Capitolo 4
«Oh, Mary, grazie per essere qui». Ero distesa nel letto. Mi appesi al suo braccio. «I tuoi non mi sembravano di buon umore stamattina», mi disse. Si sdraiò di fianco a me.
«Che hai combinato stavolta?».
«Io?! Sono loro che pretendono sempre troppo. Ieri sera sono venuti i nuovi vicini di casa. Andava tutto bene fin quando mia madre non ha iniziato a sclerare perché dicevo che non avevo intenzione di fare amicizia. È da maleducati, secondo lei». Affondai la testa nel cuscino.
«In effetti, è da maleducati».
«Mary. Mia cara dolce Mary. Tu dovresti essere sempre dalla mia parte!».
«Anche la psicologa te l'ha detto. Devi fare amicizia».
«Ma perché non posso vivere la mia vita come voglio?». Tutti mi hanno sempre detto cosa fare, cosa dire, cosa decidere. Io voglio semplicemente che le persone decidano per me. Non sono i protagonisti della mia vita; io lo sono.
«Perché tu la reputi vita questa? Rimanere tutto il giorno buttata nel tuo letto a guardare Netflix?».
«Per me è vita. Io non ti dico mica come vivere la tua». Appena finì di dire questa frase, suonò la sveglia.
«È ora delle pastiglie, tirati su». Vidi Mary sparire nel mio bagno e ritornare con il solito flacone arancione. «Sono diventate caramelle ormai. Ci faccio colazione, pranzo e cena. A volte anche merenda».
Buttai giù le tre pastiglie con l'aiuto dell'acqua. Erano amare.
«Comunque, come ti è sembrata quella famiglia?».
«Sono dei tipi a posto. Il padre, Rick, sembra un camionista mentre la madre assomiglia a una di quelle che fanno i programmi di torte in televisione. La madre, invece, si chiama Anna. Non sta zitta un attimo ma almeno ha una voce dolce». Ci mettemmo a ridere entrambe.
«E i figli? Ricordo che ad uno non riuscivi a staccargli gli occhi di dosso».
«Mary! È carino e basta. Si chiama Will, comunque, credo sia il diminutivo di William. Si, comunque. È molto carino. Più che carino. L'altro, invece, continuava a farmi domande su domande. Ad un certo punto stavo impazzendo. E poi, c'era la bambina più bella del mondo. Avresti dovuto vederla! Sembrava una piccola principessa». I miei occhi luccicavano al solo pensiero di Bella.
«Posso immaginare. Comunque, è ora di fare colazione. Stamattina direi biscotti e latte», mi disse mentre si stava alzando dal letto.
«Posso provare a fare una cosa?», le chiesi.
«Basta che non sia qualcosa di spericolato e mi va tutto bene».
«Vorrei fare colazione in cucina. Come una persona normale». Non so esattamente il perché di questa mia scelta, ma in televisione non davano nulla di bello o di divertente.
«Certo che puoi. Ti dò una mano a scendere».
«No, posso farcela anche da sola Mary».
«Come vuole lei, signorina».
Mi alzai faticosamente dal letto e trasportai per le scale la bombola dell'ossigeno. Avevo un po' di dolore alle gambe, ma alla fine riuscì ad arrivare al piano di sotto senza l'aiuto di nessuno.
«Vedi? Ce l'ho fatta da sola», dissi a Mary sorridendo.
«Sono proprio fiera di te».
«E perché? Le scale, quando devo fare qualcosa, le so scendere da sola».
«Sono fiera di te che vuoi provare a fare colazione in cucina. Quanti mesi, anzi, quanti anni sono passati dall'ultima volta che l'hai fatto?».
«Sono una principessa e le principesse fanno colazione nel proprio letto», le dissi mentre camminavamo fino alla cucina.
«Non credo funzioni proprio così, sai?.
«Io penso di sì. Ti immagini? La principessa Diana Margaret Smith, erede al trono d'America».
«Principessa Diana Margaret Smith, desidera altro oltre a latte e biscotti?». Me li appoggiò sul tavolo.
«No, grazie, può andare. Se avrò bisogno di qualcosa la chiamerò con il mio campanellino».
