•Nathan

Vivrei anche soltanto per vedere le fanart di Nathan che si lega i capelli.
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Nathan si era sempre trovato bene con se stesso.

Quando aveva capito di essere gay, si era accettato senza problemi.
Non l'aveva colpito nessuna di quelle bruttissime paranoie, nessun pensiero riguardo a quanto potesse essere sbagliato o riguardo a cosa fosse diverso in lui, rispetto alle persone che avrebbe potuto considerate "normali".

In realtà, ne era praticamente sempre stato cosciente, ma senza capirlo, almeno fino a pochi anni prima.

Quando finalmente se n'era reso conto, però, l'aveva preso tranquillamente.

Sicuro, non è stato il prenderne coscienza a dargli problemi.

Aveva fatto coming out con i suoi generi quasi subito e, anche quello, era successo con una spontaneità e quasi dolce.
John e Mary (questi i nomi dei genitori) l'avevano abbracciato e gli avevano detto che andavo bene così, rassicurandolo anche senza che ne avesse bisogno.

Invece, il suo rendersi conto di avere una cotta per Mark era stato più problematico.

Non fraintendete: il turchese non aveva mai pensato che fosse più di una di quelle semplici cotte passeggere, ma comunque era stato leggermente shockante.

Non tanto perché pensava che Mark lo avrebbe odiato o che avrebbe smesso di essergli amico (cose che non erano da Mark!) piuttosto, nell'accorgersene, Nathan ci era rimasto perplesso perché pensava di non aver mai avuto l'occasione per prendersi una cotta per lui.

Mark si comportava gentilmente con lui, certo, proprio come faceva con tutti.
Forse, Nathan era uno dei suoi amici più intimi, ma il loro rapporto era di semplice amicizia, una di quelle belle che sincere, tra l'altro.

Nathan non riuscì mai a capire cosa gli avesse suscitato quei sentimenti.
Un giorno aveva semplicemente pensato a quanto lo volesse vicino e a quanto volesse che le labbra di Mark si posassero sulle sue, anche se per una sola volta.

Non si era immaginato niente di più.

Nathan voleva semplicemente baciarlo.

Non aveva sviluppato nessuna ossessione nei suoi confronti, non aveva iniziato a pensare costantemente a lui, non aveva mai neanche provato gelosia tossica.

Provava solo un leggero fastidio quando Nelly ci provava esplicitamente con lui, ma senza sentire mai odio nei suoi confronti.
Più che la persona, era il gesto ad infastidirlo.

Nathan era convinto fosse una di quelle cotte passeggere leggere, che gli sarebbe passata in fretta.
Alla fine, la sola amicizia con Mark gli andava più che bene.

Perché forzare le cose quando anche il solo rapporto amichevole ti fa sentire felice?

Il turchese non aveva mai osato provare a cercare di far capire a Mark cosa volesse o cercare di avere qualcosa di più di quello che avevano da lui.

Semplicemente, viveva quella cotta con quasi indifferenza.
Anche se, spesso, trovava impossibile ignorare il suo desiderio ardente di essere baciato.

Quando si sedevano vicini e dopo una risata si guardava, in silenzio, Nathan non desiderava altro che avere le labbra di Mark sopra le sue.

Ma era convinto non sarebbe accaduto, quindi perché crearsi tanti problemi?

Passava il tempo con lui come facevo normalmente, sorridendogli allo stesso modo e apprezzando la sua risata esattamente come prima.

Nathan era arrivato a parlare con sua madre di quella che credeva essere una cotta, e lei aveva iniziato a dargli tante di quelle dritte che non sarebbe bastato un solo quaderno per scriverle tutte.

Nathan non l'aveva mai neanche ascoltata sul serio: quello che pensava volesse, non era quello a cui davvero cercava di arrivare.

Due pomeriggi dopo che lo aveva accompagnato a casa, il turchese lo aveva inviato con nonchelanche a cenare a casa loro, come facevano sempre.
Ogni venerdì era prefissata la cena Evans-Swift a casa di quest'ultimi, succedeva che qualche volta Mark si presentasse da solo, qualche volta accompagnato dai genitori e qualche volta con la sola madre.

Oramai le loro genitrici avevano stretto un'amicizia così profonda che qualche volta il turchese aveva scherzato con sua mamma sulla possibilità di una relazione lesbica con la madre di Mark.

Quella sera avrebbero cenato insieme, e Sharon aveva deciso di portare anche il figlio.

Da quando il turchese aveva rivelato a Mary della mia cotta per l'amico, lei non aveva fatto altro che mandare al figlio occhiate d'intesa ogni volta che lo vedeva parlare con Mark.

