Chapter Three
Di notte, Riverdale era coperta da un velo silenzioso.
Non perché ci fosse la calma, ma perché c'era la paura.
Non c'è nulla di peggio che il silenzio causato dalla paura, che sia di agire, di parlare, di uscire di casa.
E solo dopo interminabili ore di buio nero come la pece, arrivava quel raggio di Sole dalla finestra che ti faceva esclamare: "Finalmente è mattino".
Anche a Riverdale arrivava il mattino, e grazie a questo passaggio, che sembrava fosse tra morte e vita, la città ritornava a vivere.
«Buongiorno fiorellino» la voce dolce di Veronica svegliò Archie ancora nella fase della veglia.
Come gli avevamo promesso, avremmo fatto colazione insieme.
Eravamo andati da Pop's e avevamo fatto rifornimento, con Jughead che avrebbe voluto mangiare tutto quanto prima che lo portassimo in ospedale.
Avvicinammo tre sedie ed un tavolino al lettino in cui era sdraiato Archie e tirammo fuori la colazione dai sacchi di carta un po' sporchi di zucchero a velo e sciroppo d'acero.
C'erano due pancakes e un cornetto appena sfornato per ognuno, una caraffa piena fino all'orlo di caffè caldo e fumante ed un'altra di succo d'arancia fresco, spremuto davanti ai nostri occhi.
Ci addentammo subito sul cibo, gustando ogni pezzo che ci capitasse sui denti.
«Ragazzi, siete fantastici.» disse Archie tra un boccone e l'altro. «E menomale, sennò di nuovo colazione a casa Cooper.» rispose Jug con la bocca piena.
«Precisiamo-» ingoiai l'ultimo boccone di cornetto e mi schiarii la voce per imitare la voce di mia madre.
«Quante volte al giorno ti lavi? Quali prodotti usate per pulire la casa? Non credo che a Betty vada bene»
Scoppiarono tutti a ridere, e a loro mi aggiunsi anch'io, cercando di non sputare il sorso di caffè che avevo appena bevuto.
«Okay okay... ora però basta o mi affogheró con il caffè.» Mi fermai un secondo a guardarli e il cuore mi si colmó di nostalgia.
Nostalgia per i giorni in cui cenavamo da Pop's senza aver paura di tornare a casa da soli.
Nostalgia per i giorni in cui non facevamo altro che ridere e goderci ogni secondo della nostra adolescenza.
Una piccola lacrima stava per scendere, ma la bloccai con il dito; non era il momento di piangere, dovevo essere forte.
«Da quant'era che non ridevamo così tanto?» domandai ai miei amici.
«Tanto tanto tempo.» disse Archie.
«Direi troppo» aggiunse Jughead.
"Troppo" significava che ci eravamo stufati di non farlo più, che era passato più tempo di quanto avremmo potuto sopportare.
Verità più dolorosa di quella non c'era.
«Quindi oggi si scoprirà se tuo padre uscirà di prigione?» chiese Archie, parlando di FP.
«Verrà rimandato a domani... sai per sto tutto casino»
«I vostri genitori sanno che non siete a scuola?»
«In realtà Arch, dopo varie lotte con i nostri genitori, li abbiamo convinti a farci entrare alle nove» dissi sorridendo.
«E a proposito, sono le 8:50» disse Jughead alzandosi e mettendo il suo zaino sulle spalle.
Così sparecchiammo il tavolino e mettemmo in ordine.
O almeno, io e Veronica!
Uno ad uno salutammo Archie e uscimmo dall'ospedale, per andare a scuola.
Nell'aria si sentiva profumo di primavera; dei suoi fiori, della sua brezza.
Il cielo aveva solo qualche piccola chiazza grigia, per il resto era tinto di azzurro.
Le foglie degli alberi stavano diventando man mano sempre più verdi e gli animali i mostravano in tutta la loro bellezza, fuori dalle loro tane.
Una leggera folata di vento scompiglió i miei capelli sciolti, portando qualche ciocca sui miei occhi azzurri.
Jughead, che camminava al mio fianco, con un dito le spostó dietro il mio orecchio, per poi lasciarmi un bacio sulle labbra mentre sorridevo.
Feci un sospiro felice e sembró che mi svegliai.
Sarebbe stata una bella giornata, ed ero più determinata che mai ad avverare quel desiderio.
«Che ne dite se stasera facciamo qualcosa di diverso che andare da Pop's?»
