•Caleb•

Se c'era una cosa che infastidiva tremendamente il ragazzo, era dover parlare di quello che provava, di quello che pensava e di quello che aveva vissuto.

Non gli piaceva aprirsi a quelli che alla madre diceva essere i suoi amici, figuriamoci ad un uomo adulto che a malapena sapeva il suo nome.

Quello, era però un periodo strano, nelle scuole giapponesi.
Si iniziavano a mettere alla prova i ragazzi, o qualcosa del genere.
Si cercava di capire le loro capacità, per poi iscriverli a strani concorsi.
Le emozioni erano uno degli argomenti più gettonati.
Perché se sai far capire agli altri come ti senti, allora hai talento.

Fatto sta che Caleb non sopportava più la vista del comando di quell'esercizio, così scontato e indiscreto.

"Descrivi cos'è per te la felicità".

Esiste argomento più personale?

Come può una persona assegnare davvero una cosa del genere?

Caleb era già cosciente del fatto che lui, quel tema, non l'avrebbe probabilmente mai consegnato.

Di solito, seppur in ritardo, i compiti ai prof arrivavano.

Ma che cosa diavolo avrebbe mai potuto scrivere sulla felicità?

Caleb non sapeva neanche se fosse mai stato realmente felice.

Guardava le definizioni che davano gli altri e gli sembrava qualcosa di così grande e irraggiungibile che pensava di non essere mai davvero stato felice.

Si sentiva bene, certo, ma era felice?

Si sentiva bene quando giocava a calcio, quando sfidava con lo sguardo Jude Sharp o quando sorprendeva tutti con una dote che pensavano non avesse.

Si sentiva bene anche quando faceva una battuta sciocca e i ragazzi lo guardavano perplessi.

E talvolta si divertiva anche.

Ma questa era felicità?

Sicuro, non avrebbe potuto scrivere che non era mai stato felice.

Il professore l'avrebbe considerato un deviato mentale.

Non avrebbe consegnato quel tema e basta.

Immaginò sarebbe stato sgridato, magari anche annotato, ma non poteva davvero scrivere quello che pensava, perché quello che pensava non era quello che volevano i professori e non era quello che voleva lui.

Era sdraiato su un letto sfatto, a pensare a come i suoi compagni di squadra si potessero sentire felici.

Mark lo era di continuo.

Ogni giorno spruzzava gioia da tutti i pori. Sembrava che la tristezza non potesse sfiorarlo.

Chi se non Mark Evans avrebbe potuto scrivere il tema più azzeccato sulla felicità?

Shawn Froste aveva raggiunto una specie di pace con sé stesso.
Chissà cosa avrebbe scritto lui.

Jordan e Xavier? Avrebbero parlato di quanto si fossero sentiti leggeri quando avevano iniziato a stare alla Raimon e non più all'Alius?

Pensando ad ognuno dei suoi compagni, riusciva ad immaginare qualcosa a cui si sarebbero potuti aggrappare per poter scrivere il compito.

Riusciva ad immaginare tutti, tranne Jude.

Se provava a pensare a un suo tema sulla felicità, non riusciva a vedere altro che definizioni oggettive o cose che il professore voleva leggere, che desiderava venissero scritte.

E il fatto che non lo conoscesse abbastanza per potersi aspettare qualcosa, lo turbava.

Aveva passato tutta la notte a fissare il soffitto con aria infastidita, mentre, di tanto in tanto, in preda a dei raptus, calciava con forza il letto.

Perché non era felice? Diavolo, cos'aveva che non andava?

Dopo ore di riflessione, era arrivata la mattina.
E lui non aveva chiuso occhio.

Appena il suo piede sinistro si posò a terra, si pentì di non aver dormito.

Comprese subito di aver bisogno di caffeina, perché, altrimenti, non sarebbe stato capace di affrontare la giornata.

Sua madre, come al solito, non era a casa.

Nel constatarlo sospirò, avvicinandosi ai fornelli.

Gli ci volle poco per riempire una borraccia di caldo caffè ed andare a vestirsi.

Entrò in classe in perfetto orario.

Parte dei compagni di classe era già nell'aula, altri entravano uno dopo l'altro.

