CAPITOLO XIII [SECONDA PARTE]
In perfetto silenzio, Amanda e Federico raggiunsero la stazione. Mancavano poco più di dieci minuti alla partenza, un cospicuo numero di passeggeri che si muoveva in lungo e in largo cercando il proprio vagone, fior fior di valigioni che rumoreggiavano sull'asfalto.
«Sta per arrivare», si decise a dire Federico, senza alcuna sfumatura particolare nella voce.
Amanda non sapeva se il suo intervento sarebbe stato o meno gradito, quindi si limitò ad annuire, senza però smettere di osservarlo di sottecchi. I tratti del suo viso non accennavano ad ammorbidirsi, la mano sinistra a giocherellare di continuo con un pacchetto di Chesterfield. Alla ragazza sembrò che si stesse trattenendo non poco dall'estrarre un'altra sigaretta da potersi fumare all'istante, probabilmente per scaricare tutta quella tensione che il suo corpo stava tradendo al pari del suo volto, di quelle labbra sempre più contratte che, pur gentili nella forma, assumevano contorni dal taglio sempre più enigmatico.
«Tu sei sicuro che sia un buon momento per... Sì, insomma, sei sicuro di non voler rimandare l'appuntamento?» Le costò uno sforzo enorme pronunciare quelle parole, come coinvolgere gli occhi in quelli – imperscrutabili – di lui.
«Hai cambiato idea?» le chiese di rimando Federico.
Proprio in quel momento, il treno giunse a destinazione e si apprestò a fermarsi davanti a loro e alla miriade di persone che l'aspettavano. Ad Amanda mancò la terra sotto ai piedi, mentre nella sua testa stava disperatamente cercando una risposta da dargli, possibilmente senza irritarlo.
«Avanti, sali pure», riprese lui, addolcendo per un momento lo sguardo. «Anche perché avrei una cosa da darti.»
La ragazza si riscosse e, anche questa volta, non riuscì a non fidarsi del proprio istinto. In quegli occhi verdi vi lesse una sincera speranza. Senza fiatare, montò sul treno, Federico al seguito, quindi presero posto nel vagone che era stato loro assegnato. Con aria impacciata, l'uomo le porse quella bustina che aveva tenuto per tutto il tempo tra le mani sin da quando era arrivato per assistere alla sua presentazione. «Tieni, è per te», le disse, poco convinto.
Amanda trasalì. Non appena vi sbirciò dentro, rialzò la testa, scioccata. «Un regalo per me?» domandò, a mezza voce.
Lui scrollò le spalle. «Mi sono giusto permesso di facilitarti il reperimento di quei volumi. Non è niente di eccezionale», le disse, sfregandosi la tempia destra con l'indice.
Amanda capì al volo. «Non dirmi che...» Con aria eccitata, estrasse il grosso pacco-regalo completo di coccarda e si apprestò ad aprirlo, le mani che le tremavano leggermente. Lo sguardo inquisitorio di Federico aveva lasciato spazio a un'espressione che lei, perlomeno sulle prime, non riuscì a decifrare. Sembrava un miscuglio di tenerezza e curiosità, timore e altrettanta aspettativa. E chissà cos'altro.
Non appena vide Proust in copertina, il suo cuore sussultò. «Oddio, ma sono tutti e sette i volumi!» esclamò, completamente rapita. La copertina rigida, le pagine così sottili e quel piacevole rumore che le stesse producevano nell'essere sfogliate... Quei deliziosi dettagli la mandarono in estasi. «Ma dove l'hai preso, si può sapere?»
«Mmh... Forse in libreria?» ribatté lui retoricamente, lasciando appena intravedere il suo sorriso.
«Non credevo ne avessero fatto un'edizione così nuova.»
«Nemmeno io pensavo di trovarlo, a dire il vero. Stavo cercando un saggio di Sacks ¹⁴, quando mi sono imbattuto in questo librone gigantesco.»
«È bellissimo», esclamò Amanda, come ipnotizzata. Non riusciva proprio a smettere di guardare quella sorta di volume enciclopedico, scrutandone con meraviglia ogni singolo dettaglio.