Proposi al mio ragazzo e alla mia migliore amica, che intanto si sistemava i capelli mori.
«Sono d'accordissimo» rispose felice Veronica.
Era sempre disponibile a nuove esperienze, che fossero stupide o importanti.
Jughead annuì, così pensammo a dove passare la serata.
Non c'era molta scelta in realtà; Riverdale non aveva mai avuto poi così tante attrazioni, poiché non era nemmeno un città turistica.
Ma io credo che una serata possa essere bella anche per ciò che fai e con chi la passi. Nel mio caso l'avrei passata con due delle mie persone più importanti.
Arrivammo a scuola ed entrammo nella classe con le appropriate giustifiche, e Veronica ebbe un'idea.
«E se organizzassimo una festa?» propose a bassa voce Veronica, per non farsi scoprire.
Io e Jughead stavamo per aprire bocca, quando lei ci precedette sulla parola.
«E lo so che non siete tipi da festa, ma voglio una tranquilla con davvero poche persone»
Guardai prima Jughead e poi Veronica, annuendo alla sua proposta anche da parte del mio ragazzo.
Lei sorrise soddisfatta.
Speravo solo non andasse a finire come quella di qualche mese prima, in cui mi ero ubriacata ed ero quasi andata a letto con Jughead.
Che tempi.
***
La musica suonava a tutto volume nelle mie orecchie dalle cuffiette, mentre decidevo cosa indossare per la festa che si sarebbe tenuta dopo qualche ora, a casa di Veronica.
"Ho chiuso il cielo, nella stanza ho le pareti blu
Ho perso la ragione, la ragione sei tu
Che mi fai andare fuori,
Tu mi fai andare fuori
You’re like the beat of my heart, we keep on
Baby please forgive me I love hard"
Cantavo a squarciagola, mentre lanciavo i vestiti che meno mi soddisfacevano sul letto. O almeno così mi sembrava, sicuramente qualcuno era anche caduto sotto.
Ad un tratto sentii un tintinnio dalla finestra, come delle nocche che ci battevano contro.
Mi girai, ed effettivamente trovai Jughead a bussarci contro.
Avvampai dall'imbarazzo; chissà da quanto era rimasto lì a fissarmi o io non l'avevo nemmeno sentito!
Bloccai la musica e tolsi le cuffiette in un attimo.
Aprii la finestra e Jughead subito entrò.
«È scoppiata la Terza Guerra Mondiale nella tua stanza, per caso?»
«Una roba simile» dissi, ancora rossa in faccia. Ma lui sembrò non accorgersene, o forse fece finta.
«Allora, metterai un abito sexy stasera» disse prendendomi per i fianchi e portandomi più a sé.
Mi morsi piano il labbro e misi le braccia dietro il suo collo, accarezzandogli i capelli.
«Non credo che ce ne sia bisogno per farti un certo effetto» dissi guardando in basso.
Non mi piaceva usare quel linguaggio, ma quando mi provocava perdeva in partenza.
E infatti, lui non seppe resistere e mi baciò con passione, prima sulle labbra, poi sul collo.
La sua rapidità era sensazionale e allo stesso tempo delicata.
Ci sdraiammo sul letto e si mise sopra di me per continuare a baciarmi, mentre con le mani scendevo sempre più giù.
Capovolsi la situazione e gli tolsi la maglietta. Gli disegnai delle linee immaginare lungo i pettorali e le braccia, mentre lui mi tolse la maglia e mi lasciò dei baci sul petto e vicino il seno.
Poi si sentì bussare alla porta.
Ci alzammo immediatamente e ci rivestimmo. Lui si infilò sotto il letto, mentre io andai ad aprire la porta chiusa a chiave.
E davanti c'era, ovviamente, mia madre.
Sempre al momento sbagliato.
«Sono venuta a lasciarti dei calzini puliti» disse sporgendo la testa in alto, a destra e a sinistra.
«Grazie e... mamma ma cosa stai facendo?»
«Controllo se ci sia qualcuno nella tua stanza» disse, lasciandomi spiazzata.
Le chiusi la porta in faccia e Jughead uscì da sotto il letto.
«Credo sia meglio che tu ti prepara.»
«O mia madre potrebbe ingaggiare delle spie» dissi ridendo e baciandolo.
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Spazio autrice🐍
NON HO ANCORA VISTO LA PUNTATA. CI VEDIAMO DOPO PER SCLERARE.
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