Capitolo 3 - Addio, Tokyo

È la mia ultima sera a Tokyo.

Oggi pomeriggio ho salutato i miei amici e compagni di corso; sono riuscita a non piangere, ma sono a pezzi.

E la parte più dura deve ancora arrivare.

Fisso le valigie in un angolo: che triste pensare che tutta la mia vita giapponese è racchiusa in quei due bagagli. Il tassello più importante, tuttavia, resterà qui, non posso portarlo con me.

Il cellulare sul comodino emette un breve suono, lascio scorrere il dito tremante sullo schermo: è il messaggio di Yuki che mi avvisa che mi aspetta di sotto.

Mi alzo in fretta, perchè nonostante sappia che è l'ultima volta, anzi forse proprio per questo, non vedo l'ora di vederlo. Non voglio sprecare nemmeno un secondo.

Quasi non reagisco quando i miei genitori chiedono dove io stia andando. Mugugno una risposta frettolosa ed esco di casa, praticamente correndo verso l'ascensore. I pochi secondi che impiego a raggiungere il piano terra sembrano durare anni, mentre il cuore martella nella gabbia toracica.

Appena esco cerco Yuki con lo sguardo e lo trovo appoggiato al muro, a un paio di metri dall'ingresso del palazzo. Si sta fissando le scarpe, non riesco a capire cosa stia pensando. Mi concedo dieci secondi per osservarlo senza che lui se ne accorga, voglio ricordarmi ogni dettaglio: le sue spalle larghe, i capelli castani a volte ribelli, l'atteggiamento tranquillo eppure sempre pieno di energia.

Quando sento di non poter più resistere, mi avvicino. Lui si accorge del mio arrivo e mi saluta con un sorriso.

Pronta?

Rimango interdetta: è tutto il giorno che mi preparo a salutarlo, non capisco per cos'altro dovrei essere pronta.

Che vuoi dire?

Yuki si avvicina sicuro.

È la nostra ultima sera insieme a Tokyo, giusto? Fidati di me.

Ovvio che mi fido di lui, ma è già buio e domani sarà una giornata difficile per entrambi.

Hai appena finito di allenarti e domani hai un esame. Dovresti essere in camera tua a ripassare e riposarti, non in giro con me.gli dico con un po' di senso di colpa.

Lui fa un passo verso di me, mi prende per le spalle e mi fa voltare verso la strada. Poi si abbassa fino a parlarmi all'orecchio.

Ema, voglio regalarti dei ricordi felici di questa sera.

Il suo fiato mi accarezza il collo dolcemente e poco dopo mi ritrovo a seguirlo tra le strade di questa città che non dorme mai e che ho sempre considerato casa.

Ci infiliamo nella notte, tra strade illuminate al neon e izakaya fumose. Scattiamo alcuni selfie, mangiamo un po' di street food e ci ritroviamo in un karaoke. È sempre stata una nostra abitudine quella di rinchiuderci tra le mura insonorizzate di questi locali e cantare a squarciagola fino a perdere la voce. Fino a dimenticare lo stress e la tristezza, la rabbia e la paura. Anche questa volta funziona: per svariati minuti non esiste il domani, siamo solo due ragazzi che si divertono chiudendo fuori il resto del mondo.

Per riprenderci, ci dirigiamo poi fino al parco del nostro quartiere. L'aria della notte culla il nostro silenzio, le luci del centro spariscono in lontananza e i nostri piedi si muovono sicuri sull'asfalto. Raggiungiamo il piccolo tempio che si trova in mezzo al parco, luci soffuse lo illuminano all'interno. Ci fermiamo all'ingresso dell'edificio, tra i torii rossi che lo incorniciano.

Yuki si fruga la tasca dei jeans ed estrae alcune monetine. Lascia un'offerta e mi porge una tavoletta votiva di legno.

Questa tavoletta porta il tuo stesso nome.mi dice Yuki. Scrivi qualcosa e appendila. In questo modo una parte di te resterà sempre qui. E poi chissà, magari le divinità esaudiranno la tua richiesta.

Non ho parole per rispondere, mi limito a fare quello che dice. Trovo un pennarello e penso a cosa scrivere.

Percepisco il suo sguardo su di me, mentre aspetta che io riempia la tavoletta tra le mie mani.

Cosa dovrei chiedere?

Rifletto per un po', fino a trovare le parole giuste.

"Custodite il mio cuore, finché non verrò a riprenderlo"

Le scrivo di getto e appendo la tavoletta a un gancio libero della bacheca.

