3- Vacche al vento
Riassunto:
Madison va alla Heart Attack Academy e, dopo la lezione, torna a casa con il suo amico, Andrew. Mentre sono tutti in salotto, il meteo annuncia l'arrivo di una tempesta a Rockport e dintorni. Madison riceve una chiamata che la sconvolge. La sua prima ballerina è morta!
In questo capitolo ritroviamo Brandon alle prese con la sua partenza per Rockport, proprio la sera in cui dovrebbe scagliarsi una violenta tempesta sulla Contea di Essex. Ma... quando parte lui non ne sa niente🙊
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Erano passate dieci ore da quando avevo scoperto di essere sposato con quella pazza della mia ex e ancora non riuscivo a capacitarmene.
Mandai giù l'ulteriore sorso di bourbon e strinsi gli occhi per il bruciore alla gola.
Reggere l'alcol non era di certo la mia dote migliore, ma era proprio questo il punto. Non volevo restare sobrio, dovevo scacciare dalla testa quella voce odiosa che ci sguazzava dentro. Lauren si prendeva gioco di me e il mio subconscio le lasciava libero spazio per torturarmi.
"Siamo legati per sempre, Brandon. Tu non ti libererai mai di me" mi ripeteva di continuo. Poi iniziava a ridere in quel modo snervante e io uscivo matto.
Dannazione! Non ce la facevo più. Avevo il disperato bisogno di sbronzarmi fino a non sentire più nulla, neanche il mio stesso respiro. E sarebbe bastato molto poco.
«Mi scusi, può portarmene un altro?» Ordinai alla cameriera il secondo bicchiere di bourbon, di quella che sarebbe stata una lunga serata all'insegna dello sballo.
Nell'attesa del drink, i ricordi si fecero sempre più vividi. Ciò che non mi andava proprio giù era sentirmi lo stesso ragazzino ingenuo che aveva intrapreso una relazione tossica anni addietro.
Lauren era stato il mio primo amore, non era una cosa da niente. La mia prima volta era stata con lei, i miei primi sbagli li avevo commessi con lei, e la mia prima e unica devastante delusione d'amore l'aveva causata lei, sempre lei.
Mi massaggiai le tempie compiendo movimenti circolari. Serrai le palpebre e, nel buio, i suoi occhi azzurri mi infuocarono brillanti e malefici.
Era una donna per cui o perdevi la testa o tremavi dalla paura.
Lauren era adrenalina e mistero allo stato puro, bellezza e sensualità disumane, il diavolo con le ali di un angelo. E io mi ero fatto trascinare dritto all'inferno, convinto di essere in paradiso.
Non avevo dimenticato neanche un solo tratto del suo viso o del suo corpo, tutto era cristallino nelle mie memorie.
La sua bocca era qualcosa di indescrivibile. Ogni volta che le sue labbra piene mi sfioravano, la mia pelle reagiva rabbrividendo.
Le sue mani erano fiamme ardenti, pronte a marchiarmi e darmi calore.
I suoi fianchi erano colline morbide e accoglienti, su cui vivere di sogni o morire di illusioni.
Le sue gambe erano state la chiave del mio rifugio, il posto in cui affondare tutte le ansie e le inquietudini, senza via di ritorno.
Giorno dopo giorno me ne ero fottutamente innamorato, sarebbe stato impossibile evitarlo.
Poi era arrivato il colpo di grazia.
Una mattina, tra le lenzuola del letto in cui avevamo fatto e rifatto l'amore per tutta la notte, avevo trovato una lettera da parte sua. E tanti cari saluti Brandon!
Ricordavo ancora quel pezzo di carta. Profumava di petali di rosa, ma le parole che conteneva furono spine pungenti per il mio cuore giovane e stregato. Mi aveva lasciato, dopo anni, con una stupidissima lettera. E da allora non l'avevo mai più rivista o sentita.
«Che cazzo fai ancora qui, Randy? La bella addormentata?»
Credetti di essere totalmente impazzito quando la voce di Liam tuonò squillante nei miei timpani.
Spalancai gli occhi e la mia migliore amica si materializzò davanti a me, seduta al mio stesso tavolo: quello che avevo scelto per stare da solo con le mie disgrazie, nell'angolo più isolato e remoto del bar.
«Liam! Sei davvero qui o è un'allucinazione?»
Allungai una mano per tentare di toccare i suoi capelli lunghi, mossi e dall'aria ribelle.