Talvolta diventava strano.

Ed era incredibilmente strano anche sentirla tutte le volte che Mark era inviato a casa.

"Nathan, sistemati i capelli, sono un po' disordinati".

"Nathaaaan, quei vestiti sono sporchi! Non vorrai mica fare una figuraccia con Mark, eh?"

"Ma cosa fai, Nathan! Sappiamo entrambi che Mark preferisce l'arancione al verde!"

"La tua camera è in disordine, corri a sistemarla prima che arrivi!"

"Qualche volta potresti anche slegarti i capelli, eh..."

"Vai a farti una doccia! Puzzi di sudore, non vorrai mica incontrare Mark in questo modo?"

Effettivamente, sembrava più presa lei dalla cotta del figlio che il ragazzo.

Si sentiva soddisfatta soltanto una volta che tutto era sistemato: la tavola apparecchiata, la stanza di Nathan in ordine, il lettino in cui avrebbe dormito Mark fatto per bene, il turchese pulito e profumato e la camera degli ospiti per Sharon che brillava come un diamante.

Ogni volta che venivano a mangiare a casa Swift si fermavano per rimanere a dormire: Sharon e Mary si ubriacavano talmente tanto parlando di quanto i loro rispettivi mariti fossero irrispettosi che non sarebbero riuscite a fare un solo passo senza crollare a terra.

Nathan e Mark avevano finito per abituarci: ogni venerdì sera spostavamo un materasso in camera del turchese, che veniva posizionato di fianco al suo letto, e Mark finiva sempre per dormire lì.

Era diventata routine, a tal punto che Mark, la mattina a scuola, chiedeva all'amica se aveva intenzione di usare le lenzuola blu con i pinguini o quelle in tinta unita arancioni. Ogni volta che glielo domandava, si facevano entrambi una bella risata.

Quella volta, le lenzuola erano quelle blu.

Il difensore aveva ricevuto un messaggio da Mark, che lo avvertiva più o meno dell'orario in cui sarebbe arrivato.

Stava aspettando il castano seduto sul divano del suo salotto, a fissare una TV spenta.

Sua madre, ancora incredibilmente presa dall'ossessione che tutto dovessero essere perfetto, correva da una parte all'altra mentre cucinava e ripuliva qualsiasi mobile che già splendeva.

Suo padre, invece, era già seduto a tavola, a leggere un giornale.

Non sembrava niente di interessante, l'uomo lo sfogliava con sguardo indifferente, soffermandosi di tanto in tanto per alzare lo sguardo sul figlio e la moglie e fare qualche battuta.

La passione di John erano le freddure: poteva farle su qualsiasi cosa.
Che si parlasse di omosessualità, di maschilismo, di terrorismo o religione, aveva sembra una battuta pronta.

Talvolta potevano parere talmente insensibili che Nathan si chiedeva cosa avesse spinto sua madre a sposarlo.

Ma alla fine i suoi genitori si amavano, quando John se ne usciva con una delle sue freddure, Mary roteava gli occhi, sorridendo al figlio.

Era un gesto plateale, quasi dolce. Più di una volta John l'aveva vista, e aveva semplicemente sorriso di rimando.

Non era neanche contrario a quella strana amicizia tra lei e Sharon.

Ogni tanto faceva delle battute un po' spinte, riguardanti spesso il sesso, e Mary lo ammoniva, ricordandogli di essere davanti al figlio.

Alla fine Nathan aveva compiuto i sedici anni, ma sentire anche solo una battuta su un possibile rapporto sessuale tra i suoi genitori e la madre di Mark, gli risultava sempre incredibilmente imbarazzante.
Anche perché suo padre lo diceva con una leggerezza allarmante.

Il campanello suonò.

Immediatamente, il turchese di precipitò alla porta, già sapendo chi ci fosse dietro.

Erano in anticipo di una decina di minuti, in effetti.

Nathan aprì, trovandosi davanti il volto sorridente di Mark.

Dietro di lui, stava Sharon, che teneva in mano una teglia.
Il turchese immaginò ci fosse qualche torta che era venuta ad offrire alla sua famiglia.

«Buonasera signora Evans. Ciao Mark» li salutò, spostandosi di lato in modo che potessero entrare.

Il castano gli fece un solarissimo cenno con la mano, mentre sorrideva in modo entusiasta.
Al contrario, Sharon infilò una mano tra i capelli di Nathan, scompigliandoli.

«Ti ho detto mille volte di non chiamarmi signora Evans!» gli fece, sorridente, mentre Nathan si sforzava nel non sottrarsi alla mano della donna e correre in camera sua a sistemarsi i capelli.

