20. Piano di vendetta


Avviso autrice: sto aggiornando spesso, spero la cosa non vi disturbi. Allora, prima che iniziate a leggere volevo avvertirvi che questo è un capitolo un po' spinto, e che spero comunque non ci siano moralismi. All'epoca era cosa quasi usuale, ovviamente non l'ho scritto per un piacere personale, lungi da me, ma solo per cercare di far intendere meglio che razza di persona sia Darcy.
Spero vi piaccia come sviluppo della storia.

-Alicia Jk

***

Darcy White si fece scivolare il mantello dalle spalle e lo gettò nel fiume.

Dannazione, era quasi completamente bruciato. Maledetto incendio.

Le cause dello scoppio non erano ancora state scoperte, ma lui sospettava che fosse tutta opera di Christopher. Dannato duca da quattro soldi. Aveva escogitato un piano per riuscire a fuggire e di sicuro era stato lui a portar via Juliet Palmer. Ah, gliel'avrebbe fatta pagare, lo aveva giurato sulla sua defunta madre. Stavolta, il caro Christopher non l'avrebbe scampata.

Quando, cinque giorni prima, Darcy era andato a fargli visita, aveva imposto al suo piccolo villaggio nascosto nel bosco di riordinare tutto; ogni stalla, ogni camera, ogni provvista riposta nei magazzini. Tutti si sarebbero dovuti lavare cambiare d'abito per accogliere il benamato Duca di Morgan e la sua insipida amante. Ma il piano di Darcy era fallito miseramente. Fosse stato per lui, avrebbe preso Juliet Palmer in quella stalla adibita a camera da letto, ma il buon senso gli aveva ricordato che no, era davanti a Christopher che avrebbe dovuto farlo. Avrebbe goduto nel vederlo contorcersi dalla gelosia, avrebbe goduto nel torturarlo mentre spingeva contro la carne rosea di quella ragazza, e avrebbe goduto della urla di lei. Darcy non si sarebbe fermato davanti a niente e nessuno, a costo di sacrificare la vita. Christopher gli aveva sottratto tutto: l'amore, l'affetto di un padre, gli aveva impedito di creare una famiglia, e quando la notizia della morte di Vincent Morgan gli era giunta alle orecchie era stato felice. Quello era il primo passo verso la sua vendetta personale.

Aveva seguito Christopher passo dopo passo, per studiare i volti di chi frequentava, aveva origliato le conversazioni, aveva cercato anche tra i suoi pensieri. Ma non c'era stato bisogno di troppa perspicacia per accorgersi che Christopher si era completamente invaghito della figlia di un baronetto. Allora, Darcy aveva cominciato a osservare lei, ed era stato ben più lieto di farlo piuttosto che seguire il suo vecchio amico. Juliet Palmer era una ragazza piccola, una di quelle che si sarebbe spezzata al primo soffio di vento, ed era abbastanza carina da fargli venire in mente pensieri peccaminosi. Ed era il secondo passo che gli avrebbe permesso di annientare Christopher. L'avrebbe posseduta così a lungo da sfinirla, tanto da implorare pietà, e allora sarebbe diventata merce avariata, un ammasso di carne e pelle che il duca sarebbe stato costretto a ripudiare. Forse allora, Darcy l'avrebbe fatta diventare la sua amante, ma Christopher avrebbe perduto l'amore. Avrebbe avuto quello che si meritava.

Eppure, qualcosa era andato storto.

Adesso, mentre si tuffava nell'acqua gelida del lago, cercò di schiarirsi la mente, cercò di capire da quale parte fossero andati a nascondersi perché era sicuro che, in quelle condizioni, Christopher non sarebbe arrivato alla sua tenuta. E poi, nessuno sapeva dell'esistenza del suo villaggio. Di conseguenza, per chiunque sarebbe stato difficile ritrovare la strada di casa. Doveva riflettere, e doveva farlo scrupolosamente. Al suo istinto di uomo era bastato stendersi sopra Juliet Palmer per risvegliarsi. Adesso, a parte il proposito di vendetta, c'era il desiderio famelico verso quella ragazza. Sarebbe stata una vendetta ancora più piacevole di quella che avesse premeditato. Era interessato alla figlia del barone e, sotto gli occhi di Christopher, l'avrebbe resa irrimediabilmente sua.

