Bunker 306, ore 13:47

L'idea di fare da esca non mi piaceva nemmeno quando rimaneva un concetto astratto, un'idea appunto; adesso che sosto di fronte alla porta socchiusa della camera della signora Diodati, da sola e con nient'altro che un misero coltellino da cucina fra le dita, mi piace ancora meno. Dall'interno non proviene alcun rumore. Le luci sono spente e, da dove mi trovo, scorgo appena l'ombra della mia silhoutte proiettata dalle lampadine giallognole nel corridoio.

Se i gatti-mostro sono davvero lì, come ha affermato Davide, non danno alcun segnale. Secondo lui a quest'ora del giorno dormono, tuttavia i loro sensi sviluppati dovrebbero averli già avvisati del mio arrivo. Questo vuol dire niente effetto sorpresa.

La scatoletta di tonno mangiata per colazione – purtroppo non abbiamo molta scelta – mi galleggia ancora nello stomaco. Sapeva più di olio che di tonno, per fortuna, dato che ho sempre odiato qualsiasi tipo di pesce; questo non toglie però che il mio stomaco non voglia saperne di digerirlo. Perfino i miei succhi gastrici lo ripudiano.

I suddetti succhi, infatti, anziché aggredire il tonno decidono di risalirmi su per la gola. Un attacco di tosse mi annuncia ai mostri. Adesso se ne devono essere accorti per forza.

Dubito che mi sarà d'aiuto, ma stringo il coltellino davanti a me, come un prode guerriero con la sua spada.

Calma.

Devo calmarmi. Ivy non è con me, durante i preparativi Davide l'ha rinchiusa nella sua stanza, dove mi ha promesso che sarebbe stata al sicuro. Abbiamo riempito l'entrata di trappole. Anche se i mostri-gatto dovessero decidere di aggredirla, troverebbero delle reti a bloccarli e un bel campanello ci darebbe l'allarme.

Perciò non mi devo preoccupare di niente. Non appena i gatti-mostro escono allo scoperto, comincerò a correre. Davide e Mirtilla ci aspettano con le armi spianate.

Continuo a pensare che il piano sia stupido, ridicolo, assurdo, mentecatto...

Una delle code arriva per prima. Si affaccia alla porta e danza di fronte a me, come a volermi prendere in giro. La scena mi pietrifica, eppure allo stesso tempo le labbra mi si tendono e trattengo a stento una risata isterica. Le due sorelle gemelle si uniscono poco dopo. Mancano solo delle belle gonnine hawaiane.

La faccia del gatto-mostro arriva alla fine, lentamente si sporge per mostrarmi i denti. Un'orbita vuota e nera mi fissa. La stessa sostanza nera e puzzolente che ho incontrato nel tunnel gli copre il colore del pelo e si intrufola nella cavità dell'occhio.

Le gambe, non me le sento più. Le comando di muoversi, e quelle mi fanno girare e fuggire alla velocità della luce, ma a me sembra quasi di volare. Quelli fanno un rumore infernale dietro di me, mentre mi rincorrono: saltellano da una parete all'altra come delle cazzo di cavallette imbizzarrite.

Mi sento le code a un centimetro dalla testa. Veloci come sono, impiegano poco più di una manciata di secondi per raggiungermi. Non che mi aspettassi altro. Non ci credo nei miracoli.

Se scampo alla morte è solo perché il corrioio gira all'improvviso: sbattendo contro la parete, mi do la spinta e sparisco oltre. I gatti-mostro conficcano prima le code, poi si abbattono con gli artigli contro quello stesso muro. Rimbalzano e si riprendono l'inseguimento, fra un verso mostruoso e l'altro.

Oltrepasso un carrello pieno di scatole vuote. L'abbiamo messo io e Davide durante i preparativi. Lo rovescio a terra e tutto il contenuto rotola sul pavimento; i gatti-mostro nemmeno lanciano un miagolio con la loro voce profonda e saltellano sui muri per evitare l'ostacolo.

«Merda!» Riprendo la corsa folle verso la cucina. «Cazzo di gatti con gli steroidi, ma non lo sapete che fanno male?» borbotto fra me. La paura mi fa parlare a vanvera.

Non sono troppo lontana dalla meta. Evito tutti i mobili che io e Davide abbiamo posizionato nella speranza di rallentarli, dato che è evidente: non funzioneranno. Devo superare solo altre due svolte, e una è proprio di fronte a me...

Non appena giro l'angolo, un dolore acuto mi investe il braccio sinistro. Lancio un urlo. Cado in ginocchio.

Un'escrescenza bianchiccia e puntuta mi perfora il braccio da parte a parte.

Alzo lo sguardo, anche se so già cosa aspettarmi. Un paio di occhio mi osserva da una testa che pende da un collo spezzato. Lo stesso gatto-mostro del tunnel.

Quando cazzo è rientrato non lo so e, francamente, al momento nemmeno mi interessa. Gli altri due si sono fermati dietro di me, le lingue schizzano fuori; una mi assaggia la guancia, ed è ruvida e viscida allo stesso tempo.

I birividi mi scuotono da capo a piedi. Provo ad affondare il coltello nella coda che mi trafigge, ma la punta arrotondata non ne vuole sapere di conficcarsi. E allora taglio con tutta la forza che ho, i muscoli del braccio si gonfiano e si tendono, le vene sporgono più del dovuto mentre cerco di provocare un minimo di dolore a questo cazzo di mostro di merda.