«Il tuo amore per i libri è veramente sconfinato», commentò Federico. «Non credo di aver mai visto gli occhi di qualcuno illuminarsi così per qualcosa del genere.»
«Questo qualcosa del genere è la mia passione, però. Tutto qui», rispose lei, lo sguardo scintillante.
Lui sorrise. «Lo so. Non parlavo in negativo della cosa, sia chiaro. Non mi permetterei mai. Dico solo che, molto spesso, l'amore per la cultura è un optional. Anche a me piace molto leggere, ma di tempo a disposizione non ne ho molto, come immaginerai. Senza contare che la mia vita è cambiata un po' improvvisamente, e quindi...» Anche stavolta, Federico si fermò di colpo. «Scusami, non farci caso», riprese, tentando di correggere il tiro. «Spero di averti fatto cosa gradita». Con un cenno del capo indicò il librone.
«Ti ringrazio di vero cuore. Per me non c'è regalo migliore che ricevere un buon libro – in questo caso dei buoni libri – da leggere durante queste fredde giornate d'inverno, magari davanti al caminetto.»
Federico annuì. «Non c'è di che. Ma dimmi... davvero non ci sarebbe nient'altro che desideri di più? Cioè... c'è un qualche cosa che vorresti con tutta te stessa che si realizzasse?»
Amanda smise di accarezzare la copertina del libro. «Perché me lo chiedi?» gli domandò, quasi sulla difensiva.
«Non saprei. Pura e semplice curiosità, suppongo. Ma stai tranquilla, non devi rispondermi per forza. Non sono il tipo che se la prende per così poco», le disse, rassicurandola con un velato accenno di sorriso.
Amanda spostò lo sguardo verso il finestrino. Per un paio di minuti, regnò il silenzio più totale, il sordo procedere del treno a fare da sfondo. «Sai cosa vorrei?» gli disse dopo un po', gli occhi lucidi. «Sarebbe da stupidi desiderare che la propria mamma possa tornare in vita, come sperare di vedere un padre assistere alla presentazione letteraria di una figlia a caso che per tanti anni non ha aspettato – né aspetta – altro che di essere considerata da lui. Di essere amata da lui. Sì, lo so che è da stupidi. Ma è esattamente quello che vorrei.»
La ragazza rimase sconcertata dalle sue stesse parole. Non sapeva neanche lei perché le avesse pronunciate, tra l'altro senza nemmeno pensarci troppo. «Scusami, io...» Ricacciò indietro le lacrime e lo pregò di non far caso a quanto aveva appena detto.
Federico scosse la testa. «Non devi scusarti di nulla. Anzi, forse sono io che devo farlo. Mi... mi dispiace molto per la tua perdita, Amanda. So bene cosa si prova, te lo posso assicurare.»
«Ancora non mi sembra vero di averlo detto a voce alta. Fatico così tanto ad accettarlo, che molto spesso cerco persino di fingere che non sia successo davvero. Anche... anche tu l'hai persa?»
«Sì», borbottò lui. «Qualche anno fa.» D'istinto, le si avvicinò e, avvolgendo con garbo la mano della giovane nella propria, ne sfiorò appena il dorso. «Sono davvero dispiaciuto, credimi. Anche per la questione di... di tuo padre», esalò, non riuscendo più di tanto a sostenere il suo sguardo contrito. «Ma non devi parlarmene adesso, okay? Non devi farlo, se non te la senti. Parliamo d'altro, d'accordo?»
Amanda si lasciò confortare da quel tocco così impercettibile e, al tempo stesso, così saldo e gentile. Ebbe appena il tempo di accorgersi della ruvidezza delle sue mani – al contrario delle sue unghie corte e ben curate – e della consistenza di quell'anellino argenteo che indossava, che Federico si riaccomodò al proprio posto, le braccia conserte e una tensione profonda, ben palpabile, che circondava tutta la sua persona.
Si era fatto nuovamente rigido, e non soltanto per la postura che aveva assunto. La schiena dritta, le labbra deformate in un ghigno assolutamente indecifrabile. Il piede sinistro che, a intervalli regolari, batteva sul pavimento, gli occhi che saettavano da un punto all'altro. Quell'improvviso moto di premura nei suoi confronti doveva, forse, avergli fatto ricordare un qualche evento del suo passato – forse spiacevole.
