Capitolo 14

Era lunedì mattina. Non so come mai, ma mi sarei dovuta recare in ospedale con i miei genitori. Di solito, i controlli venivano fatti il giovedì pomeriggio a casa mia.
«Secondo voi, si tratta di qualcosa di grave?», chiesi guardando fuori dal finestrino.
«Diana, non fasciamoci la testa prima di rompercela. Vediamo che cos'hanno da dire», mi rispose mia madre.
Eravamo tutti un po' preoccupati. I dottori non avevano accennato nulla al telefono e di solito parlavano con Mary della terapia e dei farmaci. Era lei che si occupava di questo genere di cose, ma al telefono, i medici avevano detto che saremmo dovuti andare a parlare con loro senza di lei.
Circa dieci minuti dopo, arrivammo all'ospedale. Non sapevamo che cosa poteva succedere. Quando hai un cancro, tutto può accadere.
Io e mia madre cercavamo in tutti i modi di rimanere calme, mio padre, invece, stava facendo avanti e indietro nella stanza delle riunioni, con le mani infilate nella tasca dei jeans.
In questa stanza ho sempre avuto sia brutti che bei ricordi. Alcune volte mi era stato detto che il cancro era peggiorato e che dovevo fare altri cicli di chemioterapia, altre volte, invece, che il cancro non aveva subito cambiamenti.
Dopo circa venti minuti di attesa straziante, entrarono nella stanza tre medici. Due, li conoscevo già. Mi hanno seguita fin da quando avevo scoperto di avere il cancro a quattro anni. Il terzo medico non l'avevo mai visto. Era un uomo sulla sessantina più o meno, un po' barbuto.
«Buongiorno». I medici salutarono i miei genitori, ma per colpa dell'ansia, io rimasi zitta.
«Vi abbiamo chiamato perché abbiamo una sorta di proposta da farvi, ma farò parlare il dottor Richard. Vi spiegherà tutto nei minimi dettagli».
«Sì, ecco, da un paio di mesi abbiamo iniziato a provare una nuova terapia su persone con il cancro ai polmoni. C'è stato un caso, di una donna di quarant'anni che dopo un solo mese, il suo cancro si era ridotto del sessanta percento. Adesso, però, non voglio darvi neanche false speranze. In alcune persone il farmaco non ha funzionato; ha portato solo brutti sintomi. Sappiamo che ormai Diana è in cura da quindici anni praticamente e vorremmo inserirla nella nostra lista per vedere se con questa terapia si può migliorare qualcosa, visto anche la sua giovane età».
«Voglio farlo!». Scattai in piedi senza neanche dare la possibilità ai miei genitori di parlare.
«Diana, devi anche sapere che questa terapia ti potrà portare ad avere nausea e vomito per tutto il giorno, affaticamento, dolore costante al petto e altri sintomi».
«Non importa. Sono quindici anni che mi porto questo mostro qui dentro e se c'è anche una minima possibilità che la terapia funzioni, voglio farla».
I miei genitori si scambiarono uno sguardo.
«Da medico, devo anche informarvi del fatto che c'è la possibilità che il cancro possa peggiorare da un momento all'altro. Se approverete questa terapia, faremo comunque il nostro meglio per far sì che non accada».
Mi sedetti di nuovo sulla mia sedia e guardai mia madre. «Mamma, sono anni che aspetto per un trapianto di polmoni che non arriva mai. Proviamo, ti prego».
«Diana, potresti stare molto male».
«Papà?».
«Dovremmo chiedere a Mary di controllarti più spesso e se i sintomi sono quelli che ha indicato il dottor Richard... non lo so, tua madre ha ragione».
«Ci sarebbero anche da fare quattro controlli ogni settimana qui in ospedale, più due a casa. Diana, sei sicura di volerlo fare?».
«Dottore, ho superato veramente qualsiasi ostacolo e come ho detto prima, se c'è anche la minima possibilità che questa terapia funzioni, voglio farlo».
«Signori Smith, se acconsentite anche voi, ci sarebbero da firmare questi documenti».
«Potrebbe essere la nostra unica occasione», cercai di convincere i miei genitori, che fortunatamente, alla fine, si arresero.
«Va bene. Proviamo», disse mio padre iniziando a firmare i documenti.
Sono sempre stata una ragazza con i piedi per terra. Non mi sono mai fatta troppe aspettative e non mi sono mai data false speranze, ma questa volta, era diverso. Avrei anche iniziato a pregare Dio ogni sera se fosse stato necessario.
«Perfetto. Domani Diana dovrà fare i soliti controlli di routine qui in ospedale, poi inizieremo con i nuovi farmaci e la nuova terapia».
«Grazie». Mio padre e mia madre strinsero la mano ai dottori che uscirono poi dalla sala riunioni.
«Non siete contenti?», chiesi ai miei genitori.
«Si, lo siamo, ma se andasse male Diana? Se il cancro peggiorasse?». Eravamo tutti confusi e afflitti. Lungo il viaggio di ritorno, nessuno disse una parola. Forse, stavamo tutti pensando a che cosa sarebbe potuto accadere. Forse, ci stavamo immaginando scenari che si sarebbero potuti realizzare in un futuro.

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