Capitolo 5

«Respira, Diana». Mary cercava in tutti i modi di tranquillizzarmi. Stavo facendo avanti e indietro nella mia camera con la speranza che l'imbarazzo passasse. Che il mio battito cardiaco diminuisse. I miei polmoni facevano fatica a stare al passo. Mi stava venendo l'affanno. «Chissà cosa penserà di me! Penserá che sono una guardona! Penserà che mi piace guardare i ragazzi mentre si cambiano». Mi arresi anche alle mie stesse parole e mi buttai a faccia in giù nel letto. «È bello però, questo bisogna ammetterlo».
«È più che bello Mary! È divino». Iniziai a frignare come una bambina di cinque anni. Mi buttai a capofitto nel letto.
«Smettila di farti così tante paranoie». Mary iniziò ad accarezzarmi i capelli. «Sei giovane, può capitare che qualche ragazzo ti possa piacere». La guardai negli occhi.
«Non a me. Non deve capitare a me. Non può capitare a me».
«E perché no? Qual è il problema?».
«Il problema è che se mi inizia a piacere, io so già che il mio cervello non farà altro che farmi pensare a lui. E io non voglio pensare a lui! E poi, Mary, ho un cazzo di cancro ai polmoni».
Ad un certo punto, Mary si arrese e anche io. Avrei dovuto imparare a fregarmene. Non l'avevo mica fatto a posta a guardarlo. Invece sì. Non posso non ammetterlo. Ero ipnotizzata dalla sua bellezza.
«Che è successo?». Ecco, ci mancava solo mia madre.
«Tua figlia si è innamorata ma non vuole ammetterlo». La situazione stava degenerando.
«Mary! Non mi sono innamorata e basta parlarne. Vi prego».
Mary si avvicinò a mia madre e sottovoce le disse:«del ragazzo che abita qui di fianco». Mia madre sì esaltò subito ma fece finta di essere impassibile. Non le era riuscito molto bene.
«Mary ti ho sentita!». Mi tappai lo orecchie con il cuscino per non sentire nient'altro. Non volevo neanche più sentire i miei pensieri.
«Sicura che non ne vuoi parlare?».
«Con mia madre? Decisamente no. E poi, non è successo niente. Per sbaglio, ho visto dalla finestra, William cambiarsi la maglietta. Niente di più e niente di meno».
Mia madre si sedette sul letto. «Ricordo ancora il giorno in cui mi innamorai di tuo padre...».
«Mamma, ti prego». Tutto. Tutto. Tutto, ma non questo.
«Ero una ragazzina, come te».
«Ma tu non mi sembra che abbia mai avuto un cancro ai polmoni».
«Questo cosa c'entra?».
«Io non posso innamorarmi, mamma, lo sai bene. Ne abbiamo già parlato centinaia di volte. Potrei veramente morire da un giorno all'altro e per lui sarebbe solo una sofferenza. Anzi, non solo per lui. Per tutti. Sono solo un peso». Le mie parole uscirono più forti del dovuto. Vidi subito mia madre intristirsi.
«Scusa. Non volevo».
«Devi smetterla di dire queste cose. Io e tuo padre stiamo male in continuazione. Lo sappiamo che potremmo perderti da un momento all'altro, ma ricordarcelo non ci fa sentire meglio, Diana». Aveva ragione. Cercai di cambiare argomento per rassicurarla un po'.
«Oggi è venuta la dottoressa. Ha detto che è tutto nella norma. Ha detto che sto bene». Mia madre rimase in silenzio. Era ancora troppo scossa dalle mie parole.
«Vado a preparare la cena», disse prima di scendere al piano inferiore.
Mi sentivo una vera e propria merda. I miei genitori stavano sempre male per causa mia e per questo maledetto cancro. Vorrei poter avere un libro della vita e leggere il futuro. Vorrei sapere se un giorno questo strazio finirà.
Durante la cena nessuno disse una parola. Di solito, mangiavo in camera mentre guardavo qualcosa su Netflix ma mi era sembrata una buona idea passare del tempo con i miei genitori, anche se stavamo tutti in silenzio. Mio padre cercò di rompere il ghiaccio iniziando a parlare di come fosse andata la sua giornata a lavoro ma l'unica cosa a cui continuavo a pensare era William e all'imbarazzo che ho provato nell'istante in cui i nostri sguardi si sono incrociati.
«Diana, vuoi un po' di insalata?», mi chiese mio padre. Ma non risposi. Mi alzai da tavola come se niente fosse e tornai in camera mia. Iniziai a piangere in silenzio. La mia testa si stava riempiendo di pensieri su pensieri, che non riuscivo a dargli un ordine. Non riuscivo più a controllarli.
«Posso entrare?». Era la voce di mia madre. Non risposi, ma entrò lo stesso. Con una manica della felpa mi asciugai in fretta le lacrime.
«Ti voglio bene». Mi abbracciò. Un abbraccio che mi fece sentire un po' meglio. Forse era quello di cui avevo bisogno.
«Ti voglio bene anche io, mamma».
Mi addormentai con ancora qualche lacrima che rigava ancora il mio viso, per poi cadere sul cuscino.

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