quando l'Oscuro Signore, con un raccapricciante ghigno dipinto come una rossa ferita sul piatto volto di bianco serpente, gli concedeva il tanto ambito premio: il corpo della vittima, grondante di sangue, dove il soffio della vita ancora batteva, labile ma caldo.
Tremava, mentre rispondeva con un ghigno bramoso e allungava avido le mani su quello che presto sarebbe stato solo un povero cadavere martoriato, mostrando a Voldemort, che sempre frugava nei suoi pensieri, i famelici desideri che l'altro voleva vedere: l'immagine di un essere bestiale chino sul collo squarciato, intento a dissetarsi con avidità.
Si allontanava veloce dal falò e dalle risa sguaiate degli altri Mangiamorte, incapace di controllare il tremito delle mani mentre le sentiva riempirsi di sangue, caldo e denso, quel sangue così irresistibilmente agognato ma che si sarebbe inesorabilmente negato, ancora e sempre.
Camminava con quel povero corpo in agonia stretto tra le braccia, augurandosi di non dover uccidere ancora, implorando che la morte sopraggiungesse misericordiosa prima del suo arrivo alla radura.
La radura della pietosa sepoltura, così l'aveva soprannominata.
Il luogo dove in rispettoso silenzio ricomponeva le membra straziate e sanguinanti di quelle povere vittime innocenti, le lacrime a bruciargli le guance perfino più della sete che sempre più crudelmente lo divorava, odiando le sue mani sporche di sangue che, con estenuante lentezza, poco a poco si ripulivano nella terra smossa della fossa che le sue unghie con ostinazione scavavano alla ricerca di una redenzione che non credeva realmente possibile.
Ormai pensava d'essere per sempre condannato a quella vita infernale, a quel tremendo e interminabile strazio, rassegnato a soffrire come un dannato, perché solo un essere dannato realmente era.
Invece, una notte Voldemort era scomparso e, mentre le tenebre del Marchio sbiadivano sulla sua candida pelle, quell'orribile e disgustoso bisogno di sangue era improvvisamente svanito e lui si era ritrovato inaspettatamente libero.
Libero di tornare ad essere solo un normale essere umano.
Con umani desideri.
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