Quando riemerse dall'acqua, Darcy sorrideva.

Dietro di lui, all'improvviso, la piccola Clarice Witcham gli venne incontro. Aveva quindici anni e dei lunghi capelli biondi che teneva sempre raccolti in una treccia molto lenta, così che le si sciogliessero facilmente quando adibiva ai suoi compiti di amante. Darcy si voltò.
—Lo abbiamo spento?

—Lo abbiamo spento— confermò lei con un gran sorriso. Aveva un grosso spazio tra gli incisivi, ma al padrone non importava, né se ne era mai curato. Clarice serviva solo per soddisfare le sue pene carnali. E d'altra parte, possedeva un seno talmente prosperoso da fargli dimenticare qualunque altra cosa. Gli occhi verdi della ragazzina si incupirono.
—Ci sono stati dei danni— lo informò. —Mason dice che ci vorrà del tempo per aggiustare tutto.

Darcy sospirò amareggiato. —Lo avevo immaginato. Con un incendio di tale portata non potevano non essercene.

Lei annuì. A Clarice non importava che lui fosse completamente nudo davanti a lei. Lo aveva visto talmente spesso che ormai era diventata un'abitudine, una costante che le piaceva da impazzire pur essendo solo un'adolescente.

—Vieni— le disse Darcy prendendole una mano nella propria. Era bagnata, ma lei gliela strinse comunque. Poi, il padrone si portò quella piccola mano tra le cosce appoggiandola sul proprio membro. Clarice lo accarezzò piano, un gesto che ormai compiva tutti i giorni, e lui la spronò ad aumentare il ritmo facendola muovere su e giù sulla pelle già tesa. Era sempre eccitato quando Clarice lo guardava, e non si era mai sentito in colpa per il fatto che fosse poco più che una bambina. A lei piaceva fargli quelle cose, le piacevano i momenti di sesso tra di loro, e le piaceva baciarlo laggiù, perché non l'aveva mai fatto con qualcun altro.

—Così, brava— sussurrò Darcy con un gemito strozzato. Poi la fermò e nudo, al suo fianco, raggiunse la sua piccola dimora. La dimora del padrone. —Su, entra.

Clarice appoggiò una mano contro la porta e la spinse piano, permettendogli di entrare. Darcy se la richiuse alle spalle e si scrollò l'acqua dai capelli prima di accendere la lanterna sopra l'ingresso. Avrebbe pensato a Juliet Palmer e alla sua vendetta contro Christopher in seguito; in quel momento il suo desiderio era condividere il letto con Clarice, così che lo appagasse e gli permettesse di valutare la situazione con la razionalità che lui era conscio di possedere.

—Spogliati— le ordinò dolcemente. E lei lo fece subito, perché ormai era la sua abitudine preferita. Perché il padrone, così, era felice e non picchiava suo fratello Stewart. Lo faceva ogni volta che era arrabbiato, e se Clarice non gli si concedeva, Darcy si agitava con più frequenza.

Così, la ragazza si spogliò. Lui raggiunse il letto e vi si adagiò sopra, poi la fece mettere a cavalcioni su di sé. Clarice si impose di non gridare, perché all'inizio le faceva sempre male. Si convinceva che le piacessero quelle cose, ma la verità era che l'affetto che la legava a suo fratello era più forte di qualunque cosa, più forte di Darcy e di ogni suo sopruso.

—Ti piace, no?— le chiese lui tra un gemito e l'altro. Sembrava impazzito, si muoveva come un animale, e lei faticava sempre ad adeguarsi al suo ritmo. —Certo che mi piace— gli rispose fingendo un sorriso.

Lo faceva sempre: gli sorrideva per compiacerlo, si donava a lui per farlo restare calmo, lo baciava laggiù perché sapeva che a Darcy quello piaceva più di qualunque altra cosa.

Clarice chiuse gli occhi per non doverlo guardare. Nella sua mente si dipinse il viso del suo fratellino. Lo faccio per te, Stew, solo per te. Non è vero che mi piace, ma questo io non glielo posso dire. Oh, se la mamma mi vedesse mi seppellirebbe viva, ma ricordatelo, Stew, io lo faccio solo per te.

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