«D'accordo», rispose Amanda con un sussurro – proprio in quel momento, Federico riallacciò lo sguardo a quello di lei, forzando un sorriso.
«Mi puoi scusare un attimo?» le chiese, alzandosi in piedi senza attendere risposta.
«Certo», concesse Amanda, tornando a stringere il libro che aveva appena ricevuto. Dopo quel breve, inatteso scambio che c'era stato tra loro, il conforto di quel dono era tutto ciò che le rimaneva. Ma voleva concedergli il giusto spazio, come lui, forse, stava facendo con lei.
«Torno subito», le assicurò, quindi si allontanò; probabilmente, raggiunse i servizi.
Amanda lasciò ricadere la testa sul sedile, gli occhi che le bruciavano. Non aveva tempo di piangere sul latte versato, pensò di sfuggita, mentre con lo sguardo tornava ad accarezzare la copertina di quel nuovo malloppone che teneva fra le mani. «È stato un gesto davvero carino, il suo», bisbigliò, il grande vuoto che aveva dentro stava lasciando spazio, a poco a poco, a qualcos'altro.
Non si può tornare indietro, si disse ancora. E non puoi addossarti tutta la colpa. Sospirò.
«Come va?»
Amanda si riscosse dai propri pensieri. Federico era tornato prima del previsto, l'aria visibilmente preoccupata.
«Molto meglio, davvero. È stato solo un momento di debolezza.»
«Tutti ne abbiamo. Ma di tanto in tanto dobbiamo pure avere il coraggio di far entrare almeno qualche raggio di sole nella nostra vita. Non credi?»
«Questa frase non mi sembra da te», lo punzecchiò Amanda, concedendogli un breve sorriso.
«In effetti lo diceva sempre mia nonna, non è farina del mio sacco.»
«Davvero?»
«Davvero», confermò lui.
«Ma dimmi un po', alla fine hai trovato il saggio che cercavi?» gli chiese Amanda, cercando di riportare la conversazione su argomenti decisamente più leggeri.
«L'ho trovato, sì. Ho acquistato L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello. Spero di iniziarlo a breve.»
«Non ho mai letto nulla di Sacks, ma i suoi libri devono essere molto interessanti.»
«Lo sono», confermò lui. «Tra l'altro è stato un famoso neurologo, quindi capisci che sono un pochino di parte.»
Amanda stirò le labbra in un sorriso. «Deformazione professionale, quindi.»
Lui ridacchiò. «Proprio così. Comunque, da qualche parte ho letto che sei laureata in Architettura. Come mai questa scelta?»
«Mi piaceva l'idea di progettare un qualcosa che potessi considerare soltanto mio. Un po' come quando mi dedico alla progettazione di un romanzo. Certo, ho dovuto scontrarmi anche con la Fisica e la Matematica – materie che non mi sono mai state troppo simpatiche –, ma al di là di tutto non ho mai pensato di arrendermi senza lottare. Anche oggi, rifarei probabilmente la stessa scelta. Ho sempre pensato alla letteratura come a un interesse che è possibile coltivare in ogni momento della propria vita, magari con diversi gradi di approfondimento. Non ho mai avuto l'esigenza di prendere Lettere o simili, all'università.»
«Lo stesso è valso per me. Molte persone – familiari compresi – hanno scoraggiato il mio proposito di fare il medico, tanto che spesso mi consigliavano di puntare su altro. Ma non avevano fatto i conti con la mia sconfinata determinazione», sottolineò con orgoglio Federico. «L'idea di poter studiare un sistema complesso come il cervello umano mi affascinava tantissimo. E ancora adesso riesco a provare quel brivido che mi fa sentire vivo e che, al tempo stesso, tiene viva quella speranza di riuscire a progettare delle cure sempre più all'avanguardia.»
