III

Gli strappò il respiro, avvinghiando con forza le sue labbra alle proprie, in un gesto che indicava possesso e un desiderio feroce e mordente.

Valentine si ritrovò boccheggiante mentre il Conte concedeva una tregua alle sue labbra martoriate dai precedenti assalti, impetuosi e famelici. Il Vampiro lo liberò in un attimo del cappotto e tornò a baciarlo, voracemente, mordendo le sue labbra con foga, quasi avesse intenzione di strappargliele via; dal canto suo, Valentine suggeva quelle labbra fredde e piene ogni volta che lo avvolgevano nei loro baci voraci. Si stavano spostando, senza staccare le labbra, e ben presto l'Incubo sentì la schiena cozzare contro la spalliera di un divano e si ritrovò schiacciato tra il broccato riccamente ricamato e il corpo snello del Conte.

Iniziò a spogliarlo, lentamente, sfiorando volutamente ogni nuovo pezzo di carne scoperta che si increspava per il freddo della stanza e il tocco leggero dei polpastrelli. Scoprì il petto pallido e scolpito, che pareva quasi risplendere alla pallida luce della lampada, e le linee sottili di antiche cicatrici che lo attraversavano, ricordi di vecchie e sanguinose battaglie. Non si era mai domandato quanti anni avesse il Conte, non ne dimostrava più di una trentina, ma i segni che deturpavano il suo petto e la sua schiena lasciavano presagire che avesse vissuto a lungo e avesse affrontato tante battaglie e difficoltà. Accarezzò con la lingua quei segni, seminando una scia di umidi baci lungo il percorso. Arrivò ad uno dei capezzoli ed iniziò a stuzzicarlo con la lingua, sentendolo inturgidirsi sotto quei tocchi leggeri e vezzosi. Il Conte gettò il capo all'indietro, spargendo nella luce soffusa della stanza i ricci scuri, in un'aureola d'ebano. Valentine vi affondò le mani, rimanendovi impigliato, mentre le sue labbra risalivano lungo il collo, facendo fremere il Conte. Gli morse scherzosamente il collo, strappandogli un uggiolato di rimprovero. Risalì fino all'orecchio e iniziò a tormentarne il lobo, con morsi leggeri e baci flebili.

Valentine sentì il freddo delle dita del Conte penetrare all'interno dei suoi vestiti, alla disperata ricerca del calore della sua pelle. Gli tolse la giacca, che gettò a terra, presto raggiunta dal panciotto, e iniziò a scavare febbrilmente nella camicia, annaspando tra le pieghe di lino, mentre l'Incubo lo soffocava con i suoi baci bollenti che lo facevano ruggire e mormorare, come le onde spettinate dal vento di un mare in tempesta.

La luce insicura della lampada creava suggestivi giochi di ombre sul volto dell'Incubo, accentuandone i tratti del viso delicati, ma non femminei e sfuggenti, sottolineando la curva seducente delle labbra, allungando in ombre sinuose le ciglia sulle guance e accendendo il suo sguardo di fiamme fredde, danzati nel mare cristallino delle iridi. Quell'Incubo era quanto di più bello e vicino alla perfezione il Conte avesse mai visto. Pur essendo consapevole del fatto che quello non fosse il suo vero aspetto, ma una maschera, si era ritrovato suo malgrado a scoprire di essere attratto da quella creatura più di quanto volesse ammettere a se stesso. Non era solo fame, era un bisogno viscerale di sentire il calore del suo corpo, il sapore delle sua labbra, il soffio del suo respiro che gli accarezzava l'orecchio, il suo sesso che si ingrossava sotto i suoi tocchi calcolati e sapienti, le sue grida di giubilo e dolore quando lo penetrava con forza. La sensazione di onnipotenza che gli donava il dominarlo e il saperlo completamente sottomesso a lui, al suo volere e ai suoi capricci, come un servo con il suo signore, anche senza bisogno di ricorrere alla Malia. La camicia di Valentine raggiunse quella di raso dell'altro. Il Conte rimase estasiato di fronte alla perfezione delle forme di quel corpo, muscoloso, ma senza esagerazioni, un busto di marmo della statuaria greca accarezzato da farfalle di flebile luce. Valentine iniziò ad accarezzargli la nuca, mentre le sue labbra tornarono a vessare quel pezzetto di pelle estremamente sensibile che aveva appena sotto l'orecchio: ogni volta che lo sfiorava, una scarica di brividi gli faceva contrarre i muscoli in spasmi involontari.