Lei mi tirò uno schiaffo sulle dita fastidiosamente pungente, prima che potessi anche solo sfiorarle una ciocca.
«Giù le zampe, ubriacone» mi ammonì con tono scontroso.
«Non sono ancora ubriaco, ho bevuto solo un bicchiere» confessai.
«E allora perché credevi che io fossi un miraggio? Sappiamo entrambi che reggi l'alcol come la merda».
Aveva pienamente ragione, ma sfortunatamente ero lucido come uno specchio.
La cameriera avanzò sui suoi tacchi verso di noi, con il bourbon in mano.
Liam lo afferrò prima che potessi fermarla.
«Questo lo prendo io. Può tornarsene da dove è venuta, ora».
Le mostrò un sorriso falso come una banconota del monopoli e quella marciò in ritirata strozzando un'urlo frustrato.
«Quando la smetterai di fare questo effetto alla gente?»
Mi passai una mano tra i capelli, soffocando una risata.
Lei fece una smorfia accompagnata da un gridolino rauco.
«Faccio questo effetto solo alle donne, gli uomini mi stanno simpatici. Più o meno».
«Forse non è stato un caso che ti abbiano dato il nome di un maschio» ipotizzai, dimenticandomi solo per un attimo di Lauren e i suoi sporchi giochetti.
«Sai anche tu come è andata quella storia. I miei volevano un figlio maschio e quando hanno scoperto che avevo la patata tra le gambe, hanno perso il senno e mi hanno trattata come Lady Oscar».
Sbuffò scocciata e trangugiò il mio bourbon tutto in un sorso.
Al che le rivolsi uno sguardo di fuoco, ma lo ignorò con nonchalance. C'era un motivo se Liam era la mia migliore amica: era l'unica capace di farmi innervosire e ridere allo stesso tempo.
«Ma parliamo di te, sposino novello. O forse non proprio... sono comunque sette anni che sei sposato!»
Picchiettò l'indice sul mento con fare riflessivo.
«Con una psicopatica che te l'aveva tenuto nascosto, ma sei comunque sposato da sette anni. E ciò che dovresti fare è andare a Rockport e tagliare fuori dalla tua vita Lauren Brutta Stronza. Invece, sei ancora qua a ubriacarti. Ma che hai nella testa!»
Mi colpì in fronte con una testata.
Mi ritrassi, mordendomi il labbro con forza per il dolore.
Lei mi derise. «Femminuccia».
Mi fece la linguaccia.
Le afferrai il polso e strinsi gli occhi a due fessure.
«Femminuccia a chi! Devo forse ricordarti quante volte ti ho battuto a braccio di ferro?»
Ammiccai soddisfatto, facendo scontrare il mio naso con il suo.
«Non ce n'è bisogno, sono state settantacinque. Le ho contate affinché potessero ricordarmi quanto odio perdere. Aspetto solo il momento in cui sarò più allenata per stracciarti. Ti umilierò, Randy».
Si strattonò dalla mia presa e incrociò le braccia in grembo.
Il bello di Liam era che non contava che fosse una donna, a me sembrava sempre di essere con il mio più caro degli amici. Era forte e determinata, proprio come me. Non si tirava mai indietro nelle sfide e mi sorprendeva ogni giorno che passava.
Mi fissò truce e immobile. Voleva una risposta, ma ancora non ce l'avevo.
«Liam... non posso tornare da quella donna. Tu lo sai, mi ha spezzato il cuore. È questione di orgoglio, e tu dovresti capirmi meglio di chiunque altro».
Serrai la mascella al solo ricordo del periodo che avevo passato, in seguito al suo abbandono.
La mia amica sembrò addolcirsi, distendendo le sue labbra in un sorriso confortante e condiscendente. Poggiò i gomiti sul tavolo e abbassò lo sguardo.
Seguirono istanti di silenzio. Liam era stata al mio fianco per tutto quel tempo, in ogni occasione. C'era quando avevo iniziato a ridurmi uno straccio ogni sera, tra alcol e malcontenti, c'era quando compravo un telefono nuovo alla settimana, dopo averli spaccati uno a uno senza ricevere una risposta alle mie chiamate. Semplicemente, c'era quando Lauren mi aveva lasciato a marcire nel mio lerciume di vita.
D'improvviso scattò con il capo dritto verso di me.
