8. Voglio lei

—Hai fatto cosa?— sussurrò Susan portandosi due dita alla tempia, massaggiando piano l'epidermide. —Ho cercato di baciarla— ripeté Christopher sospirando. Sotto il cielo terso di ottobre, i due cugini passeggiavano fianco a fianco, lei protetta dall'ombrellino che William le aveva donato, lui con i capelli raccolti alla base del collo che chiedevano urgentemente di essere tagliati. Non gli importava delle mode, però, non era mai stato così: amava portare i capelli lunghi anche prima che il padre morisse o che sua madre avesse facoltà di fargli intendere che un lord che si rispettasse doveva licenziosamente attenersi alla moda.

Susan gettò uno sguardo al ciuffo scuro che gli svolazzava sopra la fronte. Avrebbe voluto ripetergli per l'ennesima volta che era troppo trasandato, ma non fu quello il primo pensiero che le passò per la testa. Si fermò e lo prese per un braccio, forzandolo a guardarla. —Sai che non avresti dovuto osare tanto— disse. Con dolcezza curvò un angolo della bocca. —Ma quello che so io, è che lei ti piace sul serio.
Christopher aggrottò la fronte. —E come lo hai capito?
—Non saresti in queste condizioni, altrimenti. Non avresti insistito così tanto per scoprire quale fosse il suo nome, e soprattutto non avresti mai tentato di baciare una fanciulla senza nemmeno prima parlarci un po'.
Lui si lasciò sfuggire un sospiro unito a un sorriso. Era vero. Christopher Morgan non avrebbe mai e poi mai commesso un gesto simile, anche se in passato aveva avuto una dozzina di amanti di cui non aveva mai conosciuto il nome. Si trattava di lussuria, a quei tempi, bisogno urgente di soddisfare una voglia di una notte, di qualche ora, a volte addirittura di minuti.
Ma a spingerlo a cercare di baciare Juliet Palmer, la sera precedente, non era stata la lussuria, non era stato il movimento tra le sue gambe quando l'aveva vista la prima volta e nemmeno per gelosia nei confronti del lord con cui aveva danzato prima di lui.

Era stato per l'oceano nei suoi occhi, due pozzi che sembravano non avere una fine, e per la tristezza che avvinghiava quella ragazza troppo giovane e forse anche troppo ingenua. Aveva sentito l'istinto di proteggerla e poi di renderla sua, un desiderio insito dentro il cuore, proprio dietro le costole che gli aveva preso il cervello e fatto quasi impazzire. Juliet Palmer non era bella, aveva cercato di convincersene, ma più ci aveva provato e meno quella concezione di era fatta concreta. Lei era bella, e lo era in un modo non convenzionale. Se si fosse concessa di crederlo, lui sarebbe stato felice. Avrebbe voluto che se ne rendesse conto, eppure sapeva che, se così fosse accaduto, ci sarebbero state decine e decine di gentiluomini pronti a corteggiarla. E Christopher non poteva tollerare una simile eventualità. Il solo pensiero gli mordeva lo stomaco. Lui la voleva, aveva bisogno di vederla come si ha bisogno di respirare per vivere. In pochi attimi che le aveva passato accanto, Juliet era diventata la sua ossessione più grande e forse, addirittura, anche la più necessaria. Christopher non riusciva a comprenderne la ragione. Che cosa aveva, quella ragazza, di tanto affascinante da costringerlo a pensarla minuto dopo minuto?

—Voglio che sia mia.
Lo disse di getto, quasi senza intenzione, ma la sua razionalità ormai esisteva solo lontanamente. Erano gli impulsi del suo corpo a parlare per lui, a dettare legge.
Susan dischiuse le labbra in una smorfia contraddittoria. —Christopher... — lo ammonì bonariamente.
Lui la interruppe con un gesto della mano, sollevò il mento. —No, non mi sono spiegato bene — precisò. —Voglio che sia mia se lo vorrà anche lei.
—Ma mi hai appena raccontato che ti ha rifilato uno schiaffo ed è fuggita correndo, Chris, come pensi che possa volerti adesso? Di certo l'avrai sconvolta.
Lui si strinse nelle spalle. —L'ho colta di sorpresa, è normale. Nessuna fanciulla vorrebbe uno impavido come me, non una come lei. È ancora inesperta, ancora pura, e questo si nota. Ma c'è il fuoco dentro Juliet Palmer, posso leggerglielo negli occhi e anima le sue parole, tutti i suoi gesti. Non posso rinunciarci.— Si passò una mano sulla fronte, in un gesto stanco. —Non chiedermelo.

Susan sospirò. —Stai attento, ti prego. Questa storia potrebbe finire male, soprattutto per lei. Non esagerare.
—Lo so, Susan— rispose Christopher. Ma era deciso ad averla. Con gentilezza l'avrebbe presa e avrebbe fatto in modo che nessuno la offendesse per essersi invischiata in una situazione troppo grande per lei. Sapeva che non apparteneva a una famiglia troppo nobile, al contrario di lui, ma non importava. In qualche modo, Juliet sarebbe stata sua e sua soltanto, anche a costo di convivere con il senso di colpa per tutta la vita. Christopher non le avrebbe mai fatto del male.
—Farò attenzione. Te lo prometto, e lo prometto a lei, anche se non può sentirmi.

La donna gli sorrise lievemente. Seppe, in quel momento, che suo cugino si sarebbe cacciato in un grosso guaio, ma altrettanto bene sapeva che non poteva far nulla per farlo desistere dalla sua impresa. 
—Bene, cugino. Io mi fido di te.

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