Se potesse bestemmiare, sono sicura che il gatto-mostro lo farebbe. Invece ritira la coda con un verso stridulo. Più che un vero e proprio dolore, a inondarmi il braccio sanguinante è un vago bruciore. L'adrenalina mi scorre in corpo come un'energia magica e mi permette di rialzarmi, superare il mostro e rimettermi a correre. Le sue code provano a inforchettarmi durante il mio passaggio, tuttavia si scagliano contro il muro e si incastrano lì per qualche secondo. Quando il mostro le estrae, pezzi di calce crollano sul pavimento.

Mi manca il fiato. Maledizione a tutti i momenti passati stravaccata nel bunker. Ma resisto. Morire non è un'opzione per me.

E così, mentre i polmoni piangono e bruciano chiedendomi ossigeno e i gatti-mostro mi seguono incazzati, svolto l'ultimo angolo. La porta della cucina è spalancata; Davide punta il fucile proprio verso di me, rintanato dietro un tavolo capovolto.

Il rumore dello sparo rimbomba fra le pareti. Un fischio mi riempie le orecchie. Abbasso la testa e stringo i denti, tenendo duro per quegli ultimi metri che mi rimangono da percorrere. Salto una fune tesa davanti a me e mi rintano dietro la schiena di Davide. Il mio respiro affannato è tutto ciò che riesco a percepire per alcuni istanti.

«Stai bene?» mi chiede lui, il dito ancora in posizione sul grilletto.

«Non mi sento un braccio e stavo quasi a mori', ma non mi lamento» gli rispondo, con un tono più acido di quanto vorrei.

Uno dei mostri giace a terra. Lingua e code si muovono appena, e la sostanza che lo ricopre cola sul pavimento, si espande come una macchia d'olio. Gli altri due cadono proprio sulla fune che azione la trappola, mentre le teste si girano per controllare il compagno ferito.

Dal soffitto cade una rete. Li ricopre entrambi e ne limita i movimenti; per quanto soffino e si agitino, quelle creature del cazzo non riescono a liberarsi.

«Ha funzionato!» Davide sembra stupito tanto quanto me. E dire che il piano l'ha pensato lui. Posiziona per bene il fucile e spara due colpi precisi.

Uno centra l'orbita vuota di uno, l'altro spacca il naso del compagno. Entrambe le creature si accasciano. Altra sostanza nera si estende a terra; si unisce all'altra pozza per crearne una più grande, immensa.

«Cazzo, La'!» Davide si getta sul mio braccio ferito e lo solleva per osservarlo. Mi sfugge un lamento. «Stai a perde' un botto di sangue.» Anche lui ha un graffio sulla guancia, ma per fortuna sembra superficiale.

«Per fortuna c'hai 'na buona mira» dico piuttosto. Mi gira la testa e il suo viso si sdoppia per un attimo.

«Mio fratello era un cacciatore, m'ha insegnato qualche cosa.»

Annuisco e mi guardo intorno. I tavoli che avevamo rovesciato come coperture sono in una disposizione diversa da quella che ricordavo, alcuni sono addirittura spezzati. «Dov'è Mirtilla?» chiedo.

«C'hanno attaccato mentre non ci stavi» mi spiega Davide. «Erano due, pensavo che erano quelli che dovevi porta' qua.»

«Li avete uccisi?» Credo di sospettare la risposta, ma voglio saperlo per certo.

«No. Mirtilla è sparita e quelli l'hanno seguita, non lo so 'ndo stanno mo'.»

«Qualcuno ha riaperto la porta» dico. «Uno di quelli là» indico il cadavere dal collo spezzato «l'avevo chiuso fuori.»

«Tu pensi che è stata lei?» Davide ha smesso di ispezionarmi la ferita e mi guarda negli occhi. I suoi sono piccoli e bui. «Quando stavamo a fa' i preparativi?»

Mi rendo conto, io per prima, di quanto assurda sia la cosa. Eppure non vedo altre possibilità.

«Se non sei stato tu» gli dico «allora per forza.»

Non dice niente. Mi prende di nuovo il braccio; le dita gli si macchiano del mio sangue. «Ti dobbiamo ferma' l'emorragia.»

«Non dobbiamo prima controlla' che gli altri...» Mi blocco a metà frase.

Il liquido denso che si era separato dai gatti-mostro una volta deceduti si spostava e, pian piano, ci ha raggiunti. Si insinua sotto la mia suola, risale su per il tavolo rovesciato che ci nasconde. Lo inghiotte dentro di sé. Poi avanza. Mira a me e Davide.

Mi sposto con un balzo esagitato. Davide riprende il fucile e mi si affianca.

«Che cazz'è?» urla.

«Non penso che lo puoi ammazza' sparando!» gli faccio notare.

«E perché, è vivo?»

Questa domanda mi pone di fronte a una seria difficoltà. Sembra quasi petrolio e puzza anche di più, ma si espande e si sposta di propria iniziativa. Come comportamento non si discosta molto da quello di una qualsiasi muffa.

Muffa. Ma certo!

Plic.

Plic.

Qualcosa mi cade sul naso. Sospetto di sapere di cosa si tratti, ma è con una lentezza spropositata che la tocco. Viscida, proprio come sospettavo, tuttavia anche più liquida. Me la porto davanti agli occhi, aspettandomi il nero della muffa-puzzona, invece è trasparente.

Plic.

Cazzo. Alzo la testa. Una nuova goccia mi centra l'occhio. Con l'unico ancora aperto, incontro le zanne di un gatto-mostro sospeso al soffitto.

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