«Devi partire ora. Non puoi aspettare ancora, non voglio vederti soffrire come un cane per la seconda volta». Piantò con prepotenza i suoi occhi scuri nei miei, quasi a volermi ipnotizzare.
Scossi il capo cercando di obiettare, ma portò il suo indice sulle mie labbra e mi zittì prima ancora che potessi emettere un fiato.
«Prima la elimini dalla tua vita, meglio sarà per tutti. Non mi è mai troppo piaciuta quella bacchettona di Kristal, ma almeno lei ti ama davvero. Sposala e inizia un nuovo capitolo con lei» proferì convinta e decisa.
Inutile negare l'influenza che aveva su di me.
Dieci minuti dopo mi ritrovai sulla soglia di casa mia, con le valigie preparatemi da Kristal e il suo sguardo titubante.
«Promettimi che tornerai presto e che...»
La mia fidanzata, con una mano sullo stipite della porta, trattenne il fiato.
Non avevo idea di cosa volesse dirmi, d'altronde non aveva mai espresso le sue angosce o i suoi tormenti.
«Che cosa?»
Percorsi con le dita i suoi lineamenti sofisticati e puntai lo sguardo oltre la sua figura, bloccandomi sull'orologio che segnava le sette in punto.
«Se hai bisogno di chiedermi qualcosa, fallo in fretta. Vorrei arrivare a Rockport prima che si faccia buio» dissi, trepidando in attesa.
«Niente, mi fido di te».
Rinunciò. Come al solito era prevalso il suo senso di pudore piuttosto che l'istinto.
Si protese sulle punte dei piedi per lasciarmi un bacio a fior di labbra.
La tenni ben salda per la vita e poi la lasciai libera.
Probabilmente ciò che la turbava era il mio incontro con Lauren. Forse era gelosa, ma evitava di mostrarlo.
Era andata nel panico anche per la disdetta della cerimonia che si sarebbe dovuta tenere cinque giorni dopo.
Io non avevo sprecato energie nell'organizzazione, ma lei sì. E sicuramente stava uscendo pazza, anche se dovevo riconoscerle il talento dell'autocontrollo.
Nonostante tutto, riusciva ad acquietarsi meglio di chiunque altro. "Un matrimonio che va in fumo non è proprio un'amaca di tranquillità!" pensai.
«Ti chiamo appena arrivo» le sussurrai, prima di darle le spalle.
Scesi ogni gradino del condominio con le mie valigie, come fossero fedeli compagne di viaggio. Prima di varcare il portone, mi voltai a osservare quelle mura. Impressi nella mia mente ogni dettaglio.
Sorrisi quando notai la solita bicicletta rossa parcheggiata nel sottoscala, l'ascensore a specchio e le scale lustrate dall'inserviente. Mi sarebbe mancato tutto quello.
Stavo andando incontro alla mia rovina e mi stavo separando dal mio porto sicuro. Che poi sembrava un controsenso, ripensando al nome del paesino in cui stavo andando: Rockport.
Letteralmente "Porto Di Roccia".
«Forza, lumacone! Questo gioiellino aspetta solo di essere cavalcato verso la campagna selvaggia» squittì Liam, battendo la mano sulla mia BMW nera.
«Sempre delicata come un'elefante in una cristalleria».
Tirai sù un angolo delle labbra, in un sorrisino beffardo.
«E poi, non esagerare. Rockport non sarà così male» sostenni non troppo convinto.
I contro erano già in maggioranza rispetto ai pro. Anzi, i punti a favore erano inesistenti per quella gita. Ci mancava solo il misero incoraggiamento di Liam!
«Ne riparleremo quando ti troverai in quel buco di paese grossolano».
Esibì il suo miglior sorriso rassicurante/inquietante e i suoi pollici all'insù.
«Vaffanculo» sbraitai.
Roteai gli occhi e conficcai le valigie nel cofano della mia auto.
«Ci vediamo, Pimpa».
Era il nomignolo che le avevo affibbiato ai tempi della varicella.
«Stammi bene, Randy» disse, salutandomi con "un'affettuoso pugno nello stomaco".
Calai il capo all'interno del veicolo e chiusi la portiera. Strinsi il volante fra le mani fino a far sbiancare le nocche e accesi il motore.
Per i primi due metri Liam mi rincorse facendo facce buffe al finestrino, poi scomparve dalla mia visuale gradualmente. Si arrestò in mezzo alla strada e guardai la sua sagoma rimpicciolirsi attraverso lo specchietto retrovisore, fino a intravedere solo l'asfalto delle strade di Boston.