Il Conte fece scivolare una mano lungo i fianchi di Valentine, alla ricerca del sesso. Voleva eccitarlo, sosteneva che il suo sangue fosse molto più buono se era eccitato. Le dita lo sfiorarono esitanti, ma il tocco trapassò la stoffa e procurò una scarica di brividi all'Incubo. Il Conte aveva iniziato a togliergli i pantaloni, che presto raggiunsero il resto degli abiti, sparsi sul pavimento. Un gemito gli sfuggì dalle labbra quando le mani del Conte iniziarono ad accarezzare il suo sesso.

Sentì la stoffa dei pantaloni scivolare via anche dalle gambe dell'altro, il quale permise che le sue mani si insinuassero, audacemente, nei suoi recessi più intimi, ad accarezzargli l'interno delle cosce con gesti lenti e circolari che risalivano lungo la schiena facendolo rabbrividire. Valentine iniziò a sfiorargli il sesso appena liberato dall'impaccio dei pantaloni eleganti e incontrò le mani dell'altro.

Il Conte lasciò che continuasse, facendogli prendere i due sessi nelle sue mani. Il suo respiro si fece sempre più accelerato a mano a mano che i movimenti dell'altro si facevano più veloci e decisi. I loro ansiti rotti si scontrarono nelle loro bocche quando tornarono ad intrecciarsi in baci appassionati, i loro membri rigonfi che palpitavano per esternare il proprio piacere.

Il Conte, senza tanti complimenti, sollevò una gamba dell'Incubo e la sostenne, mentre avvicinava il sesso eccitato all'apertura. Valentine chiuse gli occhi.

L'assalto giunse prepotente e feroce come ogni volta, e come ogni volta, gli strappò brutalmente il respiro dalla gola. L'Incubo si aggrappò ai bordi del divano mentre i movimenti del Conte si facevano sempre più decisi e possenti. Si morse le labbra, cercando di non far uscire le grida di dolore che gli risalivano lungo la gola, gorgoglianti.

Il Conte amava prenderlo violentemente, come se fosse un modo per ribadire i ruoli che ricoprivano: lui quello del comandante e Valentine quello del servo, obbediente e remissivo. Quando la mano del Conte tornò a vezzeggiargli il sesso, dolore e piacere si mischiarono in una cacofonia indistinta di grugniti, sospiri e flebili lamenti. L'Incubo reclinò il capo all'indietro, sciogliendo i capelli in una cascata bianca, che la luce baluginante della lampada ricamava di fili dorati. Si aggrappò con le mani alla schiena del Conte, per evitare di precipitare in quel baratro sospeso tra il più profondo dolore e il piacere più sublime in cui lo gettavano le spinte possenti e i movimenti misurati sul suo sesso.

Tirò un sospiro di sollievo quando sentì il Conte scivolare via da lui, le sue mani, però, continuavano ad accarezzare il suo sesso. Quando lo sentì piegarsi su di lui e il suo respiro caldo solleticargli il collo, emise un sospiro rassegnato. Valentine venne nello stesso istante in cui il Conte lo morse. L'Incubo gridò: un dolore indicibile lo travolse e lo stordì. Iniziò ad annaspare alla disperata ricerca di aria mentre la presenza del Conte sopra di lui lo soffocava e lo stordiva. Sentiva il proprio sangue fluire nella bocca dell'altro, lo sentiva bere avidamente, suggendo con forza; era una sensazione terribile, a cui non era mai riuscito ad abituarsi. Valentine sentiva le sue forze venir meno e il suo corpo ruggire dalla rabbia, intimandogli di sottrarsi a quella tortura che lo stava prosciugando lentamente. Il Conte, come sempre, si stava abbeverando di lui fino a lasciarlo allo stremo delle forze, ma senza svuotarlo completamente.

