Capitolo 33

«Ciao, cara. Sei pronta per fare la tac di controllo?».
«Sono sempre pronta. Sono sedici anni che lo faccio, ormai», dissi sorridendo alla dottoressa che mi aveva sempre seguito durante la terapia sperimentale.
Mi ero quasi abituata a stare dentro quel macchingegno, che prima non faceva altro che farmi venire la claustrofobia.
Decisi comunque di chiudere gli occhi e di continuare a sognare. Vedevo Will indossare un perfetto smoking. Io, un abito bianco da principessa, come nelle favole. La piccola Bella che da un cestino fatto di legno attraversava la navata della chiesa buttando per terra petali di fiori bianchi. Tutti i nostri parenti e amici a guardare il futuro sposo e la futura sposa. Il prete che mi aspettava all'altare e le lacrime di William che iniziavano a scendere per l'emozione.
«Abbiamo finito. Vieni, ti aiuto ad alzarti», mi disse un'infermiera.
«No, grazie. Posso farcela da sola», le risposi sorridendo.
Mia madre e mio padre mi stavano aspettando nella solita sala riunioni.
«Tutto bene, tesoro?», mi chiese mia madre quando entrai nella stanza. Aveva un sorriso spento. Erano settimane che non la vedevo usare quel tipo di atteggiamento.
«Certo». Le sorrisi, anche se dentro di me, c'era un mix di emozioni contrastanti.
I tre dottori che mi avevano seguito per l'intero percorso si sedettero davanti a noi.
«Salve», salutò il dottor Richards.
«Allora, tutto bene, no? Possiamo andare, perché avrei...». Mi stavo già alzando dalla sedia quando la dottoressa mi disse:«siediti, Diana». Avevano delle espressioni preoccupate. Mi sedetti lentamente cercando di capire cosa fosse successo. Mio padre e mia madre iniziarono a piangere.
«Cos'è successo?», chiesi in preda al panico. Tutti rimasero in silenzio. Da quel momento, capì che la mia vita, stava di nuovo per cambiare. Da quel momento, capì, che le cose non sarebbero andate come sognavo. In passato, avevo già visto quelle espressioni. Quel tipo di espressione dove senza parlare, sai già la risposta.
«Ho di nuovo il cancro. Vero?», chiesi. Le lacrime spingevano e pregavano di uscire.
«Sì. Mi dispiace, Diana».

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