Accesi la radio, auspicando che quella compagnia potesse affievolire i miei pensieri negativi e frenare i miei ripensamenti.
Dopo circa una mezz'ora, iniziai a canticchiare Stormy May Day degli AC/DC, imitando pietosamente la base registrata, appena fu in riproduzione.
"The storm is raging,
Winds are howling,
The water's calling, rescue you,
A flash of lightning..."
La stazione radio fu disturbata e il segnale andò via via scemando. Il cielo iniziò a rabbuiarsi, maestose e pesanti nuvole si aggregarono dando vita a un velo triste e privo di luce.
E io ero sempre più scettico.
«Funziona, forza! Dai, funziona...»
Armeggiai con i pulsanti dello stereo, tentando di ritrovare la mia unica amica nella solitudine. La musica mi aveva intrattenuto abbastanza durante il tragitto. Sembrava quasi che anche lei, spaventata dalla maggiore vicinanza con Rockport, si fosse ritirata nel suo guscio protettivo, destando un silenzio conturbante e ragguardevole nell'abitacolo.
Quando, d'un tratto, la radio tornò in vita.
"Un'intensa pert-"
Balbettò, prima di divulgare un fruscio cupo e concentrato.
Alcune goccioline cozzarono contro il vetro. Aumentarono in pochi secondi diventando una squadra compatta.
"Essex..."
Fu l'unica cosa che compresi quando lo stereo si rianimò in un singhiozzo inaspettato e repentino, per poi tornare a produrre un'odioso frr.
Un lampo balenò nella volta celeste, e poco dopo il suo urlo tuonò inarrestabile dal cielo. Spinsi più a fondo l'acceleratore, sperando di raggiungere il paese prima di trovarmi nel bel mezzo di un diluvio.
"Effetti catastrofici..."
Quando quelle parole mi entrarono nei timpani, non ebbi più dubbi. Si stava per scatenare una vera e propria tempesta. Imprecai quando un fulmine spezzò un tronco in due. Feci appena in tempo ad attraversare quel tratto di strada, sterzando in un fischio assordante, proprio un istante prima che la metà superiore dell'arbusto si precipitasse violentemente a terra.
Tirai un sospiro di sollievo, gettando un'occhiata allo specchietto laterale che rifletteva una calamità naturale da mettere i brividi.
Continuai imperterrito il percorso, consapevole del fatto che se mi fossi fermato non avrei avuto speranze. Avevo bisogno di un riparo al più presto. Il navigatore segnò cinque chilometri da peregrinare per l'arrivo alla meta.
Le grida dell'universo incutevano terrore per quanto erano furiose, aggressive e facinorose.
Le gomme erano nuove, ma nonostante questo, spesso scivolavano sull'asfalto bagnato. Incombenti quantità di pioggia si sfracellavano intorno a me e i tergicristalli si muovevano a ritmi rapidi e incalzanti per spazzare via l'acqua dalla mia visuale.
Qualche gocciolo si aggrappò più degli altri, restando incollato al vetro, ma il vento soffiò energico e impetuoso, costringendo anche le ultime gocce sferiche a deformarsi lungo la superficie della mia auto.
Il mio cuore pompò più velocemente e mi imposi di tenere gli occhi ben aperti. Un cartello sgualcito si illuminò a intermittenza al mio passaggio. Non mi soffermai a leggere cosa ci fosse scritto sopra, ma desiderai con tutto me stesso che riportasse la voce di "Benvenuti a Rockport".
Seguii un sentiero a senso unico, maledicendomi per aver imboccato una delle strade più dissestate che avessi mai visto: ciottoli fastidiosi e sassolini scomodi e irritanti sotto le ruote della mia BMW, dislivelli del terreno e fango melmoso.
Era buio, il cielo si era annottato prima del previsto e i miei fari illuminavano l'indispensabile, data la visione distorta causata dalle forti precipitazioni. Rallentai progressivamente mantenendo una cadenza flemmatica.
Ma frenai di botto quando una signora sbucò dal nulla e schiacciò le sue mani sul vetro della macchina. Trattenni un urlo di terrore. Ma che razza di scherzo era quello! Chi andava in giro con una tempesta!?