Sospiro, poi mi volto in direzione di una panchina poco lontana. Mi siedo e attendo che Yuki mi raggiunga. Lui mi imita senza parlare. Non so se ha letto la tavoletta, ma se anche fosse non può comprenderne fino in fondo il significato.

Rimaniamo zitti per un po', come se entrambi sapessimo che il momento dei saluti si sta avvicinando, ma nessuno dei due fosse pronto ad affrontarlo.

Cerca di non farmi preoccupare, ok? Stai attenta quando giri per strada da sola la sera, mi hanno detto che in Italia le cose sono un poco diverse.

Non mi guarda, e anche io poso gli occhi da un'altra parte.

Non mi ero mai soffermata su questo aspetto, strano che ci abbia pensato lui. Probabilmente non ho mai riflettuto su molte cose, ma non me ne preoccupo; una volta arrivata proverò a capire cosa fare.

E cerca di ricordarti di me.

Mi giro di scatto, sorpresa. Non può davvero pensare che io mi dimentichi di lui!

Yuki!richiamo la sua attenzione con determinazione. Non dirlo nemmeno per scherzo! Sei il mio migliore amico, certo che mi ricorderò di te!

Sul suo volto compare un sorriso furbo.

Lo so, lo so. Tranquilla. Volevo solo provocarti.risponde voltandosi verso di me. Ma poi si blocca e il sorriso sparisce.

Ema, dai, stavo scherzando! Non piangere, per favore.

Cosa ci posso fare se in questo periodo ho la lacrima facile? Credevo davvero che lui fosse preoccupato che lo potessi dimenticare...

Lo colpisco sul braccio con forza, o almeno questa è l'intenzione. Ma dato il suo fisico atletico, probabilmente ha sentito solo un leggero fastidio.

Stupido.mi asciugo le lacrime in fretta e poi rispondo al suo sorriso, lasciando che mi accarezzi il capo.

È uno dei pochi gesti che si permette nei miei confronti, di solito è sempre molto attento a non invadere il mio spazio personale. E io faccio lo stesso con lui.

Vorrei che questo momento non finisse mai, ma è tardi ed entrambi dobbiamo rientrare. Adesso le nostre vite si divideranno e inizieranno a viaggiare su binari diversi. Percorriamo il tragitto fino al mio portone senza dire niente, perché non c'è niente da dire. Sappiamo che non possiamo evitare quello che accadrà domani, nonostante entrambi lo desideriamo.

Quando arriviamo, mi fermo e osservo Yuki, a pochi centimetri da me. Non ho mai desiderato così tanto un contatto fisico con lui, un abbraccio, per poter imprimere nella mia memoria il suo profumo e la sensazione di essere circondata dal suo affetto.

Ora che è giunto il momento, ho lo stomaco annodato e non riesco a parlare. Spero che lo faccia lui, perché non potrei aprire bocca senza crollare.

Capisco che anche lui è in difficoltà, deglutisce un paio di volte, poi si schiarisce la voce.

Ti voglio bene, Ema. Te ne vorrò sempre, anche se vivremo a migliaia di chilometri di distanza.mi fissa negli occhi e mi sembra che il suo sguardo voglia dirmi di più. Poi riprende: Ricordati di essere felice.

Apro la bocca per inspirare e ricacciare indietro il groppo in gola che è diventato enorme e minaccia di strozzarmi. Queste sono esattamente le parole con cui avrei voluto salutarlo, ma lui è riuscito a pronunciarle, mentre io no.

Ci sentiamo, ok? Fa' buon viaggio.

Dopo un ultimo sguardo Yuki inizia ad allontanarsi, le mani nelle tasche dei jeans e la testa bassa.

Non sopporto di lasciarlo andare senza dirgli nulla, così mi faccio forza e lo chiamo.

Lui si volta subito e mi guarda, in attesa.

Mi sembra che i polmoni mi brucino dal dolore, che la gola si sia ristretta fino a chiudere il passaggio dell'aria.

Faccio un paio di passi nella sua direzione, ma poi mi fermo. So che non resisterei se lo avessi troppo vicino.

Ti voglio bene anch'io. E voglio vederti giocare nelle migliori squadre del mondo, ricordatelo.

Cerco di lasciarlo con un sorriso, ma probabilmente l'unica cosa che compare sul mio viso è una smorfia. Così mi affretto a nasconderla e lo osservo mentre annuisce, alza una mano per un ultimo saluto e se ne va per sempre.

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