Capitolo 36. L'amore ritrovato

Il temporale si era fatto via via più insistente a Londra, e sotto di esso un uomo correva ingobbito per cercare di ripararsi dalla pioggia. I pensieri di quell'uomo, però, non erano rivolti al tempo umido. C'era qualcos'altro che occupava ogni angolo, perfino il più nascosto, della sua mente; Elizabeth. Elizabeth, aveva detto Gladys, era viva. Era ancora, maledettamente, viva. Andrew Turner aveva maledetto se stesso per ogni istante dal momento in cui l'anziana donna gli aveva rivelato la verità. Si era maledetto perché aveva capito di non averla cercata abbastanza, di aver abbandonato la donna che, più di ogni altra, amava davvero. Mentre correva, inseguendo Gladys che camminava lentamente e sembrava non curarsi della pioggia incessante, Andrew non riusciva a pensare a nessun altro e a nient'altro se non a lei. A Elizabeth.

Non pensava a Megan, o a Roxanne. Non pensava a suo fratello che aveva portato via la donna che lui aveva tradito. Non pensava a Gallow's Hill e non pensava ai suoi genitori defunti. Elizabeth era viva. Suo figlio era vivo. Per Andrew non contava altro. Accelerando il passo raggiunse Gladys che, sotto la notte plumbea, avanzava decisa verso una piccola costruzione in legno, il cui tetto di assi sconnesse veniva colpito dalla potenza dell'acqua e rischiava di essere sradicato. -Dove stiamo andando?- gridò alla donna, tirandosi sopra al collo il bavero del cappotto. -Dalla donna che ami, signore- gli rispose Gladys senza voltarsi. Il lungo e vecchio bastone si incuneava nella terra infangata, creando un appoggio stabile all'andatura malaticcia della vecchia che il conte aveva sempre considerato al pari di una strega. -Eccoci qui, signore.

I capelli fradici, Andrew sollevò lo sguardo dalla figura minuta di Gladys e lo spostò verso l'entrata della piccola costruzione. Da sopra, dalle assi che non avrebbero retto ancora per molto, fuoriusciva un filo di fumo, segno che l'interno era stato riscaldato con un focolare. -E' qui dentro? Elizabeth è... è qui?- Gli tremò la voce. Gladys se ne accorse e lo afferrò per il gomito, trascinandolo rapidamente sotto al portico della minuscola abitazione. Allungò poi un braccio e gli scostò una ciocca di capelli bagnati dalla fronte, in un gesto materno che strappò un mero sorriso al conte. -Elizabeth è qui- mormorò la donna, fissandolo teneramente negli occhi. -Li ho tenuti al sicuro per tutto questo tempo, lei e il suo bambino. E il vostro bambino.-

Facendo leva sul bastone, diede un piccolo colpo alla porta di legno e la aprì lentamente. Andrew rimase a fissare la sua schiena mentre, zoppicante, lei entrava nella casupola. Reclinò appena il capo e lo incitò con un sorriso. -Coraggio, signore.

Gliene sarebbe servito molto, considerò lui. Il suo amore, quello che aveva creduto perduto irrimediabilmente, era lì, a pochi passi da lui e adesso avrebbe potuto riabbracciarlo... avrebbe potuto stringere di nuovo Elizabeth fra le braccia, sfiorarla, ammirarla, amarla. Anche se per il momento gli sarebbe bastato solo rivederla. Vedere suo figlio, quel figlio che aveva creduto morto. Gli occhi gli si inumidirono. Come sarebbe riuscito a non piangere? Con un impeto di coraggio che gli morse il cuore, Andrew varcò la soglia della porta e se la richiuse sommessamente alle spalle, lasciandosi dietro la scia del temporale che continuò a martellargli le orecchie, ma solo da lontano. Solo per un po'.

Come aveva previsto, in un angolo della casupola era stato acceso un focolare che sprigionava un lieto calore. Quel calore ammantava la stanza, scaldò ogni parte di lui mentre finalmente lo sguardo gli cadeva su una figura voltata di spalle, seduta sopra a un logoro tappeto. Una figura che cullava tra le braccia un fagotto e gli cantava una sommessa melodia. Una di quelle antiche, che ormai non si conoscevano più, una di quelle che appartenevano a luoghi remoti, che Elizabeth aveva visitato insieme a sua madre prima che il defunto padre di Andrew la volesse con sé a palazzo. Lei era nata in Scozia, Andrew lo sapeva, e quelle note che la sua gola stava intonando sembravano provenire proprio da quegli ambienti che lui non aveva mai visto con i propri occhi. Gli bastò riconoscere i capelli di un biondo scuro perché il cuore gli saltasse un battito, perché il respiro gli si congelasse nei polmoni. Si avvicinò lentamente, avvertendo il peso delle del proprio corpo farsi sempre più leggero man mano che avanzava. Gladys gli sfiorò il braccio, poi parlò a voce alta. -Voltati, Elizabeth. Voltati, bambina mia.

La figura che cullava il fagottino smise all'istante di cantare. Sollevò piano il capo e poi i suoi capelli si spostarono di lato, mentre un paio di occhi color lavanda si posavano in quelli di Andrew. Fu allora che lui ritrovò il coraggio di respirare, di vivere. Si rese conto con sconcertante realtà che aveva creduto di essere morto insieme a lei, tanto tempo prima, e che solo in quel momento, mentre la guardava, stava tornando alla vita vera. Comprese che la vita senza Elizabeth era stata solo la parvenza di quella che avrebbe dovuto essere in realtà, che era stato sepolto troppo a lungo, che aveva solo creduto di aver potuto amare di nuovo, di aver potuto amare un'altra che non fosse lei. Si rese conto, maledicendosi, di non aver mai amato Megan. Ma non riuscì a colpevolizzarsi più di quanto già non fosse. Aveva commesso molti errori, a molti non sarebbe stato possibile porre rimedio, ma a uno... a uno sì. Quello di aver abbandonato Elizabeth sarebbe stato sanato in quel momento. Perché non voleva più andare avanti senza averla accanto, non ora che l'aveva ritrovata. -Elizabeth.

