Chapter One

Riverdale, la città in cui non succedeva mai niente.
Dove la pace tra i cittadini regnava al posto dell'odio e dell'invidia reciproca.
Dove la malavita era una solo una parola, non una dimostrazione.

Questo era ciò che portava la gente ad essere chiamata "bugiarda, timorosa della realtà" perché in effetti, non era la verità.
Riformuliamo queste frasi.

Riverdale, la città in cui non succedeva mai niente di leale.
Dove l'odio e l'invidia tra i cittadini regnava al posto della pace reciproca.
Dove la malavita era la parola all'ordine del giorno, una dimostrazione di ciò che era diventata la città.

Eppure sembrava che i problemi si fossero risolti, tant'è che si viveva tranquilli e le uniche cose di cui io, Jughead, Veronica ed Archie, ci preouccupavamo erano le estenuanti interrogazioni mattutine della Riverdale High School.

Cavolo, sto ancora mentendo per paura di ammettere in che merda di mondo stavamo vivendo allora.

Nonostante sembrava che tutto si fosse risolto, ciò che era accaduto aveva lasciato un segno indelebile su di noi, e anche se non lo dimostravamo, avevamo timore che qualcosa di più grande di ciò che avevamo già passato potesse accadere.

Tutto questo ci portava ad essere irrequieti, a non fidarci della gente con cui da anni camminavamo per le strade.

Era una sensazione mortificante, ma non potevamo farci nulla per il momento.

Dovevamo solo cercare di non farci sfuggire la situazione di mano, cosa che Archie non riuscì a portare a termine.

Un rumore assordante trafisse il silenzio della sera, fermò i ragazzi lì presenti e portò una persona ad accasciarsi a terra, mentre il suo sangue caldo colava imperterrito sul cemento freddo.

Si sa, quando si sente il rumore dello sparo di una pistola, il primo pensiero che ci viene in mente è: Chi sarà morto?

Anche quella volta ci fu quella domanda tra le menti degli abitanti della città, io per prima, ma essa non ebbe una risposta come le altre...

La sala d'attesa era silenziosa, odorava del tipico odore pungente delle medicine e di tutte le robe da ospedale, e le sue pareti erano dipinte del solito giallognolo che trasmetteva solo tristezza, da quanto era spento e monotono.

Le mie mani sudate per l'agitazione sgualcivano l'orlo della maglietta che avevo addosso, creando mille pieghe che nemmeno lisciando il tessuto di essa, riuscivo a far svanire.

I miei occhi erano fissi come chiodi su un punto immaginario, posto in basso, per permettere alle lacrime di scendere silenziose senza che fossero notate da qualcuno.

La mia testa, colma di pensieri che avevano l'intenzione di esplodere, era poggiata sulla spalla di Jughead, che intanto muoveva freneticamente la punta del piede sul pavimento, creando una specie di ritmo da cui ci si poteva distrare, anche solo per un po'.

Veronica era seduta alla mia destra, ma due posti più lontana da me.
Un fazzoletto zuppo delle sue lacrime e ormai quasi completamente strappato, veniva rigirato continuamente fra le sue mani, che usava spesso come appoggio per la sua testa. La metteva fra di esse, e la scuoteva disperatamente.

I genitori di Archie erano seduti di fronte a noi. Si tenevano mano per mano per darsi conforto; nonostante non fossero più sposati, si volevano comunque molto bene e questo era un fattore positivo per il ragazzo dalla chioma rossa.

Io e Jughead aspettavamo ormai da più di due ore notizie di lui, mentre gli altri da circa tre.
Questo poiché scoprimmo più tardi ciò che era accaduto al nostro Archie.

Flashback

Eravamo distesi sul letto -io con la testa appoggiata sul suo petto mentre lui mi circondava con le braccia- e Jughead si ricordò della chiamata che aveva ricevuto, ma a cui non rispose per non rovinare il nostro magico momento.
Lo schermo mostrò il nome di Sweet Pea, e subito lui si insospettí; non gli era solito chiamarlo, e se lo faceva era per questioni gravi.

Così lo richiamò subito, e dopo qualche secondo d'attesa, lui rispose...

«Sweet Pea, cosa succede?»
«Ho fatto una cazzata Jones, una grande stavolta.»
«Parla»

Lui inizió a singhiozzare in modo nervoso.

