CAPITOLO 65

Nicholas

Il bambino continua i suoi piagnistei, mentre io mi perdo ad osservare nuovamente i suoi lineamenti.

Mi assomiglia così tanto.

Mi avvicino e tendo le braccia verso di lui.

"Cosa stai facendo??"
Chiede Agnese con voce tremante.

Non mi curo di lei e prendo mio figlio tra le braccia.

Non avevo mai provato una sensazione simile.

Il cuore si alleggerisce un po', mentre il bimbo che stringo al petto, punta le sue gemme nelle mie.

Piagnucola per poco, ma poi smette.

La sua rabbia si arresta.
La sua ira, sparisce.

Ci guardiamo per la prima volta.

Ci studiamo.

"Come lo hai chiamato?"

Le domando, mentre la manina di mio figlio stringe la mia.

La rabbia che ho accumulato in queste ore, non è ancora svanita.
Ma questo piccolo esserino, la placa e la fa scemare come se nulla fosse successi.
Lui non c'entra niente con ciò che abbiamo fatto tempo fa, nei bagni di quella discoteca.

Sarebbe un'ingiustizia far ricadere su un innocente, colpe che nemmeno ha.

Sono solo arrabbiato con lei.
Lei che non ha avuto i controcoglioni per dirmi la verità.

"Quindi? Come si chiama mio figlio?"

La guardo ancora con un pizzico di rabbia, finché lei non cede e parla.

"Francesco"

Francesco.
Libero.

Il suo nome significa libero.

Dio, non c'è nome più sbagliato.
Libero?
È imprigionato in una vita che non si è scelto, e lei lo chiama così?

Sorrido.
Un sorriso divertito, perché la vita continua a burlarsi di me.

Io non sono mai stato: "libero"

Ma questa volta, non permetterò che la scena si ripeta.

Ho sofferto io per entrambi, non accadrà di nuovo.

Dicono che i bambini appena nati, nascono miopi.

Vedono sfocato e fanno fatica a distinguere i colori.

Ma Francesco avrà qualche mese ormai, e il mio viso lo vede nel dettaglio.

E come se mi avesse letto nel pensiero, mi regala un piccolo e dolce sorriso sdentato.
Gengive umide e guanciotte paffutelle si allargano in qualcosa che fanno vibrare il mio cuore.

E tutto ciò, non fa altro che convincermi ad essere un buon padre.
Un padre che io ho sempre sognato emai avuto.

Sarai libero.
Un Aquila Reale che vola nel il cielo.
Che sfreccia tra le pallide nuvole e sorveglia la terra dall'alto.
Sarai libero.
Libero come io non sono mai stato.
Ti darò tutto l'amore possibile, non sarai come me.

"Voglio raccontarti una cosa di me, Agnese."

Le dico, con voce melliflua mentre appoggio il pargolo nella culla.
Sembra rattristarsi, così lascio una dolce carezza sulla sua pelle delicata e lattea, poi mi giro verso sua madre.

Alzo la maglia, senza sorriderle maliziosamente.
Non questa volta.

"Ti sarai chiesta più volte perché questo tatuaggio, vero?"

Lei annuisce, mentre lacrime calde e amare, continuano a rigarle il volto.

"La gente si aggrappa all'abitudine come ad uno scoglio, quando invece dovrebbe staccarsi e tuffarsi in mare. E vivere."

Bukowski.

Dico a voce alta, mentre accarezzo il tatuaggio.

"L'ho fatto a 18 anni.
Mio zio quando l'ha scoperto si è arrabbiato.
Ma poi, leggendo le parole, si è commosso e mi ha abbracciato."

"Quel tatuaggio mi ricordava ogni giorno che avrei dovuto vivere.
Vivere per mie madre, per me, per tutte le persone che ho perso nella mia vita.
Ho avuto una madre che è morta giovane per una malattia rara.
Ho sofferto tanto.
Troppo.
A lungo.
Lei non avrebbe voluto ciò, così ho preso i soldi di nascosto dal portafoglio di mio zio, e sono andato a farmelo.
Avevo bisogno di un promemoria per tutte le volte che avrei ceduto e mi sarei fatto inghiottire dalla disperazione.
Quel bambino sono io.
Il palloncino sono mia madre e mio padre.
Due estremi opposti."