Dopo un tempo che parve interminabile, la sete del Conte parve, finalmente, placarsi. Si allontanò da lui, i capelli spettinati, la bocca tinta di cremisi, le mani sporche dello sperma dell'altro e gli occhi accessi di una luce sinistra e lugubre che si spense subito dopo.

Il Conte riacquistò il suo solito sguardo freddo e calcolatore. Si alzò dal divano a fatica, e si avviò nella stanza accanto, per darsi una ripulita. Valentine rimase sdraiato sul divano, stordito ed esausto. Non aveva nemmeno la forza per seguire l'altro nella stanza da bagno poco lontana. Chiuse gli occhi, cercando di recuperare un poco le forze.

Sentì un leggero colpetto alla spalla e quando riaprì gli occhi incrociò lo sguardo algido del Conte, che tra le dita sottili stringeva un calice di vetro in cui turbinava quella che aveva tutta l'aria di essere nebbia.

«Distillato di Incubi, per farti riprendere più velocemente» gli disse porgendoglielo. Valentine bevve avidamente e sentì il sapore dolceamaro del distillato ridonargli le forze. Si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo e gratitudine. Il Conte si era lasciato cadere sul divano e gli aveva fatto cenno di avvicinarsi, l'Incubo obbedì e si raggomitolò accanto a lui, stringendosi al suo fianco.

«Non mi hai ancora dato un buon motivo per riammetterlo» gli ricordò, accarezzando distrattamente la sua spalla nuda. Valentine rimase leggermente spiazzato dalla domanda, non credeva che l'avrebbe comunque pretesa, non dopo quello che avevano fatto. Fortunatamente riuscì a trovare una motivazione che gli parve abbastanza valida.

«Grazie a lui potreste eliminare quella Spina nel fianco» propose l'Incubo in un soffio.

Da giorni i membri del Circolo erano inquieti per le voci che circolavano sul conto di una spia mandata dalla Spina di Sangue per carpire informazioni sul conto del Circolo stesso e poterlo debellare, molti sospettavano che si aggirasse proprio per i corridoi di '"Incubi sereni", rischiando di svelare non solo il segreto del successo del bordello ma anche di minare la sicurezza dell'organizzazione stessa, di cui il Conte era uno dei membri più eminenti. Lui stesso nutriva dei forti sospetti, che aveva rivelato in confidenza a Valentine.

«Mi ha cercato, strisciando ai miei piedi per implorare il mio aiuto... È disperato, la fame lo sta logorando. Alla fine la brama di sangue prenderà il sopravvento e lui lo ucciderà, che lo voglia o no... Tu potresti fornirgli un piccolo incentivo» sussurrò Valentine, un sorriso crudele a distorcere il bel disegno delle labbra.

Il Conte non rispose ma posò lo sguardo lontano, oltre le cortine di damasco che oscuravano le ampie finestre. Stava soppesando l'idea.

«Ora come ora potrebbe rivelarsi la nostra migliore soluzione, ma anche la nostra rovina. È un'arma a doppio taglio, e ho imparato a mie spese che le lame fanno sanguinare sia che siano usate con maestria sia che sia un incapace ad impugnarle. Ma la tua è un'argomentazione interessante, su cui devo riflettere...» rispose alla fine, ma nei suoi occhi brillava quella che aveva tutta l'aria di essere una scintilla di meraviglia e ammirazione.

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