«Sai che non posso lasciarti da sola neanche per un momento. Ricordi cos'è successo l'ultima volta?». Si sedette di fianco a me. Il solo ricordo di quel brutto momento mi fece venire il voltastomaco.
«Mi ricordo», le dissi in tono triste.
Era l'anno scorso, avevo chiesto a Mary di lasciarmi da sola a guardare un film, come al mio solito, e di non preoccuparsi che tanto stavo bene. Mi sentivo bene. Non so come, smisi di respirare. Mary fortunatamente se ne accorse quasi subito. Mi prese in braccio, mi caricò in macchina e mi portò all'ospedale più vicino. Più il tempo passava, più il mio viso diventava viola. Mi avevano ricoverato per due settimane nel reparto di terapia intensiva. I miei polmoni erano praticamente entrambi collassati. L'Universo mi aveva mandato un messaggio, quello di non poter neanche stare più da sola con me stessa. Mi odiava. E io, odiavo lui.
Quando finì di mangiare l'ultimo biscotto, qualcuno suonò al campanello.
«Chi è?», chiesi sorpresa a Mary.
«La dottoressa. Oggi è giovedì, hai il controllo settimanale». Giusto. I controlli settimanali. Un'altra cosa che odiavo. Sentire il freddo stetoscopio sulla pelle, mi faceva venire i brividi. Poi, rispondere alle solite domande di routine. Se avessi preso tutte le medicine, se avessi sintomi come tosse o febbre. Per i dottori, qualsiasi cosa poteva essere un campanello d'allarme.
Fortunatamente, la visita non durò troppo tempo.
«Mi sembra che vada tutto bene. Mi raccomando, continua ad andare in terapia e soprattutto non dimenticare mai i farmaci, Diana».
«Grazie dottoressa, ci rivediamo il prossimo giovedì, come sempre», disse Mary, mentre mi sistemavo la maglietta.
«Arrivederci».
Non odiavo i medici, erano solo, troppo insopportabili. Lo so che fanno semplicemente il loro lavoro, ma per un secondo della mia vita vorrei solo sentirmi come una persona che non ha il cancro. Invece, loro, non fanno altro che accentuare la situazione. Fanno domande su domande e quando iniziano a parlare di tutte le cose possibili che possono capitarmi, cerco di tapparmi le orecchie, ma alla fine, ascolto tutto.
«Ora possiamo tornare di sopra?», chiedi a Mary. In realtà, la stavo pregando. La mia stanza era diventata la mia comfort zone. Volevo passare il resto della mia vita rinchiusa fra quelle quattro mura che mi facevano stare tranquilla e serena.
«Andiamo, dai». Stavolta mi feci aiutare da lei per portare sulle scale la bombola dell'ossigeno. La dottoressa mi aveva messo di malumore. Come al solito.
«O mamma mia!», esclamò Mary mentre con una mano si copriva gli occhi.
«Che è successo?». Mi stava spaventando.
«Guarda fuori dalla tua finestra!».
Mi affacciai, e rimasi allibita. Anche la finestra della casa dei vicini era senza tende e potevo vedere Will cambiarsi la maglietta. Era come se una luce divina color oro contornasse tutto il suo corpo. Era messo molto bene fisicamente. Aveva i capelli spettinati e bagnati. Molto probabilmente era appena uscito dalla doccia. Rimasi comunque a bocca aperta.
«O mamma mia!». Non riuscivo a smettere di guardarlo.
«Ha un corpo perfetto Mary, dovresti guardarlo! Sembra un dio greco sceso in terra!», le dissi sorridendo. Ero imbambolata, di nuovo.
Notai un serpente tatuato sul suo braccio e una frase lungo le costole che però non riuscivo a leggere.
«Cazzo, Mary!». Chiusi subito la finestra e mi girai contro il muro.
«Che è successo?».
«Mi ha vista. Cazzo, mi ha vista. O cazzo se mi ha vista. Mi ha proprio guardata. E io stavo guardando lui». Entrai nel panico più totale.
«Ti ha vista?».
«Mi ha vista mentre lo guardavo cambiarsi!». Il mio cuore stava iniziando ad accelerare i battiti. Ero imbarazzata. Chissà che cosa avrebbe pensato d'ora in avanti.
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