«Vedrò di ricordarmelo la prossima volta, signor-... volevo dire, Sharon» fece Nathan, ostentando una leggerezza che in realtà non aveva: voleva semplicemente allontanarsi e rifarsi la coda.

Dopo una breve risata da parte della madre di Mark, la donna si allontanò dal ragazzo, correndo ad abbracciare Mary e salutando cordialmente John.

Mark aveva ancora indosso la tuta da calcio: non si smentiva mai.

«Lenzuola arancioni?» gli domandò speranzoso il castano, mentre si dirigevano verso la camera di Nathan.

«In realtà, sono quelle con i pinguini» gli rivelò il difensore, facendo sospirare Mark.

«Contavo sull'arancione» gli disse, prima di aprire la porta della stanza dell'amico e buttarsi sul letto del turchese.
Nathan lo imitò, sdraiandosi accanto a lui.

«Allora Nathan» fece Mark, prima di mettersi a sedere a gambe incrociate, mentre teneva lo sguardo fisso sul volto del turchese «stavo pensando... beh sai... avevo in mente una specie di allenamento speciale! Uno di questi giorni volevo invitare tutti i ragazzi della squadra a giocare ad una specie di amichevole tra noi, sai, parte della squadra contro un'altra parte della squadra» gli rivelò, neanche tentando di nascondere un sorriso estasiato.

Nathan ridacchiò, per poi mettersi a sedere a sua volta.

Si infilò una mano tra i capelli, slegandoli per poi rifare la coda.
«Non pensi ad altro, eh?» gli fece notare, divertito.

Mark scrollò le spalle, sorridendo.
«Beh, effettivamente no. Ma il calcio è così bello! È pieno d'emozione e... beh, sai, mi fa sentire felice» lo diceva con sguardo quasi sognante, tanto rendere impossibile a Nathan il trattenere un sorriso.

A quanto pareva, Mark aveva accettato di identificare quelle sue emozioni come felicità. O aveva forse frainteso?

«Beh Mark, non pensi che forse qualche volta dovremmo incontrarci con la squadra solo per il gusto di passare del tempo con gli amici?» gli fece notare il turchese, con tono gentile. Apprezzava sempre le idee dell'amico, ma qualche volta, quella sua passione per il calcio, sembrava quasi un'ossessione.

Mark mise il broncio, in modo talmente drammatico che non poteva che star facendo finta.

«Ma stiamo con gli amici anche quando giochiamo! È giocando che ho incontrato tutte le persone a cui voglio più bene-» tentò Mark, facendo ridacchiare Nathan.

Il turchese sorrise, inclinando appena di lato la testa: «Non metto in dubbio che giocare sia una delle cose più belle che ci sia, ma soltanto giocando a calcio non riesci a conoscere del tutto le persone. Per esempio... io non ho mai visto la madre di Caleb, seppure lui viva con lei, e non so quanti anni abbia con precisione Austin. Non seguo neanche Kevin su Instagram!» lo aveva detto quasi ridendo, in chiave molto scherzosa.

Ma, comunque, aveva dato qualcosa a Mark su cui riflettere.

Il castano aveva annuito, pensieroso, per poi sentire la voce di Mary che chiamava i due ragazzi.

«MARK, NATHAN, A TAVOLA!»

Quelle parole erano quasi urlate.

E la cucina distava qualcosa pochissimo dalla camera di Nathan.

Il turchese sospirò, scendendo dal letto e andandosi a lavare le mani.

Subito dopo, erano entrambi seduti davanti a dei piatti stracolmi di cibo.

Mentre Sharon e Mary mettevano il cibo in tavola e si scambiavano conversazioni divertite, John continuava ad osservarle in modo perplesso.

La cena era stata particolare, ma comunque simile al solito: mentre Mary e Sharon parlavano di qualsiasi cosa passasse loro per la testa, John le fissava, abbassando di tanto in tanto lo sguardo sul figlio e Mark. Mentre, questi ultimi, ascoltavano attentamente le madri e talvolta, a frasi particolarmente divertenti, si scambiavano occhiate di intesa.

Era passata relativamente in fretta.

Subito dopo aver rifiutato il terzo dessert, il castano e il turchese erano tornati in camera di Nathan.

Nathan si era timidamente infilato il pigiama dando le spalle a Mark, mentre, quest'ultimo, si era spogliato senza troppi problemi, rimanendo in boxer e infilandosi sotto le coperte.

Il turchese, prima di sdraiarsi sotto al piumone, aveva spento la luce, lasciando Mark a fissare il buio.

