CAPITOLO 67

Agnese

Francesco piange non appena la porta si chiude, e io con lui.

Dovrei calmare mio figlio e tranquillizzarlo, ma come farlo, se prima non sono io ad esserlo?

Prendo il telefono tra le dita e compongo il numero dell'unica persona in grado di aiutarmi: Clara.

Uno squillo.
Due squilli.
Tre squilli.

Al quarto risponde, e le parole escono fuori come una raffica di frecce sul nemico.

"È successo un casino, questa non me la perdonerà mai ed è solo colpa mia!"

Le lacrime mi solcano le guance, mentre corrono giù,  infiltrandosi tra gli angoli della bocca, facendomi assaporare quel gusto salato e amaro, della sconfitta.

Sconfitta, che io stessa ho creato.
Massi, muri fortificati e invalicabili, costruiti dalle mie mani, ora sono rovinosamente ammassate una sull'altra, e l'artefice sono solo io.

Solo e soltanto io.

"Calmati, tra poco sono lì da te"

Chiude la chiamata, mentre io sobbalzo e osservo lo schermo nero del telefono.

Mi alzo, ancora con l'iPhone tra le mani, mentre agitata cammino avanti e indietro per il salotto.

Mi avvicino al lettino di mio figlio, e lo prendo tra le braccia.

Urla e sgambetta agitato, quasi mi rifiuta.

Come se capisse che io, sua madre, sono la causa dei suoi mali.

Me lo fa vedere.

Il suo rifiuto è la conferma che ciò che è successo oggi, e non è altro che la somma delle mie conseguenze.

Conseguenze delle quali, ogni secondo, minuto e ora che passa, sento perforarmi gli organi.

Strapparmi l'ossigeno e farmi annaspare come un'ossessa, per un po' di tregua.

Mai, prima di adesso, Francesco ha dimostrato questi atteggiamenti nei miei confronti.
Mai.
Nemmeno una volta.

E adesso?
Mi odi?

Il suono del campanello mi riporta alla realtà, così mi dirigo all'ingresso per aprire.

"Non dire nulla."
Mi ammonisce, prendendo tra le braccia mio figlio.

Si sposta nella stanza più remota della casa, mentre intona la ninna nanna preferita di Francesco.

La sua voce giunge alle mie orecchie, in modo ovattato.

Non è la prima volta che canta, lo fa quando quel piccolo pargolo non riesce a calmarsi.

Una nota della dolce e melodiosa voce di Clara e lui crolla.

E quasi quasi, mi rilasso anch'io.

Il cuore si placa di un poco.
Il respiro si regola.
Ma è solo calma apparente la mia, calma, prima della tempesta.

La sento chiudere la porta e avvicinarsi lentamente nella mia direzione.

"Allora, cos'hai combinato per far sì che pure tuo figlio ti respinga?"

Siede al mio fianco, mentre i miei bulbi oculari, riprendono a inumidirsi.

"Sa tutto Cla, non so come, ma sa tutto"

Sbuffa e poi mi stringe la mano.

"Avevamo pattuito che in qualche modo gli avresti detto la verità, perché non lo hai fatto?"

Muta.
Silenzio.
Nulla.
Vuoto.
Niente.

Non fiato, perché so di aver sbagliato e di non aver mantenuto fede alla mia promessa, ma lei non sa cosa provo.

"Quindi?"

Prendo un respiro profondo e sputo fuori ogni cosa.

"Mi sono innammorata, mi sono innamorata di lui!
Non è  stato facile.
Glielo avrei detto, non subito, non adesso, ma lo avrei fatto.
Non so come sia successo, ma adesso mi ritrovo con un cuore rotto tra le costole, ed è solo colpa mia"

Lei mi abbraccia, mi consola e mi stringe a sé.

"Perché non mi hai detto nulla?
Insomma, ti ho vista cotta, ma non fino a questo punto..."

"Hai fatto un bel casino, lo sai?"

Le lancio un'occhiataccia.

"Grazie del conforto, eh"

Sorride e mi asciuga le lacrime.

"Ascolta, questa è l'incazzatura a parlare al posto suo.
È solo arrabbiato perché si è sentito tagliato fuori da ogni decisione, si risolverà tutto.
Non preoccuparti"

Mi alzo bruscamente e presa dal nervoso, sbatto le mani con prepotenza sul tavolo.

"No! Tu non capisci!
Non passerà nulla, non si risolverà un bel niente.
Non è solo questione di "tagliato fuori".
Suo padre lo ha abbandonato quando era piccolo e con le mie azioni e i miei gesti, si è ritrovato in nostro figlio.
Sì è sentito colpevole di non averlo accudito, di non essersene preso cura, proprio come suo padre ha fatto con lui.
Mi ha dato dei soldi per il test del DNA, dicendo che molto probabilmente le mie bugie avrebbero toccato la questione di essere o non essere il padre.
Il suo perdono non lo avrò mai.
Mai.
Non serve far sbollire la rabbia, è  tutta la vicenda ad averlo toccato nel profondo.
Credo di aver buttato sale e sradicato una ferita che ancora non era del tutto chiusa e rimarginata, Cla."

"Che stronzo...
Tra stronzi ci si comprende.
Stronza tu, stronzo lui, una gran bella coppia di stronzi!
Senti, non farti travolgere dai suoi comportamenti.
Non lasciare che abbia il sopravvento, gestisci ogni cosa.
Lascia passare qualche giorno e poi ripresentati con una scusa.
Nella vita ho imparato una cosa: senza comunicazione e dialogo, un rapporto non dura.
Senza chiarimenti, ognuno ha la propria visione.
Senza interpellare l'altro, non si cercherà mai di capire e vedere con occhi diversi, come si è svolta realmente situazione.
La prospettiva è, e deve essere vista, da due punti differenti.

Non si può mai ascoltare un'unica versione.
Come pensi che i casi vengano chiusi?
Ascoltando e interrogando solo un sospettato?
No!
Più versioni hai, più prove raccogli.
Lascia calmare le acque e ritenta, il secondo tentativo, non puoi sbagliarlo"

"Togliti quel Broncio dal viso e regalami un abbraccio"

Le sorrido di cuore e mi fiondo sul suo petto.

Sarà davvero così?
Basterà lasciare che la tempesta si plachi per uscire allo scoperto e parlargli?
La vita non ha nulla di facile, ma vale la pena rischiare.
Sempre.

Hola!
Sono sparita per un po', ma tranquille il capitolo lo scriverò sempre.
Spero vi piaccia, la fine si avvicina sempre più!

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