Chapter Six
*capitolo interamente dal punto di vista di Jughead*
La vita mi faceva quasi paura.
Era una gabbia fatta di lame d'argento, fredde e appuntite, e così limpide da poter vedere riflessa la propria immagine.
Quella stessa immagine che non avrei mai voluto vedere; espressione sbalordita dalla merda che c'era per strada, occhi vuoti, spenti, come due lampadine fulminate da tempo e quindi polverose.
Perché non c'era più poi così bisogno di vedere il mondo.
Si vedevano solo e sempre cose brutte.
O meglio, quasi sempre.
Perché finalmente, dopo tutte le mattine per cui non avevo un motivo per aprire gli occhi, quel giorno non vedevo l'ora di aprirli.
Di fianco a me riposava la creatura più bella che potesse esistere al mondo.
Il suo profumo delicato, la sua pelle morbida, i lineamenti del viso perfetti poiché imperfetti.
Riverdale aveva bisogno di questo ogni mattina; un motivo per combattere.
Con un dito della mano accarezzavo delicatamente la sua guancia, candida e immacolata come il resto del viso.
Le spostai, quasi sfiorandolo, un piccolo ciuffo di capelli dagli occhi, e glielo portai dietro l'orecchio.
Era bellissima.
Ero incantato da lei; era la mia droga, ciò che avevo aspettato per tutta la mia vita, ma che non sapevo di averne bisogno.
Dopo quasi venti minuti che ero rimasto ad osservarla, lei aprì gli occhi dapprima in due fessure, per poi allargarsi sempre di più.
Non c'era molta luce nella stanza; entrava solo qualche raggio dalle fessure della persiana rotta della finestra.
Andava bene così, anzi era meglio; potevo osservarla ancora di più.
«Buongiorno» le dissi, accompagnandolo con un bacio dolce sulla sua fronte.
«'giorno» rispose lei con un filo di voce.
«Dormito bene?»
«Meglio di così non si poteva» disse girandosi verso di me, circondando il mio bacino con le sue braccia.
Ci baciammo, lentamente, incastrando le nostre labbra.
Amavo le sue labbra, erano morbide e delicate, ma quando volevano aggressive.
Proprio come il suo carattere.
Le morsi leggermente il labbro inferiore e lei sorrise.
Amavo ancor di più il suo sorriso, così spontaneo e che trasmetteva gioia a guardarlo.
«Ti va di venire con me a parlare con Veronica?» mi chiese appoggiando la testa sul mio petto.
«Certo che voglio.»
«Grazie.» disse dopo qualche secondo, incrociando i suoi occhi cristallini con i miei.
«E di che»
Lei fece spallucce, ma dopo non molto sorrise e rispose.
«Di esistere.»
Sentii qualcosa proveniente dal cuore dilagarsi per tutto il corpo; era qualcosa di astratto, più forte dell'amore.
Era indescrivibile, come i sentimenti che io provavo per lei.
Con solo due parole mi aveva lasciato senza fiato, completamente.
Solo lei era capace di farlo, ed io amavo solo lei.
«Elisabeth... » sussurrai quasi senza voce.
Lei mi guardò concedendomi di parlare.
«Io ti amo.»
Feci uscire quelle parole dalla bocca senza esitare.
Ero serio, mai stato così.
Ma ero anche felice. Tantissimo.
«Anch'io ti amo, Jug.»
Si accovacció sopra di me, ancora sotto le coperte, e facemmo quei minuti nostri, tra baci e carezze che parlavano più di parole.
***
Veronica, ovviamente, non aveva ancora parlato con sua madre, ma aveva deciso che l'avrebbe fatto quella mattina.
Tra lei e Betty si risolse tutto, così come tra me e lei (sempre che fosse accaduto qualcosa).
Betty andò a casa per preparare dei biscotti da portare in ospedale, non solo per Archie ma per tutti i pazienti.
Così decisi di farmi coraggio e parlare con mio padre.
Se Veronica si fosse fatta avanti, l'avrei fatto anch'io.
Perché nonostante volessimo vivere una vita normale, ci era impossibile poggiare un velo sopra ciò che succedeva.
Dovevamo risolvere questi problemi non solo per noi stessi, ma anche per Archie, che in quella camera d'ospedale non poteva far altro che covare pensieri e paranoie, l'una sull'altra.
Che poi alcune potrebbero anche esser stati veri, ma volevamo farlo rimanere all'oscuro delle continue cose che avvenivano; se Archie fosse venuto a conoscenza di questo, avrebbe fatto di tutto pur di stare al nostro fianco, e non era il caso.
Insomma, andai a parlare con mio padre, il quale si trovava nella nostra roulotte.
Aprii la porta e lo trovai seduto ad una sedia del tavolo con vari fogli sparsi sul piano di legno.
«Papà, cosa fai?»
Appena sentita la mia voce nascose dei fogli sotto altri e si schiarí la voce.
«Pensavo stessi con Betty.» disse mentre mi accomodai su una sedia.
«È andata in ospedale.»
«Ah, capisco.»
C'era qualcosa di strano nel suo tono di voce, nel suo comportamento.
E sicuramente si collegava a quella sera da Veronica.
«Perché tutti questi fogli?»
«Ah... » si grattó la nuca nervoso «... sono dei vari documenti sui Serpents.»
Odiavo quando mentiva, non l'aveva mai fatto con me.
«Cosa ci facevi ieri sera con Hermione Lodge?»
Sputai quelle parole senza preouccuparmi delle conseguenze.
«Perché credi... »
«Non mentire.»
Lo guardai dritto negli occhi, come faceva mamma quando voleva una risposta.
Io di lei avevo preso il talento della comunicazione con gli occhi.
Per il resto non le assomigliavo per nulla, ero come papà.
«Stiamo indagando su una cosa.» rispose seccamente.
«Quale cosa?»
«Non sono fatti che ti riguardano.» disse alzandosi e sbattendo i pugni sul tavolo.
«Devo saperlo, e lo sai bene.»
«Questa cosa non ti appartiene Jughead, è più grande di quanto tu creda.»
«Perché! Perché stai facendo come quando tu e mamma litigavate?!»
Mi guardò senza dire una parola, puntando gli occhi nei miei. I suoi erano persi, senza espressione.
E tutto d'un tratto buttò all'aria il tavolo, le sedie, colpì a calci le bottiglie di birra vicino il divano. E il ricordo della mia schifosa infanzia riaffioró nella mia mente.
*Flashback*
Le urla di mamma e papà arrivavano fino alla mia camera. La casa di Toledo era grande, per questo quando si sentivano le voci fortemente, voleva dire che di stava urlando.
Ma non erano solo urla.
Ad un tratto sentii il tavolo capovolgersi.
Così mi alzai dal letto e andai a sbirciare dietro la porta.
Papà stava lanciando le sedie, mia mamma teneva la sua testa fra le mani mentre piangeva e gli urlava contro.
«Io non ti amo più.»
Furono le ultime parole di mia madre verso di lui.
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