Amanda non poté non rimanere ipnotizzata da quegli occhi. Quegli occhi dai quali traspariva una sincera – e smisurata – passione. Aveva sempre ammirato quel genere di persona. Avere in mente un unico obiettivo o una motivazione forte necessari al raggiungimento di un qualcosa non era una caratteristica poi così scontata, dato che in molti – troppi – preferivano di fatto accontentarsi, adattandosi ai ritmi di una vita piatta e monotona che, alla lunga, avrebbe spento qualsiasi tipo di scintilla.
«I tuoi genitori devono essere stati molto fieri di te, non appena hai conseguito il titolo.»
«Lo sono stati, sì. Anche se mi sarebbe tanto piaciuto condividere quel traguardo con una persona alla quale dare tutto me stesso.»
«Ti riferisci a quella donna?» domandò Amanda, in un sussurro appena udibile.
Federico le lanciò un sorriso obliquo. «L'ho amata moltissimo. Anche se... anche se per lei non è stato che un gioco.»
«Sapevi già che era impegnata, quando—»
«No. Ma ti confesso che, seppure lo avessi saputo, non credo avrei desistito. Sono un uomo molto leale, ma quando una passione mi scoppia dentro all'improvviso, be'... spesso fatico a controllarmi. Con questo non voglio dire di essere un tipo che si lascia andare tanto facilmente, anzi. Dopo di lei, non mi sono più innamorato in quel modo così... così travolgente. Negli ultimi anni ho imparato a gestire determinate emozioni, ma quando ripenso a quella donna... in realtà, non riesco a decifrare del tutto quello che provo. Una parte di me ce l'ha a morte con lei, ma l'altra parte...»
«Non riesce a disprezzarla», completò Amanda.
«È stata molto importante, sì. Ma poi, in un modo o nell'altro, ho deciso di lasciarmi tutto alle spalle e dedicarmi completamente alla mia professione. Ed è stato in quel momento che ho trovato il senso della mia vita.»
«È bellissimo quello che hai detto.»
«Per me il Giuramento di Ippocrate è sacro. In tanti la considerano una formuletta banale, una pura e semplice formalità. Ma da quando ho cominciato a esercitare, ne ho compreso davvero il significato. Quel Giuramento, a tratti, mi sembra quasi una poesia.» Si lasciò sfuggire un sorriso. Un sorriso vero, questa volta. Dovevano essere piuttosto rari i momenti in cui vi si abbandonava.
«Non dubito che i tuoi pazienti siano molto fortunati.»
«Ma non sarei nessuno senza la mia équipe. Ognuno – a proprio modo, certo – cerca sempre di contribuire e di dare il massimo.»
«È stato difficile ambientarti in un nuovo ospedale dopo il trasferimento da San Diego?»
«Non così tanto. C'era molto lavoro da fare, il Reparto di Neurologia è stato del tutto rimesso a nuovo soltanto grazie ai numerosi sforzi dei colleghi più giovani. Ho imparato molto da loro.»
«Anche loro avranno imparato molto da te. Insomma, con la tua esperienza sul campo...»
«A volte l'esperienza non basta a curare le peggiori malattie, ma diciamo di sì. Sono bravi ragazzi, sempre ben disposti alla formazione continua.»
«Ripensi mai a... a quello che hai lasciato a San Diego?»
Federico non rispose subito, stava chiaramente soppesando quelle parole. «Molto di rado, perché di fatto il mio posto è a Torino.»
Amanda annuì. La sua risposta così risoluta non ammetteva repliche di sorta. La conversazione morì in quel momento, il tenue rumore del treno che procedeva, spedito, verso la meta. Se da una parte la ragazza non sapeva cos'aspettarsi, la parte più profonda del suo essere continuava a chiedersi cosa l'avesse mai spinta a confidarsi con quell'uomo su un argomento tanto delicato come la sua famiglia.
§
Non appena scesero nella stazione di Torino Porta Nuova, Federico e Amanda presero una viuzza che in pochi minuti li condusse al cospetto di una bella moto grigio metallizzata che la ragazza riconobbe immediatamente. Senza tanti preamboli, l'uomo estrasse un mazzo di chiavi dalla giacca e aprì il piccolo portabagagli posteriori. Vi estrasse un casco rosso fiammante e lo porse ad Amanda.
«Dai, monta su.»