Indico il fanciullo e poi la palla rossa che fluttua nell'aria.

"Non ho mai parlato di mio padre.
La foto che ho a casa, mi ricorda un momento felice della mia vita.
E non so perché, ma non riesco a sbarazzarmene.
Ho odiato quell'uomo.
Ho odiato i suoi gesti e le sue azioni per molti anni.
Vuoi sapere perché, Agnese?"

Lei rimane muta mentre tanti singhiozzi le percuotono le membra.

"Perché quando ha saputo che mia madre era affetta dalla "Maledizione di Odine" lui ci ha abbandonati.
Se n'è andato.
Così, su due piedi.
Senza avvisare, senza dire nulla.
Non ha mai detto il perché, ma penso che per lui, occuparsi di una malata e di un bambino da solo, fosse un peso.
Così si è lasciato i problemi alle spalle e non è più tornato".

Rivelo, mentre i miei occhi non lasciano i suoi.

La mia voce non trema.
Non più ormai, da tempo.

Le cicatrici restano, ma il dolore passa.

"Io... Mi dispiace"
Riesce a dire tra le lacrime.

Perché piange? Il senso di colpa? Per la mia storia?
Non importa, ormai il danno lo ha fatto e tutto questo è imperdonabile.

"Vuoi sapere una cosa?
Per un momento mi sono sentito mostro come mio padre.
Ho lasciato da solo mio figlio, senza una figura paterna che lo crescesse con amore.
Mi sono sentito così, Agnese.
E la colpa è tua.
Tua, che hai nascosto tutto ciò con una naturalezza impressionante.
Io e Francesco siamo le vittime del tuo gioco.
Avresti fatto così anche con lui?
Se non mi avessi incontrato nuovamente, e tuo figlio sarebbe cresciuto, cosa gli avresti detto?
Eh?
Avresti mentito come hai fatto con me?
Avresti detto che suo padre non l'ha voluto, quando in realtà suo padre non sapeva nulla?
Mi avrebbe odiato.
Mi avrebbe odiato senza sapere la verità.
Questo non te lo permetto."

Si accascia a terra disperata, mentre trattiene a stento le lacrime.

Il senso di colpa la sta logorando, lo so.
Ma non mi basta, voglio darle il colpo di grazia.

Mi piego sulle ginocchia per poterla guardare in faccia e poi estraggo dei soldi dal portafoglio.

"Questi soldi sono per il test del DNA.
Verrò a prendere Francesco tra qualche giorno e andremo a farlo.
Con tutte le cose che non mi hai rivelato, non vorrei che anche questa fosse una stronzata.
Nel caso rimangano dei soldi in più, spendili per lui.
Non ho intenzione di andarmene, nel caso Il test fosse positivo.
Voglio crescerlo anch'io e ci organizzeremo con i giorni di visita."

La lascio da sola.
So già che Francesco è sangue del mio sangue, i suoi lineamenti parlano.
Ma il mio intento è solo di ferirla ulteriormente.

Non volevo umiliarla così tanto, ma  restituirle in parte il dolore che lei ha provocato a me, mi gratifica almeno un po'.

Non sono mai stato vendicativo e così tanto bastardo con qualcuno, ma se l'è cercata.

"Ah, un'ultima cosa."

Mi arresto dandole le spalle.

"Non ti perdonerò mai.
Mai, Agnese."

E l'ultima cosa che sento prima di chiudere la porta, sono singhiozzi potenti accompagnati da intense lacrime che Agnese versa sul pavimento scuro di casa sua.

Piangi, perché ho pianto anch'io.

Allora.
Quanto odiate Nicholas da 1 a 10?
Io tanto, troppo.
Adesso sapete cosa ha vissuto nella sua infanzia.
Sapete perché qu3lla foto e quel tatuaggio.
Sapete ciò che ha passato e ciò che ha vissuto. Cercate di capirlo enon odiatelo troppo.
Certo, ha fatto del male ad Agnese, ma ricordate che lei ne ha fatto altrettanto.
Spero vi piaccia, un bacione!❤

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