26. L'uomo nella polvere
L'uomo nella cella cominciava a dargli sui nervi. All'inizio, quando Darcy lo aveva portato via dal trambusto dovuto all'assassinio della moglie, non aveva fatto altro che dibattersi e sferrare colpi a vuoto contro di lui, colpi che Darcy—naturalmente — aveva schivato con troppa facilità; poi, col passare dei giorni, era diventato più mansueto. Un animale in trappola che aveva perduto la forza di reagire, di lottare. Eppure continuava a sussurrare il nome della moglie, e a implorare che a sua figlia nessuno avesse fatto del male perché era ancora una bambina.
Ma Darcy sapeva che non lo era. Poteva sembrarlo, perché i tratti del suo viso erano morbidi e non ancora segnati dal tempo, però qualcosa nel suo sguardo, nei suoi gesti, indicava che in Juliet Palmer ci fosse qualcosa di ben più saggio di quanto gli altri vedessero a primo impatto.
Darcy non riusciva a darsi pace. Era trascorsa quasi una settimana da quando lei e Christopher erano spariti. Sette giorni colmi di ansia e frustrazione perché i perni del suo progetto si erano volatilizzati chissà dove. Tuttavia, nonostante avesse Clarice a placare le sue ire, Darcy non si riteneva pienamente soddisfatto. Gli era stato sufficiente sfiorarla, quella Juliet Palmer, perché le mani gli prudessero dalla smania di prendersela. Pensò che, quando l'avesse ritrovata, non sarebbero bastate tutte le sue urla a fermarlo.
—Fatemela vedere.
L'ennesimo gemito di John Palmer sembrò fracassargli le tempie. —So che la nascondete da qualche parte, ma Juliet non resterà ferma senza combattere.
Darcy gli si inginocchiò davanti e gli accostò una mano chiusa a pugno di fronte
agli occhi. Sembrò pronto a colpirlo, ma qualcosa lo fermò. Quell'uomo sarebbe morto entro un paio di giorni se avesse continuato a cibarlo di pane secco e mezza ciotola d'acqua ogni giorno. Non poté fare a meno di pensare che chiunque meritasse una fine più rapida... però non voleva essere lui l'artefice della sua morte. Almeno, non ancora.
Ritirò la mano e se la passò sulla fronte. —Ve l'ho già abbondantemente ripetuto, lord Palmer, non ho idea di dove sia finita vostra figlia.
—Mentite!— sibilò John, il viso crucciato dalla sofferenza. Aveva i polsi e le caviglie legate, le corde avevano escoriato la pelle al punto che il sangue ormai rappreso l'aveva parzialmente marchiata.
—Spero per voi che non l'abbiate sfiorata...
—Oh, per favore— replicò Darcy ridendo. —L'avete guardata bene? Non la sfiorerei nemmeno sotto costrizione.
Si pulì la polvere dalle ginocchia e fissò l'uomo, che appariva molto più anziano di quando l'avesse incontrato. Osservò la sua espressione inorridita e palesemente contrita, come se qualcuno avesse preso una penna appuntita e avesse bucato la sua pelle millimetro dopo millimetro. Tra i solchi delle sopracciglia si era insinuata una modesta quantità di polvere, che gli era scivolata sopra l'arcata delle labbra ora aride e aveva incrostato le narici.
—Se non erano i soldi quello che volevate— continuò il barone, — perché ci avete assalito? Per l'amor di Dio, perché avete ammazzato mia moglie?
La disperazione gli incrinò la voce, e per fortuna John Palmer tacque. Darcy non tollerava più lo stridio delle sue corde vocali che produceva suoni rumorosi per la sua fragile mente. Era molto incline alle emicranie, e durante quei sette giorni John era stato il responsabile di due su tre. L'altra era stata causata dal pensiero di Christopher Morgan che gli aveva soffiato Juliet da sotto al naso. Aveva detto al padre che non l'avrebbe toccata nemmeno se fosse stato costretto, ma Darcy non aveva mai mentito tanto a qualcuno come aveva appena fatto. Se il codice della sua vendetta personale non gli avesse espressamente vietato di sfiorarla se non in presenza di Christopher, lui l'avrebbe usata in ogni modo in cui una donna poteva essere usata. Sarebbe stata una tortura maggiore, per John Palmer, sapere che sua figlia suscitava in Darcy quella smania di possesso, ma non era quel baronetto da quattro spiccioli che lui desiderava umiliare.
—Perché non sopporto le donne più adulte dei quarant'anni— gli rispose in un tono quasi faceto. —Sapete, è una cosa che mi hanno insegnato a fare da bambino: provare disgusto per le femmine che non servono più a nulla.
John Palmer allungò un braccio in un gesto convulso, ma le corde gli impedirono di afferrare Darcy che lo schivò di rimando spostandosi appena di qualche centimetro.
—Ve la farò pagare— sussurrò l'uomo dando sfogo alle lacrime. Per fortuna non ci furono singhiozzi o gemiti; il pianto fu dei più silenziosi cui Darcy avesse mai assistito.
—Ve lo giuro sulle mie due figlie, ve lo giuro...
—Sì, sì— brontolò scuotendo la mano in segno di scherno. —Comunque, milord— continuò con il medesimo tono, come a intendere che John Palmer non era né mai sarebbe stato un vero lord, —ciò che spero io, per il vostro bene e per quello di vostra figlia, è che Christopher Morgan me la riporti entro la fine della settimana. O non vedrete la luce dell'alba del prossimo lunedì.
—Non mi importa di quello che farete di me!— gemette John, affondando la testa nella polvere. —Lasciatela in pace, maledizione! Perché la volete, perché?
Darcy rise di nuovo, ma stavolta fu animato da una furia potente perché non la sopportava più, la vista dell'uomo che tentava ancora di protestare. Con un gesto violento e rapido afferrò i lunghi capelli di John e gli tirò indietro il capo. Lui emise un suono strozzato, un suono che gli raschiò la gola. Darcy lo guardò con aria severa ma vagamente caritatevole.
—Mi avete stancato, John Palmer, e provo pena per voi al punto che vi risparmierei la sofferenza tagliandovi la gola con le mie mani se ciò non facesse di me un vile assassino.— Gli sputò contro quelle parole, mentre godeva del suo tormento.
—Ma non lo farò, avete la mia parola. Tuttavia non costringetemi a usare metodi più convincenti per farvi tacere, perché vi assicuro che non vi piacerebbero.
John continuava a gemere. Grosse stille di lacrime gli si erano accumulate agli angoli degli occhi, mescolandosi alla polvere e al dolore, ma non rigarono le sue guance ispide di barba ingrigita.
—Mi avete sentito?— lo pungolò Darcy aumentando la stretta sui suoi capelli.
—Vi ho sentito— sibilò John guardandolo fisso negli occhi. —Ma io provo pena per voi e per la persona che siete.
—Vi ringrazio.
Darcy gli sorrise borioso, poi lo lasciò andare con uno strattone. John batté la testa contro l'asfalto, imprecando per il dolore, e si rannicchiò su se stesso. Era come osservare un neonato, pensò Darcy. Sembrava così piccolo e indifeso, un essere minuscolo che poteva essere schiacciato nel giro di un minuto ma doveva riconoscere che, come sua figlia, anche in John Palmer c'era del coraggio.
—Riposate— disse alzandosi in piedi e sgranchendosi le gambe. Si diresse verso la grata di ferro, la spalancò e la richiuse a chiave, gettando un ultimo sguardo tra le sbarre all'uomo steso al suolo. —Vi attendono giorni molto duri, John Palmer.
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