Capitolo 6
Sta finendo il primo semestre: stranamente sono riuscita a sostenere tutti gli esami previsti, nonostante la fatica dell'uso quotidiano della lingua italiana, e anche con ottimi risultati. Avrà inciso il fatto che studiare mi ha aiutato a non pensare troppo a Yuki, o almeno a non piangere dalla mattina alla sera.
Sono riuscita anche a crearmi un gruppetto di amici con cui ripassare e trascorrere un po' di tempo libero; ogni tanto, in loro compagnia, il mio cervello ha persino smesso di pensare... Almeno per qualche minuto.
Ma il cuore no, quello non ha mai smesso di soffrire.
Durante questi mesi ho dato alcune ripetizioni di giapponese a studenti della mia università, mettendo da parte un piccolo gruzzoletto. Ho intenzione di comprare un biglietto aereo per Tokyo e tornare a casa per una decina di giorni. Non sarà come vivere lì, ma ho capito che l'unico modo per andare avanti è fare il possibile per vedere Yuki, seppur per poco. E non chiederò soldi ai miei genitori; loro non capirebbero, mi direbbero di guardare avanti e rifarmi una vita qui, che il capitolo giapponese della mia esistenza si è concluso.
Ma non è così. Al di là del fatto che i miei sentimenti per Yuki siano recentemente cambiati, mi mancano la sua amicizia e la sua compagnia. Mi manca il poter parlare liberamente, sfogarmi con lui e ascoltare i racconti delle sue giornate.
Yuki è stato di parola: continuiamo a sentirci, ma purtroppo si tratta sempre di pochi minuti rubati ai suoi impegni, oppure ai miei. Ho bisogno di vederlo e di potermi sedere con lui, parlando per ore come eravamo abituati a fare.
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È sera e sto navigando sul sito dell'Università per iscrivermi ai corsi facoltativi del secondo semestre, quando un annuncio cattura la mia attenzione. Il titolo recita: "Bandi per un semestre all'estero". Ci clicco sopra per curiosità, non mi aspetto chissà che cosa. Leggo il testo e poi scorro velocemente i nomi delle Università straniere che partecipano al progetto. A un tratto penso di avere le traveggole, così mi stropiccio gli occhi stanchi e poi guardo nuovamente, con più calma stavolta. Le mie pupille si fermano su una riga in particolare, ma faccio talmente fatica a crederci che chiudo le palpebre per alcuni secondi prima di leggere di nuovo quel nome: Chuo University.
Non so se ridere o piangere. Che scherzo del destino è mai questo?
Io sono costretta a restare a Milano, mentre qualcun altro potrà studiare per sei mesi in quella che era la mia università. La nostra università.
Sto già maledicendo le ingiustizie della vita, quando mi viene un'idea. Clicco sul nome della Chuo University per leggere i dettagli e i requisiti richiesti per partecipare al bando. Trovo solo due righe: essere in regola con gli esami; buona padronanza del giapponese scritto e parlato.
Forse il cielo - o una delle divinità a cui ho affidato la mia tavoletta quell'ultima sera a Tokyo - mi sta dando un segnale. Mi iscrivo in fretta e furia al bando, indicando come unica preferenza la Chuo University. So che è rischioso, ma non mi interessa veramente finire in un altro ateneo, chissà dove. Dopo avere controllato di aver compilato correttamente tutti i campi, clicco il tasto per confermare la mia candidatura.
Non voglio illudermi, saremo in tantissimi a fare richiesta, ma per la prima volta da quando sono atterrata a Milano sento riaccendersi una fiammella di speranza nel mio cuore.
Ora non rimane che aspettare.
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Da due settimane controllo l'esito del bando, ma ancora non c'è nessuna notizia. Ho deciso, nel frattempo, di continuare con le ripetizioni di giapponese. Se dovessi venire scelta, mi servirà tutto il denaro possibile. Il vitto, l'alloggio e le spese universitarie verranno coperti dai fondi stanziati dall'ateneo, ma dovrò comunque vivere per sei mesi a Tokyo. Per il momento ho sospeso il progetto di una vacanza lì, quello resta il mio piano B, ma ora come ora tutte le mie speranze sono riposte nel bando.
Non ho nemmeno pensato a come la prenderanno i miei genitori in caso la mia richiesta venga accettata; tuttavia non intendo rinunciare a questa possibilità, ormai sono adulta e posso decidere da sola cosa fare della mia vita.
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Sono persa in questi pensieri, seduta accanto ai miei amici in biblioteca, quando una notifica sul telefono mi ferma il cuore. Faccio un respiro e mi asciugo le mani sudate, poi apro la mail appena giunta.
Non riesco a trattenere l'entusiasmo quando leggo che la mia candidatura è stata accettata, così mi lascio sfuggire un piccolo urlo di felicità. Ricordandomi di essere in biblioteca, mi affretto a coprirmi la bocca sotto gli occhi perplessi di Carlotta, Anna e Stefano. L'entusiasmo è troppo, però; non riesco a stare seduta, così mi alzo e inizio a camminare avanti e indietro. Il mio cervello ha cominciato a lavorare a un ritmo forsennato, cercando di capire quali cose fare e in quale ordine farle.
《Ema, cosa succede?》Carlotta è la prima a chiedere, sottovoce.
Mi costringo a fermarmi davanti al tavolo e a riordinare pensieri e sentimenti.
《Hanno accettato la mia richiesta! Andrò in Giappone per sei mesi!》provo a parlare piano, senza grandi risultati.
《Alla tua vecchia università?》domanda Stefano.
Annuisco, con un sorriso che non riesco a trattenere.
《Sono felice per te.》commenta Anna. 《E sono sicura che anche il tuo migliore amico ne sarà contento.》conclude con un tono che non riesco a decifrare.
Decido di non soffermarmi a lungo su questa frase: sono troppo entusiasta! Sono così felice che il mio primo istinto è correre fuori dalla biblioteca e chiamare Yuki per dargli la bella notizia. Per fortuna mi rendo conto che a Tokyo è piena notte, così sono costretta a posticipare la chiamata.
Raccolgo le mie cose e saluto i miei amici, voglio andare a casa e cominciare a organizzarmi.
Dovrò anche comunicarlo a mamma e a papà. E non ho idea di come andrà.
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