IV

«Hai fatto tardi.»

Un sussurro, appena percepibile, ovattato dalle ombre che si stiracchiavano nella stanza.

Aren si chiuse la porta alle spalle.

«Perché mi hai aspettato in piedi, Cyril? Ti avevo detto che avrei fatto tardi» rispose.

«Non mi piace dormire da solo» pigolò l'altro «E poi, quando so che non ci sei, mi preoccupo e non riesco a dormire.»

Aren si ritrovò a sorridere di quella dichiarazione di affetto così ingenua e genuina. Cyril non aveva paura di esprimere i suoi sentimenti, di mostrarsi anche fragile e indifeso. Lo invidiava per questo: era ancora abbastanza innocente e inesperto da potersi permettere di non sapere che per sopravvivere in quel groviglio di rovi che era il mondo, aveva bisogno di mostrarsi forte e inarrestabile, di nascondere dietro una maschera le proprie debolezze.

Il Vampiro si lasciò sfuggire un sospiro, mentre cadeva sulla poltrona. Cyril gli si era avvicinato, poteva sentire il suo profumo dolce, penetrante, invitante farsi più intenso.

«Mi sei mancato» sussurrò, ad un soffio dalle sue labbra. L'odore del suo sangue lo investì e lo travolse, facendo ruggire di frustrazione la sua fame.

Da quanto tempo non si nutriva? Erano passati quasi due mesi, ormai, da quando era stato cacciato dal Circolo e appena due settimane da quando aveva terminato le sue scorte di emergenza. Non che fosse servito a qualcosa: il sangue di altri risultava insipido e non lo soddisfaceva appieno, lasciandolo fiacco come se non avesse bevuto; dopo ogni sorso sentiva un bisogno ancora più intenso di sangue, del sangue di Cyril, e la brama era aumentata ad ogni sacca che aveva svuotato.

Aveva fame.

Una fame vorace, famelica, che lo stava divorando, e stava lentamente logorando il suo autocontrollo. Fino ad ora era riuscito a trattenersi, ma quell'odore così forte, succoso e così vicino, non faceva altro che acuire la sua fame. Chiuse gli occhi e si morse le labbra, nella speranza di frenare quel desiderio che irrompeva prepotentemente dentro di lui, minando la sua fermezza.

Cyril gli sfiorò le labbra cautamente e Aren dischiuse le proprie in un muto consenso. L'altro ne approfittò per rendere il bacio più intenso; il Vampiro rimase estasiato dalla morbidezza di quelle labbra, dal loro calore, mentre il profumo di lui lo avvolgeva in un abbraccio seducente. Insinuò la lingua nella bocca dell'altro, facendolo sussultare di sorpresa, e lo avvinghiò a sé, circondandolo con le braccia e trascinandolo sulle sue ginocchia. L'intreccio delle lingue lo fece impazzire, il caldo sapore della carne lo infiammò e il corpo tremante di Cyril lo fece andare in visibilio, mentre anche il suo profumo, tentennando spaurito, diveniva ancora più attraente. Attanagliò i suoi ricci castani e spinse quella timida bocca contro la propria mentre la sua lingua vezzeggiava l'altra, accarezzandola mollemente.

Aren abbandonò le labbra di Cyril per passare al suo collo, lo sfiorò lievemente e il profumo della sua pelle lo investì, stordendolo. La sua fame ringhiò bramosa, come un predatore eccitato nella caccia dall'odore della preda portato dal vento. Le sue labbra percorsero quella pelle serica, sfiorandola appena, voluttuosamente, inebriandosi del leggero sapore che emanava. Cyril si abbandonò contro di lui in un sospiro strozzato e Aren ne accarezzò il collo con i denti, quasi volesse assaggiarlo. La morbidezza di quella pelle lo disarmò e il suo sapore lo inebriò. Affondò un poco di più e una stilla di sangue gli bagnò le labbra, una goccia sublime di ambrosia cremisi, dalla dolcezza inenarrabile, che lo mandò in estasi.

Solo allora se ne rese conto: stava perdendo il controllo. Lo spinse via bruscamente e il suo profumo si allontanò con lui.

Uno sguardo confuso e deluso lo inchiodò sulla poltrona, imprigionandolo in quelle iridi di un verde intenso, vibrante, magnetico, che pareva quasi brillare nel buio della stanza.

«Mi dispiace» cercò di scusarsi Aren, alzandosi a fatica dalla poltrona. Quella lotta contro il suo istinto l'aveva stremato, ma ancora una volta la sua ragione aveva prevalso, fortunatamente.