Notando il viso provato dal tempo, capii che si trattava di un'anziana folle. Non smetteva di battere i pugni contro la lastra che ci separava. Mi coprii la testa con il giubbotto di pelle e aprii la portiera per dirgliene quattro.
La pioggia si intestardì battendo sempre più forte sul mio capo. Camminai a passi larghi, affondando anche in qualche pozzanghera sozza, e afferrai la signora dell'horror per un braccio.
«Che cosa le prende? È forse impazzita? Sa quanto costa quest'auto?!» la ammonii, con tono ruvido e contrariato.
In risposta, iniziò a strattonarmi per la maglietta, poi indicò qualcosa dietro di lei e infine diede sfogo a una cantilena in lingua sconosciuta. Dovevo essermi imbattuto in una strega. Non avevo mai creduto alle leggende, ma quello scenario superava ogni mia aspettativa e contrastava il mio scetticismo in merito all'argomento.
«Cosa mi ha fatto!» urlai, in preda all'ira.
«Cosa vuole da me?!»
Continuai imperterrito a strepitare, con le mani calate sulla testa, mentre si apprestava a tirarmi via con lei afferrandomi per un braccio.
E disse qualcosa come "Trmon".
Feci resistenza cercando di non farmi sfuggire il chiodo in pelle. Ma la strega non demorse e mi trascinò per qualche metro su quel viottolo. Stavo andando incontro alla morte? Era quello il destino che mi aspettava?
Non ebbi risposta alle mie domande, ma poco più in fondo alla stretta via scorsi un capannone poco stabile e delle mucche esagitate. Il loro muggito vibrante non era nulla in confronto ai tuoni che latravano furiosamente.
«Cosa ha intenzione di fare?! Vuole forse offrirmi in sacrificio insieme a questi bovini?!» chiesi alla donna in incognito.
Doveva essere anche sorda, perché non si girò neanche quando alzai di parecchie ottave il tono di voce. Mi rimorchiò all'interno di un recinto in legno e mi spinse tra le vacche impazzite.
Una donna, più giovane rispetto all'anziana che mi aveva rapito contro la mia volontà, si accostò al mio fianco e mi toccò una spalla.
Era fradicia proprio come la strega, ma sembrava approcciarsi in modo più mansueto agli esseri umani.
«Ragazzo» proclamò.
«Lei parla l'inglese? Grazie a Dio!»
«Certo, stammi bene a sentire. Ho bisogno di aiuto...»
«Lo so, questa vecchia strega vuole farci del male, non è vero?!»
«No, il problema sono le mucche...»
Spalancai le palpebre sempre più inquietato.
«Le mucche?! Che hanno queste dannatissime mucche? Sono sotto qualche strano incantesimo e vogliono attacca-»
Mi mise una mano sulla bocca.
«No! Io sono Amanda e lei è mia suocera Giuseppina» urlò, per sovrastare i forti frastuoni meteorologici.
Quella donna dai tratti così dolci era in qualche modo imparentata con la fattucchiera?! Quale male avevo commesso per meritare quel destino...
«Signora, io sono alla ricerca di un riparo, non voglio fare del male. Cosa volete da me?»
La presi per le spalle e il mio giubbotto cadde tra la fanghiglia sudicia. Strozzai un urlo frustrato e fissai i miei occhi azzurri in quelli castani della mia interlocutrice.
«E avrai un riparo, se ci aiuti! Facci questo favore e ti ospiteremo con piacere in casa nostra».
Un fulmine si gettò a capofitto ai nostri piedi, facendoci sobbalzare.
«Va bene, va bene. Cosa devo fare?» la interrogai, ormai spacciato. Non avevo nulla da perdere, mi serviva un rifugio all'istante e loro me lo avevano garantito.
«Dobbiamo far entrare tutte le mucche nel capanno, sono irrequiete e da sole non ce la facciamo» sostenne.
Chiusi gli occhi e sospirai rassegnato.
«E vada per le vacche al vento!»
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Bentornati su "Incidente Di Percorso"!
Per chi non lo sapesse "Trmon" significa, in dialetto pugliese, qualcosa come "Scemo/Stupido" più vicino a "coglio**" (Pirla per i settentrionali)
È il termine utilizzato da Nonna Giusy verso la fine del capitolo nei confronti di Brandon!
E niente... vi aspetto sul prossimo capitolo per il primo incontro fra Madison e Brandon! Come ve lo aspettate? Fatemelo sapere nei commenti!
Alla prossima🤗
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