«Che?» replicò lei, esterrefatta.
«Non pensavo che un viaggetto in moto ti spaventasse così tanto», la canzonò lui, non riuscendo a trattenere un sorriso divertito.
«Non è che mi spaventa, è che... mi hai colta di sorpresa, tutto qui. E poi... con questo borsone che ci faccio?» gli chiese, maledicendosi mentalmente per averlo portato con sé.
«Come non detto. Vorrà dire che ti riaccompagnerò alla stazione più tardi, dopo la visione del film.»
«Mi dispiace, io non pensavo che—»
«Ma figurati», la rassicurò lui. «Anzi, avrei dovuto pensarci io non appena ti ho chiesto di prendere il treno con me. Già che ci sei, dallo pure a me.» Allungò il braccio e glielo sfilò di mano.
Amanda lo ringraziò e lo seguì, il cuore in subbuglio. Ormai non mancava molto alla visione di quel film: sperava soltanto che, almeno stavolta, sarebbe riuscita a controllarsi.
L'appartamento di Federico era al secondo piano, all'interno di un complesso residenziale piuttosto distinto. Quando Amanda fece il suo ingresso nel soggiorno, catturò in un solo sguardo quanto la circondava, meravigliata e incuriosita al tempo stesso. Il pavimento in parquet, perfettamente tirato a lucido, le quattro pareti intrise di quadri e ritratti di ogni genere, una grande scrivania popolata da pile di scartoffie disposte ordinatamente ai lati della stessa. Un divano angolare in pelle bianca posto al centro della stanza, accompagnato da una manciata di cuscini. Volgendo gli occhi alla sua destra, trovò ad attenderla una corposa raccolta di libri inerenti ai più svariati argomenti – mitologia greca compresa. La ragazza, manco a dirlo, ne rimase profondamente affascinata.
«Questa è il mio piccolo gioiello», le disse lui, riferendosi proprio alla libreria.
«Dovevi immaginare che sarei rimasta a fissarla più del dovuto», rispose Amanda, non resistendo alla tentazione di passare le dita su una pila di romanzi dalla copertina semi-rigida.
«Spero ti piaccia anche la cucina, a questo punto. O ti sei scordata che devi insegnarmi a fare i pop-corn?»
«Non potrei mai. Allora forza, mettiamoci al lavoro!»
E in un lampo si diressero in cucina.
Federico l'aveva guardata trafficare con i vari utensili per tutto il tempo. Non un momento di distrazione, nessuna occhiata o commento di troppo. Amanda non si era per nulla sentita a disagio, tantomeno infastidita dal fatto che lui avesse ammirato ogni sua mossa, seguendola alla stregua di un segugio. I pop-corn avevano assunto, a preparazione ultimata, un aspetto a dir poco invitante: croccanti al punto giusto, dallo spessore e dalla colorazione perfetta. La giovane si stupì di se stessa. Si aspettava che avrebbe combinato un qualche disastro o che, perlomeno, potesse andare storto qualcosa. Essere al centro dell'attenzione non faceva per lei, e le era parso che Federico attribuisse alla sua presenza un'importanza vitale. Sembrava felice di averla intorno, affascinato come nessuno. E non lo si capiva soltanto dagli sguardi che lanciava di tanto in tanto a quella pentola ricolma di pop-corn. Quei movimenti bruschi cui la ragazza era stata testimone prima del viaggio in treno, erano ormai un lontano ricordo.
«Ammetto che non vedo l'ora di assaggiarli», le disse, mentre estraeva il DVD incriminato da un piccolo mobiletto situato al di sotto del televisore. «Sembrano buonissimi.»
Amanda pregò con tutta se stessa di non perdere l'appetito. «Infatti lo sono», confermò, avendone già arraffato qualcuno.
Federico le andò incontro, l'acquolina in bocca. «Posso?» le chiese, prima di immergere la mano dentro la ciotola di plastica.
«Prego», gli rispose, piena di aspettativa.
Lui ne afferrò una manciata e se li portò in bocca. «Sono i pop-corn più buoni che abbia mai mangiato», constatò, impressionato. «Non pensavo fossi così brava a prepararli.»