«Mi dispiace» ripeté, mentre si dirigeva verso la camera da letto. Ma lo sguardo abbattuto di Cyril rimase ostinatamente aggrappato a lui, seguì ogni suo movimento. Se lo sentiva addosso, come una cosa fastidiosa che non riusciva a togliere. Il suo profumo, intanto, era scemato, riducendosi ad un fantasma che aleggiava vagamente nell'aria della stanza. Cyril era estremamente triste e deluso, il suo odore diminuiva quando succedeva, come se si raggomitolasse tutto in sé stesso, profumo compreso. Era così che capiva cosa provasse: se era felice, il suo odore diventava insopportabilmente dolce, quasi nauseante; se era arrabbiato, esplodeva in una vampa dal vago sentore di bruciato, che si spegneva subito dopo; se era confuso o incerto, anche il suo profumo era flebile ed esitante; se era triste, diventava quasi impercettibile; se aveva paura, invece, o era eccitato tremava con lui, diventando sempre più intenso, fino a stordirlo e inebriarlo. Temeva il giorno in cui Cyril avrebbe provato una paura o un'eccitazione tali da renderlo irresistibile.

«Ho fatto qualcosa di sbagliato?» balbettò Cyril dall'altra stanza. Il tono della sua voce era lacrimevole, quasi patetico, ma straziante.

Aren non sapeva cosa rispondere. In realtà era anche colpa sua se era divenuto un reietto, un escluso, con una fame indicibile, ma costretto al digiuno, condannato a morire lentamente.

La prima volta che l'aveva visto era insieme ad un gruppo di amici che l'avevano trascinato, a sua insaputa, fino a "Incubi sereni". Un giovane dal volto dai tratti armoniosi e delicati, ancora acerbo e vagamente femmineo, che si guardava attorno spaesato e terrorizzato, con gli occhi grandi, dalla forma allungata, felina, spalancati.

E poi c'era stato il suo odore. Essendo spaventato, il suo profumo si era prepotentemente fatto largo, riuscendo a sovrastare quello intenso e stordente dei vapori profumati, mischiato a quello ancora più greve e penetrante di sesso, che permeava stabilmente l'aria calda del locale. Era un odore dolce, ma non stucchevole o troppo zuccherino, ma di una dolcezza densa e dorata, come caramello. Si era domandato quale sapore dovesse avere un sangue con un odore così invitante. Ma il giovane gli faceva tenerezza e pena, non se l'era sentita di derubarlo in maniera brutale del suo sangue, come avrebbero fatto altri; avrebbe voluto avvicinarsi a lui cautamente, lasciare che si fidasse di lui per poi godere del nettare sublime contenuto in quel calice di carne serica.

Così, all'inizio, si era mostrato amichevole e affidabile nei suoi confronti, quasi come un fratello maggiore che protegge quello più piccolo, e Cyril si era pian piano affidato a lui. Già allora, alcuni membri del Circolo non avevano visto di buon occhio la relazione, ma avevano taciuto.

Con il passare del tempo, però, questa si era evoluta in qualcosa di più, e di più pericoloso, fino a quando Cyril aveva dichiarato nel candore innocente della sua giovinezza, tremante e con voce flebile, di essersi innamorato di lui. Aren era rimasto totalmente spiazzato e ancora di più quando si era reso conto che nel suo cuore albergavano gli stessi sentimenti. Alla fine, l'ingenuità del ragazzo, il suo entusiasmo, la sua tenerezza e la sua disarmante sincerità l'avevano pian piano conquistato senza che se ne accorgesse.

Da allora Cyril aveva preso a seguirlo ovunque andasse, come un cagnolino fedele, e cercava di passare quanto più tempo possibile con lui, insisteva nel volerlo accompagnare ovunque andasse e pretendeva di sapere dove passava le notti quando non era con lui; aveva cominciato a fare domande, a volte insistenti e indiscrete, iniziando a minacciare la segretezza e la sicurezza del Circolo con la sua curiosità. L'avevano sorpreso a girellare incuriosito nei pressi dello studio del Conte, durante una riunione, e anche dalle parti della sede.

«Dovresti tenere a bada il tuo protetto, sta iniziando a ficcare il naso dove non dovrebbe» l'aveva ammonito il Conte la prima volta, la seconda l'aveva posto di fronte ad una scelta: o Cyril o il Circolo. Aren aveva scelto, pagandone le conseguenze.

Il grande problema era proprio il fatto che fosse profondamente innamorato di lui, anche se faceva fatica ad ammetterlo a se stesso.

Per questo motivo tornò indietro e sorprese il ragazzo, strappandogli un bacio.

«Non hai fatto niente» sussurrò «Sono solo stanco» E affamato e in una situazione di merda.
Aren sperò con tutto se stesso che Valentine riuscisse a convincere il Conte a riammetterlo, temeva che alla fine avrebbe perso il controllo e, sopraffatto dalla fame, avrebbe aggredito Cyril e si sarebbe nutrito di lui, fino a prosciugarlo.

Il solo pensiero lo fece rabbrividire di orrore.


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