Chapter 23 - Solitudine
Mi stavo ancora asciugando le lacrime, continuando il mio viaggio verso il quartier generale dei Salvatori. Non vedevo l'ora di riincontrare mio padre, ma la gioia e l'impazienza che provavo per quest'ultimo fatto erano quasi del tutto sopraffatti dalle emozioni contrastanti che mi erano appena state suscitate; il dolore e l'incredulità si mischiavano alla delusione, creando così un intreccio di fili nel mio petto, che passavano intorno al cuore e lo stritolavano. Il fatto che la persona di cui mi fossi fidata di più, alla quale mi ero lasciata affezionare, andando contro ogni mio principio, mi avesse tradito, provocandomi un dolore lacerante che mi corrodeva da dentro, mi faceva stare male in un modo assurdo, addirittura arrivando a togliermi il respiro. Faceva male in un modo quasi insopportabile, le lacrime continuavano ad uscire, non volevano saperne di smetterla.
Ad un certo punto, mi fermai vicino al tronco di un albero, sedendomi ai suoi piedi e tirando fuori una bottiglia d'acqua e un barattolo di fagioli; nonostante fossero freddi, mi ero abituata a mangiare cibo freddo e disgustoso pur di sopravvivere. Aprii la confezione con un coltello, mettendomi dei pezzi di carta nelle orecchie; odiavo quel suono, metallo che sfrega contro metallo, generando uno stridio acuto e pizzicante. Ma dopo un po' ci ho dovuto fare l'abitudine.
Per sopravvivere.
Tutto ciò che avevo imparato nel corso degli ultimi otto anni della mia vita riguardava il sopravvivere. La condizione era una e basta da quando tutto era iniziato: o sei abbastanza furbo e svelto da imparare in fretta e diventare il carnefice, o ti lasci sopprimere da tutto ciò che ti circonda, diventato così la preda di tutto e tutti. Io ero riuscita ad inserirmi all'interno della prima categoria, soprattutto grazie all'aiuto di mio padre e dei gruppi che avevo incontrato, i quali mi avevano sempre insegnato qualcosa.
Sospirai, appoggiando la testa all'indietro sul tronco e chiudendo gli occhi, concentrandomi sui suoni che mi circondavano. Qualcosa di positivo, comunque, l'aveva portato la fine del mondo: non c'era più inquinamento, gli uccellini cantavano di più e la natura piano piano stava riprendendo il controllo sul cemento. Stavamo tornando indietro e non lo sapevamo, non ce ne rendevamo conto. Costruivamo capanne con rami e foglie -alle volte- e ciò che mangiavamo lo cacciavamo noi; eravamo come quegli uomini e quelle civiltà che leggevamo nei libri di storia, la quale si stava ripetendo sotto i nostri occhi, con lo stesso identico sviluppo.
Quando ebbi finito di cenare, riposi tutto ciò che avevo avanzato all'interno dello zaino, facendo in modo che niente fuoriuscisse da nessuno dei contenitori aperti. Mi alzai in piedi, per poi continuare a camminare; cominciava a far buio, quindi presto avrei dovuto fermarmi di nuovo e trovare un albero su cui dormire. Non mancava troppo ad arrivare dai Salvatori, secondo i miei calcoli sarei arrivata a destinazione per mezzogiorno del giorno dopo, se non avessi continuato il tragitto durante la notte; erano da tre anni che non vedevo più mio padre, una notte in più non mi avrebbe di certo uccisa.
Ad un certo punto, il pensiero tornò di nuovo su Carl, provocandomi dolore e sorpresa; era come se qualcuno mi avesse tirato un pugno allo stomaco, bloccandomi per un attimo il respiro. Le lacrime si riformarono nei miei occhi, facendomeli pizzicare in un modo fastidioso ed irritante allo stesso momento. Forse Cyndie aveva ragione: probabilmente provavo qualcosa per Carl e quel qualcosa mi stava distruggendo da dentro, e io lo avevo permesso, non l'avevo fermato in tempo. O meglio, non avevo voluto fermarlo; non provavo quelle emozioni stupende da molto, troppo tempo: le risate quando lui diceva qualcosa di stupido, gli sguardi e i sorrisi d'intesa scambiati, e gli abbracci in cui mi ero sentita finalmente a casa dopo otto anni di fuga dal mondo è da me stessa. Il fatto di lasciare andare questa opportunità, facendola scorrere come acqua tra le dita, non mi aveva attratto granchè, per questo avevo scelto quella più rischiosa. Quella che mi stava spezzando.
In quel momento avrei decisamente voluto urlare, ma sapevo benissimo che se lo avessi fatto, avrei solamente ottenuto il risultato di richiamare i Vaganti nelle vicinanze. Come a farlo apposta, ne sbucò fuori uno da non so dove; la bocca e il mento erano sporchi di sangue, segno che aveva appena mangiato. La sua cena poteva essere stata sia un animale che un uomo, dato che in quello non facevano differenza. Mi avvicinai lentamente, facendo scivolare fuori dalla fodera che avevo preso ad Hiltop il mio coltello. Mi scagliai contro quell'essere come un leone affamato si getta sulla propria preda, con l'unica differenza che io non l'avrei mangiato. Lo pugnalai prima alla testa, uccidendolo così definitivamente, per poi iniziare a colpirlo ripetutamente al torace e all'addome, in preda ad una furia e una violenza omicida che non mi appartenevano. Stavo scatenando tutto quello che avevo provato quel giorno su un corpo inanimato, dove l'anima ormai non regnava più da molto tempo probabilmente. Quando mi fermai, avevo le mani piene di sangue, per questo lasciai andare il coltello, terrorizzata e sorpresa da quel mio comportamento improvviso.
"Cazzo, cazzo!" Sussurrai, cercando di evitare di gridare. Sfilai la maglia che avevo addosso, utilizzandola come straccio per pulire sia il coltello che le mie mani.
Per fortuna che avevo trovato un cambio con me, che indossai subito. Ricominciai subito a camminare, incrociando le braccia al petto e cercando di eliminare dalla mente ciò che avevo appena fatto.
All'improvviso, i miei pensieri vennero interrotti da un rumore di foglie che si muovevano e rametti che venivano calpestati; afferrai la pistola che tenevo nel solito posto -tra la cintura e i jeans-, puntandola nella direzione da cui derivava il rumore. Mi asciugai per l'ultima volta gli occhi facendomi forza, dato che un obiettivo triste o spezzato era più debole e vulnerabile, e quindi di conseguenza più facile da uccidere.
"Esci fuori di lì, o giuro che sparo." Lo avvertii; la mia voce era calma, ormai avevo imparato a non avere più paura degli improvvisi rumori che ogni tanto si sentivano, altrimenti sarei già morta d'infarto.
Il cespuglio si mosse, mentre colui che si trovava al suo interno ne usciva, rivelandosi.
"Tu?!" Esclamai, non credendo ai miei occhi.
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