«Quando la smetterai di sottovalutarmi?» lo prese in giro lei, visibilmente soddisfatta del risultato.
«Non l'ho mai fatto», rispose lui, con tutta la serietà di cui fu capace.
«Devo forse ricordarti di quella volta in cui mi hai detto che non ti aspettavi fossi una patita di rock progressivo?»
«Ma in quel caso il mio iniziale scetticismo era per via della tua giovane età, non di certo per altri motivi!»
«Come no, usate tutti la scusa dell'età!»
Federico scosse la testa sorridendo. «Dai, prendi pure posto sul divano.»
Amanda obbedì, mentre lui la raggiunse poco dopo. «Allora... sei pronta?»
La ragazza fece un profondo respiro. Doveva dirglielo. «Una volta...» esordì, sperando di non pentirsene, «Ecco...» Scosse la testa.
Avanti, puoi farcela.
«Tantissime volte ho pregato papà di guardare questo film insieme. Lui non mi ha mai accontentata. Questo è il motivo per il quale mi sono rifiutata di vederlo per tanti anni.»
Federico abbassò la testa, l'aria smarrita. Sembrava non sapesse cosa dire. «E... sei sicura che sia giusto vederlo ora?» le chiese poi, con palpabile indecisione.
«In tutta sincerità, no. È stato per questo che non ho detto subito di sì al tuo invito. Ma adesso... sento che è il momento di affrontare la cosa.»
«D'accordo. Allora procediamo. Vedrai, ti piacerà molto.»
Amanda cercò di rilassarsi e si comandò di spegnere il cervello almeno per un paio d'ore. S'impose persino di sorridere: il tono di voce di Federico era stato così rassicurante, che la ragazza aveva subito pensato che forse, tutto sommato, non avesse fatto male a confidarsi, almeno in parte, con lui.
Durante la visione di quel film, furono davvero tanti i momenti commoventi e pregni di significato che impressionarono Amanda al punto tale da estraniarsi quasi del tutto dalla realtà. Per sua fortuna, era riuscita a dominarsi e a non farsi salire troppo il magone nell'istante in cui il signor Scrooge aveva deciso di cambiare la propria vita.
«È stato bellissimo», aveva detto Amanda, durante la visione dei titoli di coda.
Federico aveva sorriso. «Speravo lo dicessi. Avrò visto questo film almeno una dozzina di volte, tra i grandi classici è il mio preferito. Soprattutto perché si fa portavoce di un grande messaggio di speranza. Tutti quanti commettiamo degli errori più o meno grandi, ma possiamo cercare comunque di trarre del buono da quello che, perlomeno in apparenza, ci sembra in tutto e per tutto negativo.»
«È quello che hai fatto tu?» gli chiese Amanda, profondamente colpita da quelle parole.
Lui annuì appena. «Non ci sono sempre riuscito, in realtà. E adesso più che mai vorrei cercare di dare un senso a tante di quelle cose... Cose che sono successe nella mia vita, ma...» Scrollò le spalle. «Non è così facile», concluse.
«Per me è lo stesso. Ma forse affannarsi non serve a niente. Bisogna solo vivere.»
«Su questo hai ragione.»
«Una cosa voglio dirla, però: non mi pento di nulla. Magari avrei potuto gestire meglio certe situazioni. Quello sì. Ma non mi sono mai azzardato a rinnegare il mio passato. Si dice che il dolore ci renda più forti. Non ci credo del tutto, però...» D'improvviso, si batté il palmo della mano su una coscia e si rialzò, di scatto, dal divano. «Allora... vieni o no a fare un giro? Poi torniamo qua, prendiamo il tuo bagaglio e ti riaccompagno in stazione.»
«Ci sto», rispose Amanda, che nella testa non riusciva a non chiedersi a cosa stesse pensando Federico nello specifico.
Ci penserai più tardi, adesso goditi il momento e basta! si ammonì, pregustando il giretto in moto che Federico le avrebbe fatto fare.
