Parte prima - Incubo
Severus è davanti al vetro opaco, incrostato di ghiaccio, di una finestra. È la prima neve, e, per un permesso eccezionale, i ragazzi hanno ottenuto il diritto di giocare fuori, dopo cena. Ridono, cadono, si tirano palle di neve. Lui è irritato, vorrebbe che sparissero. Sul vetro il suo respiro forma nuvole opalescenti di vapore, e lui ha la folle tentazione di scrivere, con un lungo dito sottile, una formula che li faccia svanire. Allunga il dito, sfiora il vetro, e poi cambia idea e scrive "Dove sei?". Osserva i caratteri, le lettera gocciolano, si sfaldano, finché una goccia, invece di scendere in verticale, cambia traiettoria, il suo percorso sfugge e s'incurva in nuove parole, sotto le sue. Lettera dopo lettera, lentamente, appare sul vetro una scritta: "Io non sono più".
Il mago rimase a fissare le parole, immobile, mentre nuove gocce nascevano dalle lettere e come lacrime scendevano lente, straziando con lunghe ferite il vetro della finestra.
Lacrime trasparenti che lentamente s'incupirono e rallentarono la discesa, di nuovo s'incurvarono a formare una scritta che brillò scura sullo sfondo candido e puro della neve al di là del vetro.
"Io non sono più chi credevo d'essere."
Severus spalancò appena gli occhi e trattenne il respiro: le trasparenti gocce di condensa si erano mutate in sangue, rosso cupo, che subito si era rappreso dopo aver formato una nuova scritta al posto di quella precedente.
"Io non sono più un essere umano".
Un gemito strozzato gli uscì dalle labbra sottili, mentre il panorama fuori dalla finestra anch'esso mutava.
Fra gli schiamazzi gioiosi si levò un grido di terrore.
Un ragazzo, per scansare una palla di neve, era inciampato ed era caduto, sprofondando nel soffice manto che, lentamente, si andava tingendo di rosso sotto di lui, in una macchia che si allargava progressivamente.
Un altro studente urlò, colpito al petto da un bianco proiettile nevoso: stramazzò a terra, il sangue che zampillava dal suo cuore e si spargeva sul niveo manto.
La candida purezza della neve era incrinata qua e là da chiazze di sangue che si espandevano a vista d'occhio ai piedi dei ragazzi che spalancavano gli occhi terrorizzati e, lanciando un grido pieno d'orrore, s'accasciavano sulla neve rossa.
- No!
Il grido sfuggì disperato dalle sue labbra mentre allungava impotente le mani, premendole contro il vetro già rigato di sangue all'interno.
Non sarebbe dovuto accadere, non aveva messo abbastanza forza in quel gesto, eppure accadde.
Il vetro della finestra si ruppe.
Andò in frantumi intorno alle dita sottili del mago, straziandole, numerose schegge acuminate a conficcarsi nel palmo delle mani, lame aguzze a incidergli profondamente i polsi.
Il sangue sgorgò, rosso e caldo, in ondate abbondanti e successive guidate dal battito accelerato del suo cuore.
Severus fissò attonito le mani piene di sangue, quasi senza neppure avvertire il dolore intenso delle ferite, innaturalmente attratto dal fluido vitale che rapido abbandonava il suo corpo e gli gocciolava copioso ai piedi.
Non riusciva a staccare gli occhi dal sangue che usciva pulsante dai tagli profondi, ma doveva alzare lo sguardo, doveva riuscirci: dal prato innevato, dal candido manto irrimediabilmente macchiato di sangue, provenivano nuove urla, diverse ora, colme di straziante sofferenza.
Poi si unirono altre risa, traboccanti di crudele piacere.
Le riconobbe subito: non aveva bisogno di guardare per sapere che appartenevano a Mangiamorte che stavano torturando vittime innocenti.
Le aveva udite troppe volte mentre serrava gli occhi, angosciato, per non vedere l'orrore davanti a sé.
Per rifuggire e negare il suo tremendo e disumano desiderio, per resistere a quel profumo inebriante, a quel sapore squisito.
Alzò gli occhi neri, profondi e disperati, grandi e dilatati nel volto pallido, e fissò lo squarcio aperto nella finestra, i bordi taglienti della rottura pieni di sangue, la residua parte di vetro completamente ricoperto di sangue, che grondava e ricadeva fino agli infissi ed al muro di scuro granito rossastro.
Gocciolava al ritmo del suo cuore, come se ogni battito ne sprigionasse una nuova ondata, calda, rovente, pulsante, piena di vita. Scendeva lungo la parete, imbevendola con generosità, e si raccoglieva poi ai suoi piedi in una pozza che si allargava a vista d'occhio.
Intensamente e deliziosamente rossa.
Ondate potenti lo colpirono e lo sospinsero verso l'apertura che, a sua volta, lo attraeva in modo irresistibile, così grondante di sangue, porta affacciata su un altro mondo, atroce e agghiacciante.
Una soglia affacciata sul suo passato di dannato, al quale aveva vanamente creduto di potersi sottrarre.
Tutto quel pulsante calore rosso lo accecava, ma allo stesso tempo lo richiamava verso l'apertura, risucchiandolo inesorabilmente.
Ci fu uno schianto e la finestra, barriera tra i due mondi, scomparve.
Davanti a lui vi era solo un mare di sangue con rosse onde spumeggianti: un orrendo abisso in cui non poteva far altro che immergersi e sprofondare.
Un rosso Inferno che si rifletteva nei suoi occhi, neri di tormentate tenebre.
Ricordò le parole scritte sul vetro, prima dalle lacrime, le sue amare lacrime, "Io non sono più chi credevo d'essere", e poi dal sangue, il suo folle istinto bestiale: "Io non sono più un essere umano".
Era condannato, di nuovo, implacabilmente, ad essere un mostro assetato di sangue.
Il Mangiamorte al suo fianco rise spingendo a fondo l'elsa del pugnale nel cuore del ragazzino inerme.
Corvonero, secondo anno: la mente analitica e attenta di Severus non poté evitare di ricordarne anche il nome. Edwin. Un allievo educato e studioso, più che discreto in pozioni.
Il mago rabbrividì cercando di cancellare l'immagine dell'aula di Pozioni dalla mente.
Il sangue sprizzò fuori con la forza entusiasta di una giovane vita che si spegneva repentina, schizzando anche sul suo viso, calde lacrime rosse sulla sua guancia pallida e fredda.
Severus chiuse gli occhi, di nuovo immerso in un orrore che credeva finito per sempre, dilaniato da se stesso, da tremendi atavici impulsi che la sua mente ripudiava con disperata resistenza, ma che il suo corpo, era innegabile, bramava famelico.
Sentiva il sangue colare lento lungo la guancia ed avvicinarsi piano alle sue labbra convulsamente serrate.
Severus tremò resistendo a se stesso.
Poi ne percepì il pulsante calore e l'inebriante profumo.
La sua mano, contro la sua cosciente volontà, guidata solo da un ancestrale istinto perversamente richiamato alla vita, si avvicinò al volto e le dita, tremanti, sfiorarono il rivolo di sangue, lo accarezzarono, si intinsero nel bramato fluido vitale e le sue labbra si dischiusero appena, irresistibilmente avide di quell'indimenticabile delizioso sapore, la lingua a pregustare lo squisito ed agognato piacere.
Ecco lo sviluppo del primo sottotema della Sfida Incipit: il vetro/finestra inteso come soglia che immette in altri mondi. In quale spaventoso mondo Severus sta entrando lo scoprirete solo più avanti, leggendo la storia.
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