«Ho sparato ad Andrews, e gli infermieri hanno detto che è grave, molto grave.»
«Dimmi che non è vero...»

Jughead si alzò dal letto, passandosi una mano tra il ciuffo e sbarrando i suoi occhi verdi penetranti.

«Rischio il carcere Jones, ti prego aiutami e scusa, cazzo sono un deficente
«Vedrò cosa fare... ci sentiamo»

Fine Flashback

Ricordo in modo rammarico la sua espressione quando si voltò verso di me per informarmi della tragedia; distrutta e vuota poiché il suo cuore si era rotto come vetro, in tantissimi pezzettini scheggiati difficili da raccogliere uno per uno, e di conseguenza da mettere insieme per riaggiustarlo.

Si sentiva colpevole, poiché era lui chi guidava i Serpents.
Si sentiva anche perso, poiché Archie fu il primo il quale gli diede fiducia e lo chiamò "fratello" nonostante non lo fosse di sangue, e il solo pensiero di poterlo perdere per sempre lo colpiva profondamente.

Ed io... non riuscivo a capacitarmi che fosse successo, e forse era così perché volevo negarlo a me stessa, per permettermi di sorridere ancora per un po'.

Così ci catapultammo subito in ospedale, dove trovammo appunto Veronica e i genitori del povero Archie.

Abbracciai subito la mia migliore amica, stringendola a me e strofinandole dolcemente la mia mano sulla sua schiena, per farla calmare e per permettere anche me di mantenere la calma.

Non sapevamo ancora perché Sweet Pea avesse sparato ad Archie, né tanto meno come facesse ad avere una pistola.

Ma la nostra priorità in quel momento, era di stare accanto ad Archie.

Sentimmo il rumore di passi, prima lontani, poi sempre più vicini, provenire dal corridoio messo all'angolo della sala d'attesa. Jughead era il più vicino, così si sporse per vedere chi stava arrivando.

Vedemmo l'ombra dell'infermiere ingigantirsi sempre di più, e poi il suo vero volto.

Era un uomo sulla sessantina circa, con la barba non troppo lunga colorata dei toni dal nero al grigio, e i capelli presenti solo ai lati della testa, quasi completamente grigi anche essi.

Si presentò davanti a noi con le mani incrociate, basse, e il viso che non mostrava alcuna espressione, quindi non sapemmo dedurre da quello se ci stesse per dire una buona, o cattiva notizia.

Incrociammo le dita nella speranza che fosse buona.

L'infermiere indicó i genitori di Archie.
«Voi siete i tutori del signorino Andrews?»
«Sì, siamo noi.» rispose il signor Andrews.

Il suo cuore batteva sicuramente a mille nel momento in cui si alzò.

«Seguitemi pure.» concluse l'infermiere.

I due ci lasciarono, rivolgendoci un breve sguardo speranzoso, e noi ci prendemmo le mani per darci coraggio.

***

Passarono circa quindici minuti quando i due rivennero da noi.

Si tenevano per mano, guardavano per terra, e non accennavano un respiro o una parola.
Tant'è che il silenzio ci stava distruggendo, stavamo pensando al peggio.

Poi suo padre alzò lo sguardo e ci annunciò quelle fatidiche parole aspettate da tanto e finalmente sentite nella realtà.

«Si è svegliato»

.Spazio autrice.
Sono molto emozionata di essere quí a pubblicare il primo capitolo del sequel del mio libro.
E quindi ecco a voi...
"In the end, the beginning" !
Tengo davvero tantissimo a questo sequel, poiché rileggendo ogni capitolo vedo quanto io sia maturata nello scrivere, sia a differenza del mio primo libro "Needy" sia in "One mistake after another".
Perciò spero che vi piaccia ancora di più del primo!

Pubblicherò un giorno e un giorno no, facendo un eccezione per la domenica e il lunedì; infatti i giorni in cui pubblicherò saranno:
Lunedì, mercoledì, venerdì, domenica.

Tengo anche a precisare che la copertina di questo libro l'ho fatta interamente io, ma purtroppo mi ero dimenticata di scrivere il nome e per ora non ho voglia di rifarlo poiché ci ho messo una vita :D

Detto questo, che inizi la nuova avventura!


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