Capitolo 18

«Buongiorno dolce, Diana. Oggi si inizia la terapia, come ti senti?», mi chiese Mary appoggiandosi sul mio letto.
Avevo praticamente pianto tutta la notte. Non risposi alla sua domanda e con la mano destra mi asciugai una lacrima che mi era rimasta sul viso.
«Diana, cosa è successo?», mi chiese preoccupata.
«Niente. Vado a prepararmi», le risposi scendendo dal letto.
Avevo gli occhi stanchi, rossi e gonfi. William non mi aveva ancora risposto, quindi alla fine mi arresi e mi imposi di non controllare più il telefono ogni due minuti.
Oggi avrei iniziato una terapia che avrebbe potuto cambiarmi la vita, sia in meglio che in peggio. Non potevo permettere alla mia testa di continuare a pensare ad una persona a cui molto probabilmente non fregava più nulla di me.
«Sono pronta», dissi a mia madre e a mio padre.
«Hai la febbre? Sei sicura di stare bene?». Volevo scoppiare a piangere ma le lacrime erano finite.
«Sto bene, andiamo».
Mary mi aiutò a salire in macchina. Il mio corpo non aveva nessuna forza per affrontare nessuna situazione. Durante il tragitto in macchina da casa mia fino all'ospedale, mia madre continuava a chiedermi se stavo bene, se ero sicura di iniziare la terapia sperimentale.
Finalmente, quando arrivammo in ospedale, smise di fare domande. Si era arresa, e io anche.
«Ciao, Diana. Sono la dottoressa Cooper, ti accompagnerò a fare tutti gli esami necessari per capire se si può iniziare a fare la terapia. Faremo la solita tac al torace, esami del sangue e controlliamo anche il cuore con un elettrocardiogramma». Avevo capito che avrei passato l'intera giornata in ospedale. Forse, era una buona soluzione per tenere lontano da me il telefono ma soprattutto per tenere lontano dalla mia testa William.
Durante la tac, tenni gli occhi chiusi per tutto il tempo. Quell'aggeggio mi faceva venire la claustrofobia. Invece, per gli esami del sangue, ero abituata. Non sentivo neanche più il dolore dell'ago trapassare la pelle per arrivare alle vene.
«Ho un po' di fame», dissi a mia madre nell'attesa di fare l'elettrocardiogramma. «Ti vado a prendere un panino al bar. Aspettami qui».
«Pensi che una ragazza con il cancro possa scappare?». Lei si mise a ridere.
«Cancro?». Era una voce maschile. Mi girai di scatto. Era un ragazzo un po' più grande di me, credo. Anche lui era in attesa di fare l'elettrocardiogramma.
«Cancro ai polmoni», gli dissi semplicemente.
«Dev'essere proprio una merda».
«Lo è, infatti».
«Mi spiace, comunque». Almeno, era gentile.
«Anche a me. Non me lo merito».
«Nessuno se lo merita. Ma dicono che Dio dà i problemi alle persone che possono affrontarli».
«Chi lo dice?», gli chiesi.
«Non lo so. La gente in giro».
«Beh, quella gente in giro non capisce un cazzo».
«E perché?».
«Perché? Te la faccio io una domanda: perché allora le persone muoiono di cancro?».
Rimase in silenzio, forse stava riflettendo su quello che gli avevo appena detto.
«Com'è la vita di una ragazza giovane come te con il cancro?».
«Te l'ho detto prima. Una vera merda».
«Si, ho capito. Ma io intendo, cosa fai durante il giorno? Cos'è che non puoi fare?». Le sue domande mi fecero riflettere molto. Da quando avevo iniziato la relazione con William, ero riuscita a fare più cose. Riuscivo a fare brevi passeggiate o andare a prendere un gelato come una ragazza normale.
«Nulla. Sto a letto tutto il giorno a guardare Netflix mentre aspetto che arrivi la mia ora».
«Hai guardato l'ultima stagione di Preson Break? È assurda credimi».
«Ho visto tutto quello che c'è su Netflix. Visto e rivisto».
«Squid Game?».
«Visto. Anche in lingua originale».
«Stranger Things?».
«Visto, ovviamente».
«Friends?».
«Chi non l'ha vista?».
«Okay. Mi arrendo». Nonostante stessi parlando con uno sconosciuto, riuscí a sollevarmi un po' l'umore.
«Comunque sono Jacob. Tu?».
«Diana».
«Diana come...». Lo interruppi subito.
«Si. Diana come la principessa d'Inghilterra. Sei un po' scontato Jacob», gli dissi ridendo.
Un medico uscì da una stanza chiedendo:«Diana Smith?». Era il mio turno per l'elettrocardiogramma.
«Ehi! Ma c'ero prima io», si lamentò Jacob.
«Uno dei privilegi di avere il cancro», gli dissi sorridendo per poi seguire il medico nella stanza.
Dopo circa dieci minuti, avevo finalmente terminato l'ultima visita della giornata. Erano le sei di sera e stavo mangiando il panino che mia madre mi aveva comprato. Sapeva di ospedale.
Stavo aspettando che i miei genitori finissero di parlare con i medici per iniziare finalmente la nuova terapia sperimentale, quando Jacob mi passò davanti.
«Non mi saluti?», gli dissi sorridendo.
«Arrivederci principessa Diana», mi rispose uscendo dall'ospedale.

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