Un'unica parola che ebbe il potere di spezzare il silenzio della morte, che risanò la crepa che si era formata nel suo cuore tanto tempo prima, quando aveva creduto che fosse morta, che non ci sarebbe stato più alcun futuro per loro. La ragazza sbatté le palpebre e schiuse le labbra che, come lui ricordava bene, erano rosate, con qualche screpolatura. Senza smettere di cullare il suo bambino, Elizabeth sussurrò: -Andrew?

Anche quella parola, il nome dell'uomo che lei non aveva mai smesso di amare, a cui non aveva mai smesso di pensare, infranse la barriera del silenzio, permettendole di prendere una vigorosa boccata d'ossigeno. Andrew si nutrì del suono della sua voce come fosse un nettare dolcissimo, come fosse l'unica cosa di cui aveva bisogno per vivere. -Ripetilo ancora, ti prego.

Gli occhi di lei si inumidirono, fino a quando una lacrima non scivolò delicata lungo la sua guancia dalla pelle olivastra, dove si fermò all'angolo della bocca. -Andrew.

Lui le si inginocchiò davanti e, con gentilezza, le mani che gli tremavano dall'emozione di averla ritrovata, le sfiorò una gota. Sotto il suo tocco sentì Elizabeth accalorarsi, mentre il loro bambino gemeva sommessamente e si muoveva verso il seno della madre, coperto da una camiciola pesante sopra cui era avvolto un mantello dal sapore antico. -Come si chiama?- le domandò senza interrompere il contatto visivo con lei. Elizabeth abbozzò un sorriso gentile, abbassando lo sguardo sul neonato e poi tornando a guardare lui. -Elijah, come mio padre.

Andrew si sentì il cuore accelerare i battiti. -Tu sei viva.

-Lo siamo entrambi.

-Com'è stato possibile? Io non... capisco.

Lei allungò un braccio e gli sfiorò la mano. -Ti racconterò tutto, Andrew. Ma non adesso. Voglio solo che tu mi stia accanto... - Spostò la mano sulla sua guancia ispida di barba, e Andrew la coprì con la propria, intrecciando le dita alle sue. Erano ancora calde, ancora affusolate, tutto era come ricordava, solo... solo che Elizabeth sembrava diversa, forse più matura, più segnata. Ma non era estranea, non come aveva temuto fosse diventata. Era ancora lei, sempre la stessa, bellissima, dolcissima Elizabeth a cui il suo cuore apparteneva da sempre, a cui sarebbe sempre appartenuto. -Puoi farlo?

-Non ho mai smesso di pensarti, Beth- mormorò lui, sporgendosi verso di lei e circondandola con le braccia, stando attento a non schiacciare il loro bambino. -Nemmeno io- sussurrò Elizabeth, nascondendo il volto nell'incavo della sua spalla. Diede sfogo alle lacrime, al sollievo di averlo ritrovato, di averlo potuto sfiorare di nuovo, e non le importò del freddo che percepì a causa dei suoi vestiti bagnati. Le bastò che fosse ancora lì con lei, le bastò trarre conforto dal calore del suo corpo, e sarebbe rimasta così per sempre se avesse potuto. Ma nonostante l'amore che provava verso Andrew, un amore profondo che non se n'era mai andato da quando lui l'aveva abbandonata, Elizabeth sapeva che nulla sarebbe mai potuto tornare com'era prima. Lui era suo fratello di sangue, anche se non condividevano la stessa madre, e lei aveva imparato in fretta che l'incesto veniva punito e pagato a caro prezzo. La cicatrice dietro al suo collo ne era una dimostrazione evidente, una dimostrazione atroce che ancora le doleva nell'anima. Con l'aiuto di Gladys, era riuscita a far nascere suo figlio, era riuscita a guarire, anche se le ferite che portava nel profondo non sarebbero mai state risanate del tutto. Ma non era quello, il momento delle spiegazioni.

Era consapevole che prima o dopo avrebbe dovuto raccontare tutta la verità, spiegare in che modo era sopravvissuta, e perché era rimasta nascosta per tutto quel tempo, perché aveva deciso che fosse meglio essere considerata morta e sepolta. Andrew, però, non avrebbe potuto comprendere, almeno non così, e non in quel momento. Le serviva tempo. Gli sarebbe servito tempo. Era certa che Andrew avrebbe capito e forse l'avrebbe perdonata per la sua assenza, perché la cosa di cui mai avrebbe potuto dubitare era l'amore che quell'uomo provava verso di lei. Era trascorso tanto, troppo tempo dall'ultima volta che aveva avuto l'opportunità di stringerlo, di amarlo, di bearsi del conforto che le sue braccia, il suo sorriso e i suoi occhi erano in grado di regalarle. E così, cullata dal rumore sottile del temporale che ancora infuriava fuori dalla casupola, e avvolta dal tepore di Andrew, Elizabeth si sentì di nuovo, per la prima volta dopo un tempo che era sembrato eterno, felice. E si addormentò con un sorriso amaro sulle labbra, accarezzata dal respiro caldo dell'uomo che padroneggiava sul suo cuore e la sua anima fin dalla prima volta che i loro sguardi si erano incrociati, mentre cullava suo figlio tra le braccia.


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