CAPITOLO 72
Agnese
Non so quanto tempo sia passato ma continuiamo a guardarci uno negli occhi dell'altra.
Le mani tremano e stringono tra le dita quel piccolo e bianco pezzo di carta.
Cuore o mente?
Qual è la scelta migliore?
Le lacrime scendono, mentre il muscolo nel mio petto, freme dallo schiantarsi contro il suo.
Ma forse, stavolta, dovrei ascoltare la mia coscienza.
Ma non ci riesco, sono troppo debole e piena d'amore per seguire un cervello fin troppo pensante.
E corro, mi fiondo giù dalle scale.
Affannata.
Desiderosa.
Felice e triste.
E lo vedo.
Lo vedo sconfitto e rattristato mentre l'acqua piovana gli bacia la pelle.
Lo vedo mentre sta per salire in macchina e lasciarmi libera per sempre.
Ma le mie corde vocali librano, urlano e graffiano per farsi sentire.
Si gira e mi guarda.
Guarda me, soltanto me.
I suoi occhi.
I suoi occhi sono diversi.
Nuovi.
Verdeggianti.
Lucenti.
Come i fili d'erba dei paesaggi più belli.
Brillano, quelle giade.
Sono di un verde smeraldo, brillante e vivo come non mai.
Sono io a renderti così, o è solo un'illusione?
Un passo.
Due passi.
Tre.
Quattro.
Finché non corriamo, come calamite impazzite desiderose di scontrarsi.
E adesso siamo a due centimetri di distanza.
Con i fiati sospesi.
Le mani ferme, con la voglia di esplorarsi a vicenda.
Occhi negli occhi.
Divisi da un solo respiro.
Basta poco.
Le sue mani sono sul mio viso.
Chiudo gli occhi.
Un brivido mi percorre la colonna vertebrale.
Sento freddo, nonostante sia estate.
La pioggia e la brezza mi penetrano nelle ossa e nella pelle.
Ma non m'importa.
Non interessa.
Un male minore, non può nuocere come la sofferenza di non averlo e sentirlo al mio fianco.
Mi accarezza.
Dolcemente.
Mi osserva sotto le sue lunghe e bellissime ciglia.
E adesso, mi stringe a sè.
Mi stringe come un bambino farebbe con il suo peluche preferito.
Come una madre con il proprio figlio.
Come se fossi la luce nelle tenebre.
"Pensavo non saresti venuta.
Me lo sono ripetuto come un mantra.
Non verrà, ci siamo fatti male troppe volte.
Non verrà, mi dicevo.
Sei qui, tra le mie braccia.
E le gambe mi tremano.
Il cuore mi trema.
E anche le mani tremano.
Ti amo Agnese.
L'ho capito troppo tardi.
L'ho capito quando ti ho vista andar via.
L'ho capito quando ti stavo perdendo.
Ti amo.
Ti amo.
E non ho avuto a che fare più con nessun'altra donna all'infuori di te.
Layla è venuta per stuzzicarmi.
Mi stavo vestendo per uscire e tu hai frainteso, pensando avessimo avuto dei rapporti.
Ma la realtà è che non ho mai avuto pensiero per nessuna che non fossi tu.
I tuoi occhi, le tue labbra, il tuo sorriso.
Solo tu, Agnese.
Ti amo."
Le mani afferrano i suoi capelli bagnati e la mia lingua è già nella sua bocca.
La musica accompagna i nostri battiti e assorbo le parole che sembrano fatte apposta per la nostra storia.
"Che queste braccia sono così stanche, stanche di respingerti ora, che queste braccia ti stanno aspettando ancora"
Ed ero lì ad aspettarti.
Ero lì, lì, a pensarti.
E sei qui, qui a baciarmi.
Siamo qui, qui a cercarci ancora.
Dopo le cadute.
Le ferite.
Gli amori impossibili.
Siamo qui.
Siamo un momento.
Un momento infinito o un istante non importa, basta che sia con te.
Con te, che sei il padre di nostro figlio.
Con te, che sei e sarai il mio primo amore.
Gelo, ma lui mi scalda e mi infiamma.
Mi bacia e mi tortura le labbra.
Mi guarda e mi bacia di nuovo.
Ancora e ancora.
Un momento che vorrei non finisse mai.
Mi stringe le mani tra le sue e mi porta via dalla pioggia.
La pioggia che ci ha lavati.
Che ci ha cambiati.
Che ha tolto i pesi dalle nostre anime.
Che ha lavato via i nostri trascorsi.
Che ha gelato e al contempo sciolto e unito i nostri cuori.
Mi porta via dal rumore.
Mi porta via dell'infelicità.
Mi porta via dal freddo.
E mi conduce al silezio.
Nel mio appartamento.
Nel mio bagno.
E mi spoglia.
Lentamente.
Mentre i suoi occhi infiammano i miei.
E io lo lascio fare.
Finché le palpebre non si chiudono.
Finché non sento le sue mani sulla mia pelle.
Finché non sento nuovamente le sue labbra poggiarsi sulle mie.
E mi abbandono.
Cado.
Cado tra le braccia dell'amore.
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