Chapter 26 - L'Entrata

Arrivammo al quartier generale dei Salvatori per mezzogiorno, come avevo previsto il giorno precedente. Dei Vaganti camminavano avanti e indietro di fronte alla recinzione, tenendo lontano chiunque avesse anche solo l'intenzione di entrare.
"Questo è il retro;" mi riferì Carl a bassa voce. "vedi là?" Alzò un braccio, indicandomi una specie di porta poco più a sinistra dove stavo guardando io. "Da lì passano tutti i furgoni quando devono uscire."
"Allora entriamo da lì." Suggerii, ma mi ricredetti subito dopo, scuotendo la testa. "Ma con i Vaganti? Come facciamo?" Chiesi a nessuno in particolare, il tono della mia voce sconsolato.
"Ho un'idea io, tu aspettami qui." Carl si alzò, tornando nel bosco da cui eravamo appena usciti.
"Aspetta!" Gli gridai tra i denti, evitando di essere sentita. "Che cosa hai intenzione di fare?"
"Lo vedrai." Mi rispose, senza mai fermarsi.
Tornò dopo un paio di minuti, con due Vaganti morti con sè; spalancai gli occhi all'istante, voltandomi verso di lui.
"Ma che diamine ti è venuto in mente?" Gli domandai, avvicinandomi; lui non rispose, ma si limitò a tirare fuori due lenzuoli dallo zaino porgendomene uno, che io accettai esitante dopo qualche secondo.
"Tagliamo i Vaganti e ricopriamo i lenzuoli con il loro sangue e le loro interiora, così quando passeremo in mezzo a quelli 'vivi' non riconosceranno il nostro odore, dato che avremo i lenzuoli addosso." Mi spiegò, cominciando ad aprire a metà uno dei due Vaganti; portai le mani davanti alla bocca, sentendo dei conati di vomito farsi spazio dallo stomaco alla gola, risalendola.
"Hey, hey." Carl mi richiamò, avvicinandosi e mettendomi una mano sulla spalla. "Se vuoi, ci penso io anche al tuo." Propose, ottenendo un sì pronunciato a fior di labbra da parte mia.
Mi misi di spalle rispetto a quello che stava facendo Carl, prendendo poi una bottiglia d'acqua per bere; la gola mi era diventata improvvisamente secca, facendomi male ogni volta che mandavo giù la saliva. Nonostante fossero già morti, esseri in putrefazione che divoravano qualsiasi cosa si muovesse di fronte a loro, erano pur sempre stati degli esseri umani, uomini e donne che come me avevano ragionato ed agito con la propria testa, e non solo spinti dagli istinti.
"Ho finito, vieni a prendere il tuo lenzuolo." Mi richiamò Carl ad un certo punto, facendomi voltare verso di lui.
Aveva fatto un buco -probabilmente con il coltello- al suo lenzuolo, in modo da far passare la testa, mentre il colorito bianco-giallino aveva assunto una tonalità rosso sporco, unita ad un marroncino nauseabondo. Mi stava porgendo il mio, identico al suo.
"Grazie." Dissi deglutendo a fatica, indossandolo anch'io.
"Forza, andiamo." Carl mi porse la mano, aspettando che io gliela prendessi.
Rimasi ferma, lo sguardo che passava dal suo viso alla mano, titubante sul fidarmi ancora oppure no, rifiutando.
"Avanti, avremo più probabilità di sopravvivere se rimaniamo vicini." Mi incitò ulteriormente lui, allungando ancora di più la sua mano verso di me.
Alzai gli occhi al cielo, afferrando poi la sua mano e facendomi trascinare, sperando che avesse ragione. Ci avvicinammo lentamente ai Vaganti, camminando con la loro stessa velocità, in modo da confonderci; non appena il primo si avvicinò a noi fiutò il nostro odore, procedendo dopo per la sua strada e lasciandoci perdere. Non mi accorsi di star trattenendo il fiato fin quando non fummo arrivati dentro al quartier generale, superando il cancello stranamente aperto. Ci togliemmo i lenzuoli e li ricoprimmo con il cellophane, in modo da poterli mettere nello zaino per riutilizzarli quando ce ne saremmo andati, senza però sporcare qualcosa; dopodichè ci dirigemmo verso la porta sul retro, superando un paio di auto e qualche moto.
"Grazie." Gli dissi, afferrandogli il polso per fermarlo e farlo voltare verso di me.
"Grazie per cosa?" Mi domandò lui un po' confuso.
"Per quello che stai facendo, nonostante io ti abbia detto di andare via." Gli spiegai, abbozzando un sorriso.
"È il minimo dopo quello che ho fatto; e per la cronaca, mi dispiace ancora." Carl mi prese di nuovo per mano, mettendo l'altra sulla maniglia della porta. "Ora rimanimi vicino, ho già esperienza con loro." Mi avvertì, aprendo la porta e trascinandomi subito dentro, per poi richiuderla con delicatezza, cercando di fare meno rumore possibile.
Davanti a noi si apriva un lungo corridoio, con l'intonaco azzurrino sulle pareti che si stava staccando; il pavimento era pieno di polvere, l'unica cosa che evidenziava il passaggio di qualcuno erano le orme lasciate.
"Cerchiamo di comuncicare a gesti, meno parole usiamo e più probabilità abbiamo di sopravvivere."Mi sussurrò Carl; annuii in risposta, facendomi fare strada da lui.
Superammo il corridoio a passo di marcia, la luce andava e veniva, rendendoci difficile una visione ampia del tutto. Girammo a destra, salendo un paio di rampe di scale e finendo in un secondo corridoio, questa volta più pulito di quello precedente. All'improvviso sentimmo delle voci dietro di noi, per questo sia io che Carl ci girammo indietro, cominciando a sentire il sudore freddo scivolare a goccioline lungo la schiena; Carl aumentò il passo, trascinandomi di conseguenza dietro di sè. Non facevamo ancora troppo rumore, i nostri piedi percorrevano un corridoio silenzioso, come se stessimo volando di un paio di centimetri dal pavimento. Ad un certo punto percepii una mano afferrarmi il braccio, per poi trascinarmi all'interno di una stanza; non vidi subito chi fosse stato, perché mi aggrappai al braccio di Carl, premendovi contro il viso con gli occhi chiusi.
"Tranquilla, non ci succederà niente." Mi rassicurò lui, accarezzandomi la testa.
Pian piano mi staccai, aprendo lentamente gli occhi; di fronte a me c'era un uomo dai capelli brizzolati e gli occhi chiari, colui che stavo aspettando di vedere da ormai tre anni della mia vita.
"Papà!" Esclamai sottovoce, andandogli incontro e allacciandogli le braccia intorno al collo.
"Oh, Gwen." Disse lui, stringendomi a sè.
Percepii alcune lacrime rigarmi il viso, la felicità mi innondava le vene al posto del sangue, facendomi sentire come in una bolla d'aria indistruttibile, in cui esistavamo solo io e mio padre.
"Quanto tempo è passato?" Mi chiese lui, staccandosi da me e prendendomi il viso tra le sue mani.
"Troppo." Risposi io, ancora incredula.
"Siediti, dobbiamo parlare." Mi offrì, indicandomi un piccolo divano su cui sederci insieme, da cui sarebbe iniziata di nuovo la nostra vita insieme.

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