Pochi minuti dopo che si fu seduto sulla sua sedia in prima fila (era stato un professore ad ordinargli di mettersi davanti: dietro si distraeva troppo spesso), la campanella d'inizio lezione suonò.

In classe mancava ancora qualcuno.

Il suo compagno di banco, un incredibilmente fastidioso Hurley Kane, quel giorno era assente.
Si sentì quasi sollevato.
La positività che sprigionava quel ragazzo gli appariva quasi inquietante.

Trovava un lato positivo in tutto, letteralmente tutto.

Come si poteva trovare un lato positivo nello scoppio della centrale nucleare di Chernobyl?
Caleb non riusciva a capire che diavolo di malattia avesse, per riuscire a rispondere a domande del genere.

E ovviamente, chi avevano alla prima ora se non quel professore, l'unico che avrebbe preferito non vedere?

Caleb lanciò un'occhiata a Mark, che sembrava nervoso.

Il ragazzo dalla fascia arancione stava scambiando parole con un molto più tranquillo Axel Blaze, mentre sorrideva inquietamente.
Chissà quale fosse il motivo che rendeva Mark così nervoso.

Il professore domandò a una delle loro compagne di ritirare i temi, ordinandoli alfabeticamente per cognome dalla A alla Z.
Ci volle un po' prima che arrivasse anche il fatidico momento della "S".

Jude consegnò il suo tema con un sorrisetto soddisfatto.
Quegli occhialini nascondevano le pupille del ragazzo e Caleb non riusciva a capire chi o cosa stesse guardando, ma poteva quasi scommettere che stesse puntando le sguardo su di lui.

E, quella volta, aveva vinto.

Subito dopo Sharp, infatti, la ragazza si posizionò di fianco al suo banco.

«Caleb, mi potresti dare il tuo tema?»

Le bastò semplicemente guardarlo per capire che non c'era nessunissimo tema: aveva un sopracciglio appena sollevato e la guardava dritta negli occhi, come se non sapesse di cosa stesse parlando.

Quando la ragazza si allontanò, Caleb riuscì quasi a sentire lo sguardo di Jude bruciargli sulla schiena.
Ma non si voltò: non poteva dargli quella soddisfazione.

Il castano pensava che il rasta fosse certo non avrebbe mai consegnato quel tema, perché era quello che si aspettava da lui.

Aveva ragione, aveva soddisfatto appieno le aspettative di Jude.

E Caleb, comunque, pensava che facendogli capire quanto avesse ragione anche soltanto guardandolo non faceva che dargliela vinta.
Così, passò in rassegna il resto delle ore, senza voltarsi neanche una volta verso l'altro ragazzo.

Il professore avrebbe probabilmente corretto tutto quel giorno stesso.
Si sarebbe accorto della mancanza del tema di Stonewall dopo davvero poco.

Il ragazzo sapeva già che non se la sarebbe cavata con una sola occhiata vittoriosa da parte di Jude.
Nah, era tipo la quinta volta che si rifiutava di svolgere un compito.

Sarebbe stato un miracolo se non fossero andati a chiamare direttamente sua madre per un colloquio.

E sarebbe stato un miracolo ancora più grande se sua madre, a quel colloquio, si fosse presentata.

Subito dopo scuola si cambiò negli spogliatoi, indossando la divisa e si diresse insieme agli altri al campo al fiume.

Sinceramente non aveva mai capito per quale motivo i ragazzi preferissero allenarsi lì, c'era un buonissimo campo alla Raimon ed era messo anche meglio di quello, era più nuovo e più curato.

Eppure, tutti i giorni, i ragazzi decidevano che quel vecchissimo campo era il campo perfetto.

Ormai erano quasi tutti ad allenarsi.

Si passavano allegramente il pallone tra loro e cercavano di segnare alla porta protetta da Mark o a quella davanti a cui c'era Darren.

Lui, invece, era seduto su una panchina, ad osservare i ragazzi in maniera pensierosa.

Che fossero felici in quel momento?

Sembravano divertirsi.
Ridevano, sorridevano e si scambiavano sguardi complici.

Lo spaventava il non riuscire a capire la felicità.