L'uomo estrasse il fatidico mazzo di chiavi dalla tasca e si avviarono verso il portone. Costeggiarono un vialetto e raggiunsero un affollato parcheggio. Amanda non era mai salita su una moto, e per la prima volta si ritrovò a chiedersi se le sarebbe piaciuto o se, magari, si sarebbe spaventata a morte. Federico le porse il casco e lei lo indossò, eccitata e intimorita allo stesso tempo.
«Mettiti comoda e stringiti a me», le disse lui, mentre si apprestava a inserire la chiave nel quadro.
Amanda sperò con tutta se stessa di non vergognarsi troppo per quella richiesta.
Menomale che indosso il casco, pensò.
Sapeva che nelle parole di lui, in ogni caso, non si celava alcuna malizia. Sembrava davvero impaziente di farle provare il brivido di una piccola corsetta su quel veicolo. La ragazza allungò le esili braccia e le avvolse, con delicata fermezza, intorno al busto di Federico.
Okay, è fatta, si disse. E adesso, goditi il viaggio.
Non appena Federico mise in moto e partirono alla volta di chissà dove, ad Amanda sfuggì un sorriso. Era una bella sensazione. Il vento che le sferzava parzialmente il viso, il leggero senso di calore che emanava il corpo di Federico, l'adrenalina che cresceva di minuto in minuto.
Avrebbe urlato a squarciagola per la felicità. I vicoli, i vari monumenti, la storica Piazza Carignano e tante, tantissime persone che si dirigevano a destra e a manca mentre Federico sfrecciava con la sua moto senza mostrare un filo di insicurezza.
E Amanda si sentiva, per la prima volta dopo tanto tempo, così viva ed emozionata che, se solo fosse dipeso da lei, non sarebbe mai più scesa da quella moto.
«Come va lì dietro?» le chiese lui a un certo punto, mentre svoltava verso sinistra.
«A meraviglia!» gridò lei, sempre più in estasi. Non avrebbe mai immaginato che potesse provare un senso di libertà tanto grande a bordo di una moto. Di solito, ne detestava parecchio il rumore e si tappava persino le orecchie, quando per la strada ne passavano cinque o sei insieme. In quel momento, invece, non sarebbe scesa per nessun motivo al mondo da quell'ottovolante.
Quando il piccolo viaggio terminò, Amanda riuscì, a stento, a contenere l'entusiasmo. «Non ero mai salita su una moto prima d'ora. Mi sono divertita tantissimo», gli confessò, mentre si avviarono ancora una volta verso il portone di casa.
«Ne sono contento. Vorrà dire che ne faremo tanti altri insieme... se lo vorrai, ovvio.»
«Ovvio che sì!» esclamò lei.
Non appena riprese il suo bagaglio, raggiunsero a piedi la stazione e conversarono ancora un po'. Questa volta, gli argomenti furono decisamente più leggeri: si misero persino a parlare del tempo.
«Ti ringrazio tanto per avermi accompagnata. Anzi, grazie di tutto.»
«Non mi devi ringraziare. È stato un piacere, lo sai. E... sono stato benissimo», le disse lui, lo sguardo sfuggente ed espressivo al tempo stesso.
Il treno arrivò in perfetto orario, proprio nel momento dei saluti. «Allora... ci vediamo alla prossima», gli disse, ostentando un sincero sorriso.
«A presto, Amanda.»
La ragazza si apprestò a riprendere il proprio bagaglio da terra e si preparò a salire sul treno quando, del tutto all'improvviso, fu colta da uno strano impulso.
«Federico?»
Lui si era già voltato per andarsene e, perlomeno sulle prime, non sembrò accorgersi del fatto che la giovane l'avesse richiamato.
Dopo qualche istante, si fermò. «Dimmi pure.»
Amanda rigettò il borsone a terra e, in un impeto di coraggio frammisto a follia, gli corse incontro e gli diede un abbraccio. Federico, con sua grande sorpresa, lo ricambiò seduta stante. Rimasero così, perfettamente immobili per un tempo che nemmeno loro seppero quantificare.
Amanda, dal canto proprio, non avrebbe mai più dimenticato la miriade di sensazioni scatenatesi dentro di lei durante quel tenero abbraccio.
¹⁴ Oliver Sacks (1933 - 2015): neurologo e scrittore britannico.
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