Come da solito, si erano messi a parlare.

«Miles si è più fatto sentire?» gli aveva chiesto il castano, incuriosito.

Nathan aveva scrollato le spalle, per poi rendersi conto che Mark non lo poteva vedere.

«Ogni tanto lo incontro a scuola. Continuiamo ad essere amici, anche se in modo meno stretto. Cosa mi dici di Nelly, invece?» gli domandò Nathan, voltando lo sguardo verso il punto buio in cui si sarebbe dovuto trovare l'amico.

«Oh beh... credo di piacerle più di quanto lei piaccia a me» ammise il ragazzo, con tono abbastanza serio «in realtà non sono sicuro che mi piaccia in quel senso, sai-. Cioè, adoro stare con lei, è un sacco bella e non bacia neanche male, ma non credo mi piaccia davvero.»

Sbaglio o aveva detto "bacia"? Nathan sentì una stretta allo stomaco.

Probabilmente aveva assunto un'espressione contrariata, ma, per fortuna, Mark non poteva saperlo.

«Bacia?» gli domandò, cercando di usare un tono incuriosito, anziché infastidito.

Sentì l'amico ridacchiare.

«Ieri dopo l'allenamento ci siamo messi a parlare, e mi ha baciato. Sai, ha un sapore strano. Hai presente il cioccolato? Sa tipo di cioccolato, ma in modo un po' troppo dolce. Però a baciare era brava» gli rispose, e quasi Nathan poteva sentire il sorriso che il castano aveva stampato sulle labbra.

«Oh beh... e cosa le dirai?» domandò ancora, con la stretta allo stomaco che diventava incredibilmente più fastidiosa. Mark aveva sospirato, e il turchese aveva sentito le coperte del ragazzo muoversi.

«Non saprei. Le dirò che sono troppo concentrato sul calcio e che la vedo come un'amica. Dici che è cattivo? Dovrei dirle che semplicemente non mi piace in quel modo?» questa, fu la risposta del castano, che pareva non sentire quella nota di disappunto nella voce dell'amico.

«Credo capirebbe, qualsiasi cosa tu le dica. Alla fine le piaci, no? Immagino perdonerebbe il tuo rifiuto.» in realtà, non aveva la più pallida idea di cosa Nelly avrebbe fatto se Mark l'avesse sul serio rifiutata, ma a Nathan interessava soltanto che il castano le dicesse le cose come stavano: che a lui lei non piaceva.

Mark mormorò qualcosa, poi cadde il silenzio.

Erano entrambi svegli, ma nessuno dei due parlava.

Nathan sentiva bruciargli in gola la volontà di dirgli qualcosa, ma non sapeva cosa. Si sentiva come in colpa a tenergli nascoste delle cose, e voleva soltanto liberarsi da quel sentimento.

Mark, invece, sembrava riflettere.

Strano per lui.

«Mark» lo chiamò Nathan, con un fil di voce, che non bastò a destare il ragazzo dai suoi pensieri.

«Mark» ripetè, più fermamente, portando l'attenzione del castano su di lui.

«Sì, Nathan?» domandò incuriosito il ragazzo, girato a guardare dove l'amico si sarebbe dovuto trovare.

«Sono gay, Mark».

Nathan lo disse tutto ad un fiato, liberandosi finalmente da qualcosa che lo tormentava. Non aveva fatto coming out con nessuno dei suoi amici e, seppur si trovava a suo agio in quello che era, sapeva che sarebbero stati guai se lo avessero saputo nella loro scuola.

Perciò, non aveva mai aperto bocca con nessuno dei suoi amici, neppure Mark, fino a quel momento.

E il castano esitava, probabilmente non sapendo come rispondere.

«Oh, forte!» disse poi, con tono quasi entusiasta.

Un'altra preoccupazione sparì, e Nathan sentì un sorriso accendersi sul suo volto.

«Cioè... figo! Effettivamente ora capisco un sacco di cose e...» il castano continuò a parlare, evidentemente felice.

Non sembrava che la sessualità dell'amico lo mettesse minimamente a disagio.
Al contrario, sembrava semplicemente incuriosirlo.

Nathan, nel buio, sorrideva.
Se ci fosse stata abbastanza luce da poterlo guardare negli occhi, chiunque si sarebbe potuto accorgere del suo sguardo soddisfatto.

Essere stato onesto col suo amico non lo rendeva che orgoglioso di sè e incredibilmente sollevato.

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Scusatemi, so che è lungo.

O almeno credo che sia lungo-

, l'ho pubblicato all'1:40.
Io scrivo solo di notte ;-;.

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