Non era mai stato bravo con le emozioni, ma essere felice sembrava una cosa così grande e scontata allo stesso tempo che il pensiero di non esserlo mai stato gli faceva quasi paura.

Fingeva di allacciarsi una scarpa, per far in modo che Mark, guardandolo, non gli intimasse di entrare in campo.

Per un minuto solo voleva rimanere lì a guardarli.

«Non hai scritto nulla, eh?»

Lo interruppe una voce che aveva imparato a conoscere bene.

Jude Sharp non si smentiva mai.

Aveva quel suo sorrisetto stampato sul volto e sembrava aver capito che stesse perdendo tempo apposta.

«Meglio non scrivere nulla che scrivere paro paro la definizione del dizionario»

Rispose il castano, voltandosi a guardarlo.

Quegli occhiali gli davano fastidio.

Lui poteva tentare di guardare il ragazzo dritto negli occhi, ma non avrebbe mai saputo se il rasta stesse facendo lo stesso o meno.
Non sapeva mai dove stesse guardando.

«Credo che un "sufficiente" sia meglio di una non consegna, in realtà»

Ribattè Jude. E Caleb stava anche per rispondergli, quando Mark si accorse della discussione.

Il capitano agitò le braccia in aria, mentre li chiamava per nome, intimando loro di entrare in campo.

Caleb sospirò, dirigendosi verso la porta di Darren, sfiorando accidentalmente il braccio di Jude.
Sentì un specie di brivido brivido, e accennò una risata.

«Sharp, mi hai appena dato la scossa»

Lo informò, con un sopracciglio leggermente sollevato.

Il rasta non rispose, accennandogli un sorriso dei soliti, per poi dirigersi verso la porta protetta da Mark.

Caleb si allenò distrattamente, con la mente che tornava sempre agli stessi pensieri.

Prima della notte precedente non aveva mai sentito una tale voglia di essere felice, accettava le cose come stavano e basta.

Ma qualcosa era scattato in lui e ne era convinto.

E quando era tornato a casa sua, non aveva potuto evitare di afferrare il cellulare, voglioso di informazioni.
O, anche di semplici di rassicurazioni.

Il genere di attenzioni che sua madre non gli dava mai.
Mai un abbraccio e mai una parola gentile, solo piatte domande su come stesse andando a scuola.

Gli parlava come se non le interessasse sul serio e, anche se il ragazzo lo nascondeva, gli faceva male.

Ormai, quasi non lo guardava più.

Caleb, all'inizio, aveva pensato che le servisse semplicemente tempo.

Le aveva dato un intero anno, sopportando tutti gli sfoghi della donna, le preoccupazioni non sincere e le compagnie notturne.
Aveva imparato a cucinare soltanto per lei.

Ma, a quanto pareva, lei non sembrava accorgersi di come, in quella casa, non fosse l'unica a non stare bene.

E così schiacciò il contatto, dapprima molto sicuro poi, sempre di meno.

Gli ci volle un attimo per rendersi conto di chi avesse davvero chiamato e si stupì di sé stesso nel vedere che il nome brillante sullo schermo era "Jude Sharp", e non "Mark" o "Joe."

«Sbaglio o mi hai appena chiamato?»

Gli fece un sorpreso ma allo stesso tempo divertito Jude, dall'altra parte della cornetta.
Caleb esitava, non sapendo bene cosa dirgli.

«Tu-, ugh- ho tipo... uhm... bisogno di parlarti, ma seriamente. Ho seriamente bisogno di parlarti.»

Aveva usato un tono talmente serio, che neanche lo stesso Caleb riusciva a capacitarsene.

La risposta di Jude era quasi preoccupata, e gli dava appuntamento per il giorno dopo.

Dalle parole del rasta, si sarebbero incontrati subito dopo scuola.

Caleb non sapeva a cosa pensava quando l'aveva chiamato.
Voleva conforto, sì, ma non voleva rivelargli come stesse.

Il castano sospirò, cercando di pensare a cosa avrebbe potuto dirgli.

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bruh, non so che scrivere :<.
se avete commenti, pensieri o critiche sentitevi liberi di farli uwu.

love u, <3.

mi sale l'ansia prima di postare, sono malata :).

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